Se la vostra domanda è: "Si può fluttuare in aria?", la risposta è un sì cristallino. O almeno, così ci ha persuasi Bambinodj, che con la sua ethereal-dancehall riesce a mantenere sospesa l'anima, facendola oscillare tra i vapori trance di un universo leggero e immaginifico. La post-club è forse una delle curiosità più rigeneranti dell'ultimo periodo, dove gli arpeggi ondeggiano in un Mediterranean-groove impensabile fino a qualche tempo fa. Certo, un'ombra di appropriazione culturale si avverte: non è la prima volta che la white people ingloba e riformula codici di matrice black, siano essi hip hop o blues. Qua, la formula è distillata in una dancehall sì giamaicana, ma con l'eredità latinoamericana che viene dissolta in un miraggio di euforia cosmica, un rituale in levitazione tra abbracci astrali, delizie amapiano e trasporti emotivi a occhi aperti ("Carrier"). Come se Ini Kamoze fosse stato smaterializzato in un ologramma del futuro, White Mice trasformato in un file .mp3 da un outsider digitale ("Closure").
"Silent Dispatch" raccoglie otto cerimonie tribali di un altrove virtuale, con l'autotune che regna sovrano su campioni vocali trattati alla stregua di elementi sonori puri: scolpiti, radiosi, estivi e palpitanti. È come se Bambinodj avesse raggiunto una propria armonia interiore, una beatitudine sensoriale fatta di equilibrio e letizia, una gioviale estasi ottenuta non attraverso la meditazione ipnotica del club, ma tramite la smaterializzazione dell'io in un habitat sintetico, dove ogni torto sembra evaporare ("Jus' Pull Up", la delicata ballad del lotto).
Non un prodotto per tutti, e talvolta la tendenza a farsi prendere la mano c'è: a "Missin' You" è relegato un vocal che, in un altro contesto, potrebbe far storcere il naso. Ma anche negli esigui episodi minori, questa trancehall è elegante, tanto nelle scelte timbriche quanto nella lavorazione sonora, dove ogni elemento, dalla maracas virtuale al triangolo evanescente, dalla drum machine al crepitio percussivo, risuona terso e floreale ("Auf Long").
In fondo, questo album è un sogno lucido, un equilibrato vagabondaggio di chi si lascia trasportare dalle correnti di un'immaginazione senza peso. È come se il mondo avesse dissolto ogni disordine, trasformandosi in un Eden dalle fondamenta sintetiche: una terra promessa, un luogo celestiale pervaso da un'immutabile spensieratezza di estasi digitale.
03/03/2025