La potenza è nulla senza controllo. Prendo in prestito lo slogan di una famosa pubblicità perché è la cosa che mi è venuta in mente ascoltando il nuovo album degli svizzeri Young Gods. Per capirci, a volte il desiderio legittimo di usare il rumore e l’aggressione sonora sfuggono di mano ai musicisti che propugnano il verbo noise. Questa cosa si avverte soprattutto dal vivo: uno dei peggiori concerti a cui ho partecipato fu uno dei My Bloody Valentine in cui era molto difficile riconoscere i brani sepolti da feedback, rumori e distorsioni multiple, con un effetto sgradevole. L’altra sera invece a Lido di Camaiore ho ascoltato i Mogwai, visti dal vivo diversi anni fa a Roma. Mentre il concerto di Roma fu bello perché i suoni erano puliti e netti, l’altra sera gli scozzesi hanno in alcuni brani abbandonato il controllo e la loro potenza si è diluita in un fragore troppo disordinato per essere godibile; concerto bello, ma un po' più di controllo del rumore l’avrebbe reso memorabile. Questa è per esempio una cosa che non è mai successa ai Nine Inch Nails e anche agli Young Gods.
Pionieri dagli anni 80 di un industrial da manuale, fatto di rumoristica metallica, chitarre campionate e ritmiche marziali, i nostri sono passati nel corso degli anni dall’aura di band di culto a un velo di anonimato che ne ha appannato la produzione, naturalmente anche a causa della fisiologica perdita di spirito rivoluzionario dell’industrial: dalle sperimentazioni alla Swans del primo album del 1987 (“The Young Gods”) che diede loro fama di apripista fino ad album scialbi come “Everybody Knows” del 2010, passando per prove dignitose come “Super Ready/Fragmentè” del 2007 in cui i loro virtuosi cliché venivano consolidati in un’opera compatta. “Appear Disappear” li rimette in pista dopo alcuni anni (l’ultima prova era del 2019) e lo fa con la freschezza che solo tempi strani come questi possono fornire in termini di urgenza, voglia di comunicare e immediatezza.
Franz Treichler e soci riprendono i loro schemi consolidati ma lo fanno con una chiarezza e una energia che colgono nel segno. In evidenza ci sono le chitarre campionate, i sequencer che creano pulsazioni irresistibili, i beat di una batteria che sviluppa tutta la sua marziale potenza. E lo fa già nell’iniziale “Appear Disappear” in cui acide e taglienti chitarre preparano il terreno per un brano che va in crescendo trascinato dai beat potenti, un brano che farebbe piacere ai fan dei Ministry. Controllo, dicevo, perché niente è fuori posto, non c’è rumore insensato ma lucidi riff ed elettronica che tiene tutto insieme e non fa esplodere la bomba. Mentre “Blue Me Away” interpreta un allucinato hard rock tutto riff incendiari, “Hey Amour” riporta l’ascolto verso un’oscura e avvolgente trama, guidata da linee di basso e batteria, con la voce di Treichler che sussurra invece di gridare. “Blackwater” è il brano che solletica gli istinti danzerecci, tutto pulsazioni e la sensazione di un’esplosione che non vuole arrivare ma che poi arriva in un pestare di batteria. “Mes Yeux de tous” riporta le coordinate verso un classico Ebm marziale che scuote i nervi tanto è tirato e nervoso.
Gli Young Gods sono arrabbiati con il mondo assurdo che abbiamo creato e lo esprimono con testi acidi e minacciosi e una rinnovata energia industrial. A loro va riconosciuta la voglia di riprovarci e di mettere ancora in musica i nostri incubi post-industriali per esorcizzarli. Musicalmente niente di nuovo sotto il sole, ma se lo fanno loro, un po' di credito gli va dato.
25/06/2025