Come si fa a non andare alla ricerca di un po' di gentilezza in tempi saturi di volgarità come questi? Come si può non ricercare un abbraccio caloroso quando l’empatia è più declamata che praticata? Come è possibile stare senza un momento di delicatezza verso di sé e verso gli altri al tempo degli odiatori? Siamo persi in questa discarica umana che è diventata la nostra società, stretti tra la violenza dei commenti sui social e l’indifferenza ai destini altrui. Ci aggrappiamo quindi sempre più alla musica che ci regala momenti di cura, che alleggerisce momenti di tensione, che ci offre un po' di poesia dopo una giornata di fatiche.
L’esplosione dell’indie-folk in questi ultimi due decenni va vista in questa chiave, come interpretazione garbata e comprensiva di un bisogno d’amore che l’essere “imprenditori di sé stessi” lascia insoddisfatti. Per questo abbiamo amato Belle and Sebastian, abbiamo inseguito Devendra Banhart e braccato Sufjan Stevens. Per questo che ci facciamo coccolare da band come i Paper Kites e cerchiamo conforto in gruppi come i Wild Rivers.
I nostri sono un trio proveniente da Toronto (Canada) e attivo dal 2016. Devan Glover (voce), Khalid Yassein (voce e chitarra) e Andrew Oliver (chitarra e synth) hanno abbracciato il verbo indie-folk componendo brani delicati e ariosi che sono la materia di cui erano fatti i primi due album (“Wild Rivers” del 2016 e “Sidelines” del 2022). L’incastro delle voci maschile e femminile e le tessiture di chitarra ne hanno fatto degli alfieri della ballata che lascia stecchiti. E il successo è arrivato proprio con un brano dolce come “Thinkin’ Bout Love”, disco d’oro in Canada e Australia, segno che questi ragazzi hanno carte da giocare.
Il nuovo “Never Better” li vede ancora freschi e positivi nel proporre il loro pop: è musica “leggera”, sia chiaro, ma nella sua leggerezza accoglie l’ascoltatore e lo cura con la poesia che la band sa creare. È un album in cui il dialogo vocale tra Devan e Khalid è ancora più marcato e ricorda la complicità di coppie come i Cock Robin, mentre la ricerca della melodia fa ripercorrere assolate strade percorse da Sheryl Crow, tra lacrime e sorrisi persi in un abbraccio.
Se cercate sperimentazione in canzoni come l’iniziale “Never Better”, non le troverete: glitch e noise sono assenti mentre c’è ritmo, chitarre accarezzate da plettri nervosi e un ritornello caldo che invita ad andare oltre e lanciare il cuore oltre l’ostacolo: “Are we both out of our minds? Walking a line we said we wouldn't cross, Head first into disaster, Still if you ask me how I'm holding up, I'll say ‘Nеver better’". Non c’è rabbia ma l’indolenza di un abbandono in una ballata come “Cave”, che riporta al folk elegante di Carly Simon periodo “You’re So Vain”; le parole sono eloquenti e cercano onestà: “We need to talk, Four words no one wants to hear but I kinda knew it, Ready or not, Don't lie if you're gonna do it, do it”.
L'album continua profondendo zucchero e miele in brani come il lento “Everywhere I Go”, in cui la vena pop è ancora più accentuata. Melodia riconoscibile, testo buonista, questo brano fa intravedere, pur se in forma dignitosa, il difetto nelle canzoni dei Wild Rivers: la ricerca del canone rassicurante, della melodia riconoscibile, del suono già sentito. Ma, come detto, non si ascolta un album così per ricercare nuovi suoni e nuove percezioni, ma per farsi coccolare da una ballata come “Dance”, che farebbe smuovere anche un sasso.
Musica americana, quella dei Wild Rivers, da ascoltare in auto per isolarsi dal traffico e dalle facce torve degli automobilisti, oppure a fine giornata, per rinfrancarsi dopo le fatiche di aver affrontato persone ciniche e superficiali.
“Ci siamo avvicinati a questo album pensando che noi siamo così e non vogliamo essere diversi da ciò che siamo. Volevano storie vere e mostrare noi stessi nel modo più autentico”. Penso ci siano riusciti.
13/09/2024