In Islanda, la techno è una questione seria. O perlomeno lo è stata, considerando la vibrante scena club emersa tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila. All'epoca, artisti come Thor, Exos e Ozy, tutti sotto l'egida della seminale Thule Records, rivisitavano i canoni della minimal techno con un taglio glaciale, segnando un'epoca di transizione tra l'impeto analogico del vecchio millennio e le fredde sequenze numeriche che, tradotte in algoritmi, si sono rivelate una forma d'arte capace di definire un'intera scena.
In questo contesto, Yagya ha trovato la propria dimensione, emergendo come pioniere. I suoi contributi sono essenziali, seppur guidati da intenti diversi: mentre altri si sono concentrati su trame riduzioniste, pensate per club asettici e notti sintetiche, Yagya ha scelto di esplorare un'estetica più intima, costruendo soundscape evanescenti, figli della chill-out ("Vor 3"), reminiscenza di quelle stanze dove i raver degli anni Novanta, stremati dal ballo incessante, potevano ritrovare un rifugio musicale non martellante ma altrettanto ipnotico.
"Rhythm Of Snow" e "Ringing" sono solo due dei compendi creati dal producer, un tempo parte dei Sanasol insieme a Thor, duo in bilico tra la dub techno più materica e una deep house dalle sfumature crepuscolari. La sua carriera, plasmata dalle onde sonore di DeepChord e dal progetto Echospace, giunge ora all'undicesimo album con "Vor", un lavoro che riallaccia il filo con le sue radici stilistiche. Questa scelta segue "Faded Photographs", che cercava di fondere l'ambient-chill-out con vocalizzi femminili eterei e pop, ma senza riuscire a restituire la profondità immersiva a cui Yagya ci aveva abituati.
Fedele alla sua visione onirica, il full-length si dipana attraverso otto temi suddivisi tra le evocazioni di stagioni; da un lato, tracce che sembrano celebrare la rinascita primaverile ("Vor", che in islandese significa "primavera"), dall'altro, composizioni che celebrano la malinconia dell'autunno, contrassegnate dal titolo "Haust". Arricchiti da vacui field recordings, i brani tessono melodie lente e avvolgenti, sviluppando una techno che trae ispirazione tanto dalle derive oceaniche di cv313 quanto dagli echi surreali di Gas ("Haust 3", forse la summa del disco), pur depurati delle sue fumose venature drone per abbracciare paesaggi sonori idilliaci che richiamano il gelo della terra natia ("Haust 1").
Delicato negli arrangiamenti e denso nelle tessiture, l'album è un'opera che fluttua con leggiadria tra club music e sprazzi di space ambient, risultando talvolta toccante, altre volte melensa. E' una fortuna che questo sia un dettaglio, spesso sovrastato dalla grandiosità, dalla profondità e dalla bellezza quasi visionaria di percorsi impalpabili e ultraterreni.
13/02/2025