Fa piacere ritrovare David Gray alle prese con un disco decisamente più ambizioso e nello stesso intimo e sofferto come "Dear Life". L'artista inglese sembra aver ritrovato quel tocco magico che gli ha permesso di conquistare le classifiche di mezzo mondo con l'album "White Ladder", che ha influenzato una generazione di folksinger, intercettando con successo le grazie dell'elettronica e del pop contemporaneo.
Il tredicesimo album del cantautore inglese, irlandese d'adozione, è l'ennesimo cambio di rotta. Gray non si è mai troppo adagiato sugli allori, conservando un buon seguito anche in America, senza indugiare nell'instant-replay del grande successo di "Babylon", anche se dopo l'album "Life In Slow Motion" (2005) la produzione si è assestata su una mediocrità mai irritante eppur superflua (eccezione fatta per il discreto "Mutineers").
Accantonate le scarne e scheletriche sonorità del precedente album, "Skelling", Gray torna a dialogare con arrangiamenti folk-pop più convenzionali, senza forzare quegli elementi mainstream che hanno fatto la fortuna di Ed Sheeran e Hozier, anche se i tredici brani tradiscono qualche cedimento che rende non del tutto lineare l'ascolto di "Dear Life".
Al riuscito duetto con Talia Rae di "Plus & Minus" (il brano decisamente più immediato del disco) fa eco un'altrettanto riuscita canzone a due voci come "Fighting Talk" (la seconda voce è della figlia Florence), mentre l'ispirata e colta "Leave Taking" offre uno degli arrangiamenti più originali, con archi e fiati che graffiano l'anima e sfibrano la voce di David.
Il vero problema di "Dear Life" non risiede tanto nella scrittura - basta soffermarsi su canzoni come "After The Harvest" e "That Day Surely Come" per apprezzarne il fascino da evergreen - ma nella ovvietà di alcune soluzioni strumentali, che livellano l'album verso una dignitosa sufficienza ("I Saw Love", "Singing For The Pharaoh").
Disco decoroso e onesto, il tredicesimo album di David Gray ha il pregio di riconnettere l'artista con il pubblico e con la critica. I tempi di "White Ladder" sono lontani e anche il piglio cantautorale dei primi due eccellenti album ("A Century Ends" e "Flesh") è ormai un flebile ricordo, ma Gray non è stato mai così mesto e poetico come in "Dear Life". Basti ascoltare due tracce come "Acceptance (It's Alright)" e "The First Stone", altre due intense e pregnanti melodie che confermano uno stato di grazia che forse meritava una produzione più coraggiosa.
24/01/2025