Negli ultimi anni il nome di
David Grubbs è apparso in almeno una decina di progetti condivisi, nulla di particolarmente nuovo per un musicista che ha fatto della collaborazione il centro nodale della propria carriera.
Grubbs è altresì noto per essere stato membro di band che hanno lasciato tracce indelebili nella storia della musica rock: la formazione post-hardcore degli
Squirrel Bait e poi l’influente e innovativo combo dei
Gastr Del Sol.
A voler elencare i tanti contributi in opere altrui, si rischierebbe di allungare questa disamina di almeno una quindicina di righe, ed è quindi opportuno soffermarsi solo sulla recente riunione con
Jim O’Rouke che è stata coronata da un'eccellente compilation di brani inediti e live tratti dagli archivi dei Gastr Del Sol: “
We Have Dozen Of Titles”, punto di partenza per questo nuovo progetto da solista.
“Whistle From Above” è il primo disco da otto anni a questa parte che viene attribuito al solo David Grubbs, ma è anche quello dove lo spirito di condivisione e collaborazione è più ampio e variegato. Le otto composizioni sono frutto di una sinergia
free-form che si nutre di intuizioni avventurose ma anche colte, per un risultato oltremodo avvincente e interessante, e un disco che si candida come il migliore che l’artista americano abbia prodotto nell’ultimo decennio.
L’indole sperimentale di Grubbs è posta al servizio di composizioni insolitamente espansive e leggiadre: i sette minuti abbondanti di “Hung In The Sky Of The Mind” scorrono sulle note di un elegante dialogo tra il piano e l’autoharp di
Rhodri Davies, ma le tenebre restano sempre in agguato, implodendo nel ruvido
post-rock a base di batteria, percussioni (
Andrea Belfi), tromba (
Nate Wolley) e graffi di chitarra elettrica di “The Snake On Its Tail”.
Al titolo più bizzarro (“Queen's Side Eye”) corrisponde la divagazione chitarristica più tipica di Grubbs, con residui di
fingerpicking dai toni cupi che crescono fino a incrociare la tromba per una sagace e oscura variazione sul tema post-rock.
Il contrappunto tra la chitarra elettrica e il violoncello di Nikos Veliotis in “Poem Arrives Distorted” sottolinea una delle pagine più affascinanti (forse perfino troppo corta), anche se sono le improvvisazioni a base di elettronica di “Later In The Tapestry Room” e le cascate di accordi sordi e potenti di “Synchro Fade Pluck Stutter Slip” i due momenti più intriganti di un disco che restituisce un musicista in ottima forma.