La band neozelandese cambia nuovamente registro per un progetto che esplora la jazz fusion dei tardi anni 70 con incursioni nel funk e nelle lande cosmic-jazz.
“IC-O” Bogotà” è il secondo album interamente strumentale per la formazione di Ruban Nielson, una sequenza di lunghe jam session che offrono spazio e rilievo al nuovo elemento, il tastierista Christian Li, e a un ospite d’eccezione: il percussionista José David Infante.
Accantonato il ruolo preminente della chitarra, che aveva contraddistinto il primo capitolo strumentale “IC-01 Hanoi”, gli Unknown Mortal Orchestra indugiano in corpose e dinamiche sonorità ambient-jazz-funk, ma il risultato appare privo di quei guizzi che Ruban Nielson ha distribuito equamente nei dischi precedenti.
“Earth1” ed “Earth 5” sono intriganti, ma alla lunga noiose e sbiadite. La versione lo-fi della fusion messa in campo dalla formazione neozelandese non funziona del tutto: chi ha assorbito e ascoltato l’enorme massa di produzione jazz-rock anni 80 e 90 troverà ben poco da salvare in “IC-O” Bogotà”. Anche la sognante e rilassante “Heaven 7” lascia l’amaro in bocca e si fa apprezzare solo per il richiamo timbrico alla scuola elettronica tedesca.
Senza dubbio alcune idee accennate in “Earth 1” sono potenziali spunti per evoluzioni a seguire e il tratto più psych-oriented dei quattordici minuti di “Underworld 6” è incandescente. Il collage audio è stimolante, ma il tutto suona alla fine come un esperimento a ruota libera che per quanto possa essere utile per comprendere le future mosse della Unknown Mortal Orchestra, rischia di farsi apprezzare più per la programmazione a monte che non per l’effettivo esito finale.
“IC-O” Bogotà” è un capitolo decisamente interlocutorio: gli undici minuti della già citata “Earth 1” restano gli unici degni di menzione, troppo poco per poter invitare a un riascolto.
23/04/2025