I Conformists si sono formati nel 1996 suonando in seminterrati e luoghi oscuri dell’Illinois e consacrando la loro arte a un rock non allineato. Pertanto non sorprende che a tenere le redini al tavolo di produzione sia presente un altro artista non conformista come
Steve Albini, musicista e produttore recentemente scomparso.
“Midwestless” persevera nel rifiuto dell’estetica e dell’etica per quell’approccio
math-rock e lievemente noise che ha caratterizzato una delle epoche più fulgide del rock americano, un'esplosione di post-punk e
post-hardcore che ha trovato in gruppi come
Shellac,
Big Black e
Melvins dei solidi punti di riferimento.
Facile dunque prevedere cosa offrono queste sei tracce del mini-album “Midwestless”, ovvero strutture ritmiche e melodiche ossessive e dissonanti, che trovano il loro apice epico e appassionante nei quasi dodici minuti di “Five-Year Napsence”. Un brano in cui basso, chitarra e batteria intraprendono un atipico duello con scambi di ruolo impercettibili che assecondano con scaltrezza le sempre più strette maglie geometriche del brano, fino ad annullarsi a vicenda per restare preda delle loro stesse scarne intuizioni melodiche.
Un termine come anti-rock ben calza alle aspre e crude creazioni dei Conformists, e anche se la band ricalca territori già esplorati, non si può che apprezzare l’intelligente destrutturazione di un brano come “Song for Rincón Pío Sound” o le ancora più ostiche sembianze di “Psh Psh”.
Nulla di nuovo o rivoluzionario, sia ben chiaro, ma rinfrancante e corroborante quanto basta per aver una ragione d’essere.
The Conformists sono fermamente ostinati nel voler mettere a nudo l’illusione della cultura rock con una superficialità nell’approccio creativo che suona a volte disturbante, eppure non priva di quel fascino sotterraneo che ancora tiene in vita la scena
underground americana.
02/09/2024