Dopo avervi presentato il contest vi proponiamo la chiacchierata fatta con Andrea Marmorini, che insieme a Marco Gallorini ha il comando di una delle etichette indipendenti più vivaci degli ultimi anni. Dall’intervista ne è risultata una casa discografica interessante anche dal punto di vista dei principi e delle idee che la guidano.
La conversazione è avvenuta telefonicamente, purtroppo però a causa di malfuzionamenti tecnologici (da cui deriva l’insegnamento di non affidarsi mai ad apparecchi su cui non si ha un pieno controllo) il file della registrazione si è corrotto, costringendoci a basare lo scritto su appunti e ricordi. Le risposte seguenti, quindi, per quanto il più possibile fedeli, sono state un minimo riadattate rispetto a quelle originali.
Come nasce Woodworm?
Woodworm è nata nel 2011 dalla fusione tra il
Karemaski e Sons of Vesta, un’etichetta che faceva punk
underground anche per band straniere. L’idea era quella di creare un’entità che si occupasse di musica nel suo insieme, Woodworm infatti non è solo una label ma si interessa anche di
management,
booking, live, organizzazione di eventi. Insomma, qualcosa che lavorasse nel settore a trecentosessanta gradi.
Tra pochi giorni suonerete al Woodworm Fest, ma non è la prima volta che voi o etichette del vostro calibro fate festival di etichetta. Quanto sono importanti per voi questi eventi e come si posizionano nella vita della label?
Beh, il Woodworm Fest di domenica in particolare non è un vero e proprio festival ma uno spazio che si inserisce all’interno di un altro festival, che è quello del
Forest. Per noi sono importanti perché è un modo per ritrovarsi, sai vivendo anche molto distanti non è che ci si vede spesso, quindi queste sono delle occasioni per stare insieme e celebrare quello che si è fatto nei mesi passati.
Quindi è un autofesteggiamento?
Esatto, un modo per festeggiare noi stessi.
Negli anni avete costruito un roster di tutto rispetto. Ci puoi dire qualcosa sul vostro metodo di talent scouting?
Mah, non abbiamo un vero e proprio modo di agire. Essendo però di Arezzo capita di entrare in contatto più che altro con artisti di quella zona. Poi lavorando prevalentemente in Italia è facile che si vada a un concerto e si incontrino così delle nuove band. D’altronde il
roster di Woodworm non ha un vero e proprio indirizzo di genere, se noti i nostri artisti fanno cose anche molto diverse. Ciò che però li accomuna sono i
live, la capacità di tirare su dei concerti intensi e che sappiano colpire il pubblico. Funziona molto anche il passaparola, succede che magari qualche nostro gruppo ci dica di ascoltare questa o quella band e che l’ascolto si riveli particolarmente interessante.
Per quanto riguarda la produzione di nuovi album, preferite seguire la registrazione passo passo o lasciare carta bianca e inserirvi solamente nella fase finale?
La nostra idea è quella di seguire il più possibile la band sin dall’inizio, questo però non vuol dire essere invasivi. Cerchiamo di porci sin dall’inizio come guida e di aiutarli per quanto possiamo nelle scelte stilistiche o di indirizzo dell’album. Io poi come fonico sono particolarmente interessato a stare vicino al gruppo sin dalla registrazione, come per esempio è avvenuto nell’ultimo dei
Fast Animals. Dopo viene tutta la scelta della grafica e del management nel quale, ovviamente, siamo più presenti.
Ho notato che puntate molto sui vinili. Personalmente apprezzo molto questa scelta, mi chiedevo però se voi lo facciate per una questione di soddisfazione personale o se ha senso anche dal punto di vista economico.
Guarda, Io e Marco siamo molto legati ai vinili, io ne compro da quando avevo 16 anni. Ti dico pure che inizialmente Woodworm doveva essere una
label di soli vinili, infatti se vai a vedere per le prime uscite non sono presenti cd. Quindi diciamo che certamente è una cosa che ci fa piacere avere, però è anche vero che se vai a venderne in una quantità considerevole riesci anche ad avere un minimo di ritorno economico. Poi negli ultimi anni mi pare che ci sia stato anche un ritorno del vinile, l’anno scorso addirittura ha venduto più dei cd, quindi sì c’è anche questa innegabile tendenza.
Qual è il tuo pensiero sulle major? Secondo te possono ancora trovare un loro spazio in un mercato profondamente diverso da quello di 30 anni fa?
Innanzitutto se ci si ritrova in questa situazione, la colpa è soprattutto delle major. Erano loro che avevano in mano il mercato sino a quindici anni fa ed erano loro che potevano, per esempio, gestire meglio l’avvento dei
download. Erano loro che dovevano educare gli ascoltatori e insegnargli i valori, sia economici che artistici, che stanno dietro dei lavori simili. Se l’ascoltatore è cosciente, sì magari continua ad ascoltare roba in streaming o a piratare, poi però sa premiare chi ritiene che valga. È la stessa cosa che succede nel mondo del cinema dove si guardano le serie tv in streaming, la quantità di denaro che ci sta dietro è considerevolmente minore, ma il concetto è quello. Ho letto di una ricerca a campione l’altro giorno su una rivista, si era fatto ascoltare “
The Dark Side Of The Moon” a delle persone in formato Waw e in Mp3. La maggior parte delle persone ha riconosciuto il formato Mp3, e non il Wav, come quello con migliore qualità. Capisci? Si è perso anche l’orecchio per la musica, tra YouTube, Spotify e compagnia bella non si ha più la cultura dell’ascolto. È questa la critica che io faccio alle major, loro avevano le risorse per gestire meglio la situazione ma non l’hanno fatto.
Poi beh, se vai a vedere negli ultimi anni si stanno riprendendo abbastanza a livello di presenza nel mercato. Se noti gruppi come
Le Luci della centrale elettrica o
Brunori, quelli che insomma sono riusciti a fare un po’ il salto, adesso sono sotto major. Tutti quei gruppi che magari non sono di massa ma sono quelli che portano le persone ai concerti. Anche i
Ministri che vengono presi come i baluardi della musica indipendente, poi se vai a vedere di indipendente non hanno nulla. A noi quando è successo di ricevere delle offerte da una major ci siamo rifiutati. Certo, è vero che in un certo senso hai le spalle coperte, ci sono dei guadagni più alti, si hanno più contatti ed è più semplice arrivare nei punti vendita. Ma così cosa ti rimane di indipendente? Nulla.
Quindi voi non collaborate con le major per scelta?
Sì, è un rispetto verso certi principi. Noi per la distribuzione ci appoggiamo ad Audioglobe che è indipendente. Poi gli artisti sono liberi e possono fare quello che vogliono, non c’è nemmeno nulla da giudicare se una band decide di firmare con una major, sono scelte che si fanno. Ma per esempio
Benvegnù, che con le major ha avuto un rapporto abbastanza lungo e intenso, ci ha voluto fortemente per il suo ultimo lavoro dicendoci chiaramente che noi siamo più vicini al suo modo di fare le cose.
Cosa può dare un’etichetta agli artisti oggi che autopubblicarsi è alla portata di chiunque?
Gli artisti sono molto caotici nel fare le loro cose (
ride). Come ti dicevo, il compito di un’etichetta è quello di occuparsi di tutti quegli aspetti che trascendono la musica, la scelta dei grafici per la copertina, di un’agenzia che sia in linea con il genere del gruppo, il
booking. Insomma, tutto l’aspetto comunicativo. Quindi io credo che l’etichette debbano fare questo, essere di supporto in tutti gli aspetti che non sono proprie di una band, oltre ovviamente al produrre e metterci i soldi.
Ultima domanda e ti lascio andare. Per i prossimi mesi avete in cantiere qualcosa che ci puoi anticipare?
Oddio, non so... Marco è molto più preparato di me in quello che si può dire e non si può dire. Ti posso anticipare che presto verrà pubblicato un cofanetto con la riedizione in vinile degli album degli
Scisma a cui seguirà anche un breve mini-tour della band in formazione completa. Poi c’è
Francesco Motta che insieme a
Riccardo Sinigallia sta preparando una cosa che non vedo l’ora sia resa pubblica. Abbiamo anche altre robe del quale non posso proferire parola, ma insomma abbiamo abbastanza materiale per i prossimi mesi.