Vengono dal Belgio, ma guardano all’Africa. Accasati presso la sempre stimolante Sdban, etichetta di Ghent che è un riferimento per il nu jazz più ibridato, i Black Flower arrivano al sesto album con un suono che continua a mutare restando riconoscibile. Quintetto guidato dal flauto e dal sax di Nathan Daems, fanno convivere ethio-jazz, afrobeat e spezie mediorientali dentro trame geometriche ma libere, elastiche, in movimento. Come suggerisce il titolo, “Kinetic” è un disco sul dinamismo degli incastri, sul moto che sblocca.
La title track, che apre il disco, mette subito le cose in chiaro. Il flauto viene sfruttato nella sua grana più grezza, affiancato dal soffio altrettanto sferzante dell'organo elettrico, e tutto si muove su una struttura poliritmica, con il basso a dialogare costantemente con le percussioni. L’esotismo non è un’ambientazione decorativa, ma un principio armonico che si fa struttura: basti pensare al salto di tre semitoni da scala araba, tanto spiazzante quanto organico. Ma è in “Conundrums” che la band affina davvero l’arte della sovrapposizione: i loop scivolano l’uno sull’altro e l'architettura, statica solo in apparenza, si deforma con eleganza, aprendo spazi a fiati e tastiere che si lanciano in deviazioni inattese.
L'anima afrobeat si fa avanti in “Monkey System”, che combina un groove desertico, contrappunti fiatistici pacati ma incisivi e lo spoken word della ospite Maskerem Mees. In “Underwave”, poi, l'eredità di Fela Kuti si fa ancora più presente grazie all'incalzare del bassotuba che si fa largo fra spire d’organo, timbri graffianti e trame elettroniche che sobbollono senza sosta.
Ma i Black Flower possiedono anche un lato più contemplativo, e “Violet Drift” ne è la prova. Il flauto canta un tema quasi blues, pigro e notturno, poi lascia il campo a un cordofono che si fa strada a piccoli scatti, tra sospensioni e increspature. È un altro modo di far fluire le cose: lavorare sulle pause, sui respiri, su una psichedelia che non ha bisogno di effetti e sa espandersi anche senza alzare la voce.
Un’attitudine che riflette l’intero disco, e che si è fatta notare anche nel cuore pulsante del nu jazz contemporaneo: nel Regno Unito, dove il tastemaker Gilles Peterson li sostiene da anni e il suono della band ha raggiunto palchi e frequenze di culto, da Bbc Radio 3 a Worldwide Fm. Un riconoscimento costruito su una coerenza che sa variare il proprio baricentro. E nel farlo, cambiare forma a ogni passo.
30/04/2025