Su gentile concessione di "The Long Journey", sito d'approfondimento sulla roots music.
Mentre buona parte della vibrante scena musicale svedese legata ai suoni roots guarda all'America con risultati in molti casi decisamente notevoli, i West Of Eden da Goteborg si rivolgono principalmente alle isole britanniche e all'Irlanda per un cammino ormai lungo e ricco di riconoscimenti.
La coppia formata da Jenny e Martin Schaub guida questo sestetto ormai da quasi un trentennio e ha una produzione discografica corposa e qualitativamente eccellente, composta da ben tredici episodi, spesso in bilico tra suoni acustici e legati fortemente alla tradizione celtica e altri dove la spina viene attaccata avvicinandosi a due band a cui i West Of Eden sono legati, come i Fairport Convention e i Waterboys.
L'ormai raggiunta maturità espressiva ha permesso loro di concepire progetti decisamente intriganti e per certi versi temerari e impegnativi come in questo loro Whitechapel, un concept-album come si diceva in passato, che dà voce a una serie di figure femminili che negli anni Ottanta del diciannovesimo secolo divennero le vittime del famigerato Jack lo squartatore, nell'East End di Londra.
Un racconto dal grande fascino letterario, con riferimenti e ripescaggi da scritti delle donne coinvolte, e dall'immancabile maestria della band svedese alla quale in queste session si aggiungono alcuni nomi noti del panorama acustico di entrambi i lati dell'Atlantico, da Ron Block, banjoista alla corte di Alison Krauss negli Union Station ma non solo, allo scozzese John McCusker, membro della storica Battlefield Band, produttore e collaboratore di Kate Rusby e anche con Mark Knopfler, al chitarrista e banjoista irlandese Damien O'Kane anche lui con la cantante di Leeds Kate Rusby tra gli altri.
L'incipit è elettrico e dalle reminiscenze fairportiane, con una "Whitechapel Blues" caratterizzata dalle chitarre di Henning Sernhedes e anche dal banjo di Damien O'Kane, leggermente in disparte ma assolutamente percepibile; inizio elettrico che prosegue con "The Ten Bells", folk rock in cui Jenny Schaub si erge a protagonista vocale dando un'impronta precisa che a volte rimanda a certe cose degli Steeleye Span.
L'acustica e sognante melodia di "Nothing" ci trasporta idealmente in Irlanda con un'altra performance impeccabile di Jenny Schaub alla quale fa da sfondo un affascinante quartetto di fiati, che porta alla mente le commistioni folk di una storica band come i Brass Monkeys di Martin Carthy. E il disco si snoda attraverso questo binomio acustico-elettrico con una narrazione spesso drammatica fatta di classiche murder ballads di cui è piena la tradizione anglosassone. "Read All About It", corale e trascinante, "Catch Me When You Can, Mr. Lusk" con il bel fiddle di Lars Bromen, "Harry The Hawker" che profuma profondamente di Waterboys, "Mudlarking" e la sua melodia piacevolissima tra folk e cenni pop, "Dark Annie" guidata dalla fisarmonica di Jenny Schaub in un brano irlandese fino al midollo e la tenera "We Will Never Be Afraid Again" sono solo alcuni momenti da sottolineare in un album la cui bellezza sta nella capacità di racconto e nel mantenimento di un alto livello compositivo.
12/01/2025