Forse il nome di Will Long suonerà poco familiare agli appassionati di deep house, ma nella scena ambient è una figura di culto, noto per il suo monumentale progetto Celer, che con una prolificità senza pari ha dato vita a oltre duecento album e una miriade di Ep, tra tape recordings nostalgici e loop di memorie dissolte nel tempo. La sua esperienza da soundscaper non si limita all'abbondanza produttiva, ma si distingue per autentiche gemme sommerse, come "Discourses Of The Withered" e soprattutto "Engaged Touches", opera che, senza timore di esagerare, rientra tra le più preziose rivelazioni ambient/drone del decennio Zero. Quell'approccio etereo e riduzionista si riversa con naturalezza nella sua recente veste club, caratterizzata da strutture essenziali fino all'osso, armonie fragili e architetture sonore dilatate, al punto da sembrare immobili. La sua musica non sembra concepita per il dancefloor, quanto piuttosto per una solitudine ovattata e fumosa, una riflessione esistenziale più che una comunione estatica con altri danzatori.
"Long Trax 4" non si discosta dalla formula dei capitoli precedenti, sempre in bilico tra il rischio di suonare monocorde e il trasformarsi in un incantesimo ipnotico, sensazione accentuata dalla costante alchimia con DJ Sprinkles, che aleggia sia come influenza stilistica sia come remixer nei lavori passati (vedi "Long Trax" del 2016). Il risultato, fluttuante e introspettivo, richiama echi di felicità passate, forse irrecuperabili; una musica che si lascia abitare, alla quale ci si affeziona già dal secondo ascolto ("The Right Choice").
Interamente plasmato su macchine hardware, l'album rivela fin da subito la sua natura timida e statica, un suono da sfondo che non esige attenzione primaria, quasi una trasposizione dei princìpi ambient su ritmi 4/4. Il risvolto, in alcuni momenti, è ipnotico e avvolgente, in altri può sembrare solo eccessivamente esteso.
Tra questi due poli, il full-length sembra (ma di poco) pendere più verso il secondo, pur disseminando accordi profondi e malinconie atmosferiche. Perfetto per dj-set dal tocco vellutato, dove il mixaggio si dissolve nel tempo, si rivela meno incisivo nell'ascolto casalingo. Ciò non scalfisce la delicatezza emotiva che permea i quattro lunghi brani, in particolare "Fingers Of Fire", dove una drum machine dal respiro cool jazz si intreccia con pad soffusi, tessiture di sogni e frammenti di ricordi sbiaditi. Ed è proprio qui che l’album trova la sua essenza: caldo e avvolgente, lieve e impalpabile, talmente denso di emozioni da rendere trascurabili le sue contraddizioni.
12/02/2025