Accantonato il progetto condiviso con Kate Nv sotto il nome di Decisive Pink, l’ex-voce dei Dirty Projectors riprende il discorso da solista con un album avventuroso e maturo. Con “Ready For Heaven”, Deradoorian mette a frutto il lavoro di anni, facendo subentrare alle prime timide, eppur interessanti, forme di avant-pop, kraut-rock e reminescenze beatlesiane di “Expanding Flower Planet”, una più decisa e meno teatrale sceneggiatura strumentale, dove trova sbocco un linguaggio post-punk emotivamente algido e distante.
Chi ha incrociato sul proprio cammino l’album del 2020 “Find The Sun” è consapevole della natura più oscura e sotterranea dell’artista californiana. Ciò nonostante, ogni nuova prova discografica di Angel Deradoorian mette a fuoco ulteriori sfaccettature, che nel caso di “Ready For Heaven” sono racchiuse nel ruolo più rilevante dell’elettronica e nel ripristino in gran forma della sezione ritmica affidata a ben due batteristi: Andrew Maguire e Dylan Fuijoka.
Alla centralità delle alchimie post-punk corrisponde una più marcata attenzione ai groove e a un tribalismo dance-funk figlio dei Talking Heads di “Fear Of Music”. La messa in scena è sontuosa, seppur frutto di una gestione DIY e di una maniacale destrutturazione e rifinitura ad opera della stessa Deradoorian.
Tutto è volutamente definito e instabile, in “Ready For Heaven”: la grazia felina del funk psichedelico di “Storm In My Brain” e l’indole wave a metà strada tra PJ Harvey e Siouxsie del tribolante e flebile jazz-noise di “Any Other World” fanno da cornice a un album solo apparentemente prevedibile.
Il primo scoglio da superare, per approdare alla vera natura di questo disco, è l’estatico e irresistibile tribal-dance-funk di “No No Yes Yes”, una di quelle perle art-pop destinate a una celebrazione di massa a dispetto della propria natura colta e lievemente acid-funk. Entrando nel corpo centrale di “Ready For Heaven”, l’ascoltatore è preda di allucinazioni jazz-wave e art-pop imbastite con un ricco e quasi ridondante insieme di percussioni, sax e organo che sembra sbucare da “Hounds Of Love” di Kate Bush (“Digital Gravestone”), per poi essere catapultato in una dimensione parallela con l’elegiaca “Set Me Free”, ballata caratterizzata da un sacrale romanticismo più devoto ai Procol Harum che alle attuali cantautrici dream-pop.
Questo gioco di audaci contrappunti si rinnova nell’accoppiata “Golden Teacher”–“Purgatory Of Consciousness”: tanto graffiante ed enigmatica la prima, nella sua tessitura alla Talking Heads meets blues, quanto impalpabile ed eterea la seconda, avvolta da inquiete ombre ambient.
La dicotomia si ripete con il robotico elettro-pop di “Reigning Down” (la cui melodia sembra citare “Time Of The Seasons” degli Zombies), al quale si contrappone un viscerale trip-hop dalle splendide arie vocali che intercettano sbuffi di sax in un rituale sonoro simile a un mantra.
Il quarto album di Deradoorian non solo è il più riuscito, ma è anche un perfetto mix di sacro e profano destinato a turbare i vostri ascolti estivi.
16/06/2025