Stuart A. Staples

Stuart A. Staples

L'abbandono e le sue canzoni

Durante una pausa con i Tindersticks, il leader della band di Nottingham, Stuart Ashton Staples, ha intrapreso una carriera solista nel solco della miglior tradizione del crooning d'autore. Senza rinunciare all'estetica da romantico "loser" che ne ha sempre contraddistinto l'attitudine

di Claudio Fabretti

Gli ultimi lavori dei Tindersticks avevano progressivamente smarrito il fascino degli esordi, impantanandosi in un pop orchestrale alla melassa, dai temibili risvolti soporiferi. Solo qua e là riemergevano brandelli di quel loro sound scuro e avvelenato d'assenzio, radicato nella tradizione del crooning d'autore (Walker, Cohen, Ferry, Cave) e ben lontano dagli stucchevoli carillon chitarristici che avevano infestato la Perfida Albione nell'era del britpop.
Forse avvertendo che qualcosa si era spezzato nell'equilibrio della band (artefice di capolavori come "I" e "II"), il suo leader di sempre, Stuart Ashton Staples, ha deciso di svignarsela per un paio d'anni, rinchiudendosi in studio a registrare dieci nuove canzoni: le Lucky Dog Recordings 03-04, per l'appunto, dal nome della sua neonata label. A fargli compagnia, un manipolo di rinomati musicisti: Huge e Stout dei Tiger Lillies, Terry Edwards, Neil Fraser, Thomas Belhom, Yann Tiersen, Gina Foster e David Boulter. Ne è nato un disco che, se non aggiunge determinanti novità al repertorio del Nostro, presenta tuttavia qualche significativa sorpresa, al servizio di un songwriting al quale certo non fa mai difetto la classe.

Rispetto alle avvolgenti orchestrazioni della band di Nottingham, Staples sceglie di prosciugare il suono, distillandone l'essenza. Niente più arrangiamenti d'archi, ma ambientazioni scarne e minimali, costruite attorno a piano, organo, ottoni e chitarra. I "vuoti" sono così più numerosi e consentono alla voce di ritagliarsi uno spazio maggiore, divenendo spesso il vero leit-motiv del disco. Non così, però, nell'incipit strumentale di "Somerset House", una sognante ballata pianistica di Yann Tiersen, condita solo dai vocalizzi languidi di Gina Forster e da un gentile intervento di tromba. Bisogna dunque aspettare la seconda traccia, "Marseilles Sunshine", perché il protagonista entri in scena: sulla calma piatta di un organo minimalista e dei suoni vellutati del glockenspiel, Staples sfodera il suo baritono fatalista, da Cohen alla seconda bottiglia di whisky, accompagnato da una chitarra in sordina. Una torch song che non gronda lacrime, ma silenziosa furia, spalancando baratri psichici di Cave-iana memoria.
Questo mood nevrotico, da lunghe notti insonni, prosegue nella bossa nova da vampiri di "Friday Night" e assume contorni finanche curtisiani in "Dark Days", sorta di marcia funebre pizzicata sulle corde della chitarra e sussurrata col cuore in frantumi: "Oh the heartache that finds me the moment I wake...".
Altrove, Staples gioca la carta di un dandysmo gigione alla Ferry, caracollando tra l' uptempo di "Say Something Now" - con un riff circolare insidiato dal sax di Terry Edwards in un duello di corrosivi feedback - e il neo-soul di "She Don't Have To Be Good To Me", in cui l'intro di ottoni e maracas fa da sfondo a un incrocio impossibile tra timbri Motown e salmodie Smiths-iane.
L'altra novità di rilievo è l'apertura a sonorità blues-country, debitamente intorbidite da fumi d'oppio, come nella ballatona chitarristica di "Shame On You", ovvero Neil Young in catalessi tra cori femminili, e nella più sostenuta "People Fall Down", numero d'alta scuola con un avvio spaghetti-western alla Morricone e un susseguirsi spettacolare di stacchi di piano, echi spettrali, giri di basso e apoteosi di sassofono.
Quando l'ispirazione non lo sorregge, Staples si aggrappa al mestiere, facendo riaffiorare quel senso di ripetitività che è un po' il suo limite storico. L'esito complessivo, comunque, autorizza a ben sperare: se il romanticismo da camera dei Tindersticks resta un vertice forse inarrivabile, con questo suo primo lavoro solista Staples dimostra di non essere quell'entertainer imbolsito da night-club in disarmo che le ultime prove assieme ai compagni lasciavano temere.

Mentre nessuna notizia ufficiale annuncia ancora il definitivo scioglimento dei Tindersticks, procede a tappe forzate la carriera solista di Stuart A. Staples, che, nel 2006, presenta la sua seconda opera, che, trattandosi la precedente di una collezione di registrazioni casalinghe, non è poi errato considerare il suo esordio discografico vero e proprio.
Supportato da altri tre componenti dei Tindersticks - Neil Frazer, David Boulter e Terry Edwards - Staples esercita ancora tutta la sua intensità vocale, che lo colloca senz'altro tra i migliori interpreti maschili degli ultimi quindici anni, in dieci brani incentrati sui temi dell'abbandono e pervasi dalla malinconia e dal romanticismo così connaturati a quell'estetica vagamente maledetta e da "perdente" che ne ha sempre contraddistinto il mood, prima ancora del suono.

In Leaving Songs vi è infatti tutto ciò che ci si può attendere da una raccolta di brani cantati da Staples, poco importa che vadano a nome suo o della band o che presti semplicemente la sua voce a composizioni altrui (com'è avvenuto lo scorso anno in uno splendido brano compreso in "Les Retrouvailles" di Yann Tiersen). Anzi, anche grazie al contributo degli altri tre (ex?)-Tindersticks, la cesura rispetto al suono consacrato nelle migliori opere della band è sensibilmente minore che non nelle composizioni - essenziali e sostenute da arrangiamenti in genere meno ariosi - comprese nell'album precedente.
Il passo iniziale del lavoro è svelto e quasi sbarazzino, nonostante l'invariabile malinconia dei testi sembri contraddirne l'approccio lieve, cui, nell'iniziale "Old Friends No.1", l'irrompere dei fiati e i cori in sottofondo conferiscono grazia e movimento, mentre la voce suadente di Staples, così adusa a un'incoercibile e ormai controllata desolazione, intraprende con relativo distacco la sua rassegnata e per questo relativamente serena narrazione di assenze e rimpianti, resi inevitabili dal passare del tempo. Ma per un autore così profondo, nonché interprete capace di far vibrare gli animi, il distacco può essere solo apparente o dissimulato, come dimostra subito "The Path", ove la sua calda intensità da crooner torna a incorniciare le atmosfere indolenti e fumose e i raffinati arrangiamenti arricchiti dall'organo che tanto riportano alla mente i lavori dei Tindersticks, da "II" a "Simple Pleasure", con il loro sapore dolce-amaro, sospeso tra citazioni del Cohen più orchestrale e fascinosi riferimenti al cantautorato francese (Gainsbourg in testa).
Ma a fronte di un incipit dall'andamento veloce, culminante nello scatenato dialogo tra archi e fiati di "Which Way The Wind", è il soffuso e delicato intimismo a costituire il fulcro di queste "Leaving Songs", sia quando a prendere il sopravvento è un morbido senso di abbandono, come in "This Road Is Long" - dolce duetto, guidato dal piano, con Maria McKee - sia negli umbratili passaggi da colonna sonora di "Already Gone", il cui crescendo d'organo, innestato su un semplice arpeggio di chitarra, riesce a evocare con facilità paesaggi grigi e piovosi, perfettamente confacenti ai temi della nostalgia e della perdita. Ad ulteriore contraltare dei primi brani e della loro ricchezza negli arrangiamenti, vi sono poi anche due essenziali ballate di country dimesso, nelle quali la voce di Staples va appena oltre un sussurro: "This Old Town", che con i suoi leggeri tocchi di pianoforte e seducenti accenni di slide guitar presenta almeno una struttura strumentale e armonica, e soprattutto i soli due minuti di "Dance With An Old Man", cammeo immobile e depressivo nel quale Staples regala un'interpretazione profonda e vellutata, toccando vertici assoluti di introspezione, nella quasi totale assenza di accompagnamento musicale, se si eccettuano le poche dimesse note di chitarra in lontananza.
La vetta emotiva del lavoro è però rappresentata dall'altro brano che perpetua l'antica passione dell'autore per i duetti con una voce femminile. In "That Leaving Feeling" l'ospite di turno è Lhasa de Sela, insieme alla quale Staples crea un duetto da brividi, la cui splendida costruzione orchestrale non ha nulla da invidiare a quello con Carla Torgerson dei Walkabouts, compreso nel secondo album dei Tindersticks, per l'intrecciarsi e alternarsi delle voci, il pianoforte, le melodie cristalline e quella malinconia, quel senso di perdita irrimediabile che si insinua sottile tra un verso e l'altro, prima delle aperture armoniche in un luminoso crescendo, ancora ritagliato tra archi e fiati, a far da preludio a un finale intimo e dai toni smorzati. In un pezzo come questo si esprime la quintessenza stilistica di Staples, secondo un filo di continuità che abbraccia tutta la sua carriera, prescindendo finanche dalle imputazioni formali dei suoi lavori e dalle vesti musicali, mutate solo in maniera marginale nel corso di un'attività ormai ultradecennale.

Leaving Songs aggiunge senz'altro poco alla storia musicale del suo autore; tuttavia, da un artista dall'impronta così ben definita non è lecito attendersi repentine e inusitate trasformazioni espressive che finirebbero, inevitabilmente, per alterarne i caratteri ormai consolidati. Per valutare positivamente un lavoro come questo, allora, è sufficiente evitare qualsivoglia pretesa innovativa, abbandonando invece il cuore alle nostalgiche storie di rimpianti e abbandoni che trovano ancora oggi in Staples un interprete di grazia e sensibilità difficilmente eguagliabili.

La parentesi solista di Staples si chiude (per il momento) con un side-project concepito assieme a Dave Boulter, Songs For The Young At Heart (2007). Un disco dedicato all'universo dei più piccoli, con canzoni, storie e ricordi infantili. A supportare i due, un drappello di artisti, da Jarvis Cocker, impegnato in una sardonica rivisitazione delle avventure di "The Lion And Albert", a Bonnie “Prince” Billy, alle prese con la delicata ballad "Puff The Magic Dragon", da Stuart Murdoch all'opera con la ninnananna "Florence’s Sad Song" a Kurt Wagner, supportato dagli archi e da un coro di bambini, per la ballata di "Inch Worm".
Tra candore, ironia, nostalgia e romanticismo, questa colonna sonora per giovani di cuore riesce a trasportare l'universo poetico di Staples nel fatato regno dell'infanzia, senza disperderne il fascino sottile e malinconico.

A partire dal 2008, con il disco del ritorno "The Hungry Saw", invece, Stuart A. Staples riprenderà stabilmente il suo percorso da cantante e leader dei Tindersticks, sviluppando al meglio anche alcuni delle intuizioni che hanno contrassegnato il suo breve passaggio solista.

Stuart A. Staples

Discografia

Lucky Dog Recordings (Beggars Banquet, 2005)

6,5

Leaving Songs (Beggars Banquet, 2006)

7

Songs For The Young At Heart (with Dave Boulder, V2, 2007)

6

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