La sperimentazione è uno dei princìpi cardine dell'elettronica da club. È una musica rituale, nata con velleità di aggregazione; più che denunciare il sistema, se ne percepisce l'ineluttabilità, e da lì: l'escapismo come soluzione, unico varco settimanale per il lavoratore sottoproletario a cui non resta che il ritmo martellante di una notte lisergica. Quella della dance è una tessitura sonora che orbita attorno all'ascesi psicotropa, pensata per vivere al meglio quest'esperienza alterata. Un po' come accadeva con il rock psichedelico dei Grateful Dead: musica pensata per stati di coscienza espansi, composta sotto suggestione e forse pienamente decifrabile solo in quelle condizioni, o per chi le ha attraversate. O almeno, queste sono alcune delle considerazioni che si possono fare attorno alla club o rave-music e che sembrano alimentare la produzione di Hieroglyphic Being, al secolo Jamal R. Moss.
Producer a dir poco instancabile, con più di ottanta dischi all'attivo, Moss è un alchimista dell'esperienza afro-diasporica: nato a Chicago, patria spirituale della house, intreccia i retaggi della sua città con le vibrazioni di Detroit e le derive nu-jazz. Jamal è un Sun Ra 2.0 che non esita a immergere ogni cosa in fiumi di distorsioni per aggiungere tensione e piccantezza. Dell'estasi cosmica, "Dance Music 4 Bad People" conserva l'assetto mentale: i beat, acidi fino allo spasimo, si sovrappongono a distorsioni, echi, organetti percussivi, sintetizzatori strafatti. È un viaggio che prende linfa tanto dall'outsider-house quanto dall'intero sottobosco notturno statunitense. I pattern, più contorti che mai, convergono su un'unica traiettoria: l'ipnosi come un congegno elettronico votato al delirio mistico. Buon materiale per il dj esperto, ostico per l'ascoltatore sobrio.
Dispersive e geniali al tempo stesso, le otto tracce sono enormi frattali in cui ritmi e arpeggi continuano a moltiplicarsi ("Reality Is Not What It May Seem"), resoconti in technicolor di un'elettronica contaminata, tra digressioni electro-disco e visioni afro-futuriste di una galassia remota ("I'm In A Strange Loop"). La sensazione è quella di assistere a un viaggio allucinato, perso nella propria retorica, pienamente comprensibile solo a chi quella visione febbrile la sta vivendo. A noi, rimane un disco bizzarro, forse confuso, e proprio per questo interessante.
20/05/2025