Viene da chiedersi se per David Longstreth non sia arrivato il momento di riconsiderare l’appartenenza al mondo indie-rock e di conseguenza liquidare la sigla Dirty Projectors, dopotutto il tentativo di restauro art-pop di “Lamp Lit Prose” è riuscito a scontentare sia i vecchi fan che coloro che avevano apprezzato la svolta noir/r&b del disco omonimo del 2017.
Il nuovo disco “Song Of The Earth” si preannuncia ambizioso non solo per le premesse concettuali. L’album è ispirato ai problemi generati dal cambiamento climatico, ma anche per quelle strettamente tecniche, visto che il progetto è attribuito non soltanto alla band ma anche al solo Longstreth e all’orchestra da camera tedesca Stargaze ed è frutto di oltre tre anni di lavoro.
Uscire dai confini del rock e del pop non è una novità per il musicista (molti ricorderanno l’album "Slaves’ Graves And Ballads" del 2004). Questa volta la sequenza di 24 brani per oltre un’ora di musica è un affare impegnativo per gli stessi musicisti, ma anche per gli ascoltatori, colti di sprovvista da episodi stranianti come “Gimme Bread”: un brano che da suadenti aperture orchestrali che si sviluppa su toni alla Van Dyke Parks, per poi impregnarsi di cacofonie e dissonanze orchestral-pop quasi epiche.
In verità David Longstreth è sempre stato un maestro dell’illusione sonora, abile nel focalizzare l’attenzione dell’ascoltatore su improbabili riletture in chiave gospel-soul di uno stile spoken word teatrale/sinfonico, per uno dei singoli più originali degli ultimi tempi, “Uninhabitable Earth, Paragraph One”.
Con egual padronanza e destrezza il musicista dona slanci emotivi potenti a brani gracili come “Twin Aspens” (complice Mount Eerie) e avoca a sé una sezione fiati per una pagina orchestrale/bucolica (“At Home”), che dà il via a un trittico sinfonico-folk-pastorale dai toni imprevedibilmente minacciosi (“Circled In Purple”) e volutamente ingannevole (“Our Green Garden”).
“Song Of The Earth” non è un disco né facile né accomodante, l’asse stilistico si è spostato dall’art-pop degli esordi verso una mutazione chamber-pop che ricorda il mai troppo apprezzato “Apple Venus Vol 1” degli Xtc. Anche le esternazioni più melodicamente pop viaggiano nella stessa direzione, tra malinconiche ballate soft alla Beach Boys (“More Mania”) e canzoni eleganti nonché perfette per un musical moderno (“Blue Of Dreaming”).
“Song Of The Earth” prende il nome da un’opera di Gustav Mahler (“Das Lied von der Erde”) ed è ispirato da un libro di David Wallace-Wells (“La Terra Inabitabile”); come spesso accade, l’idea che le premesse siano superiori al risultato spunterà fuori spesso nelle varie disamine del progetto e manca forse qualcosa che renda questa esperienza sonora memorabile, se non proprio unica.
Va da sé che il tempo aiuterà a comprenderne l’effettivo tasso di creatività e genialità, nel frattempo brani come “Opposable Thumb”, “Summer Light” e “Bank On” sono già nella mia personale lista del 2025 e stimolano ulteriormente la curiosità per il prossimo passo creativo-artistico di Longstreth e soci.
21/05/2025