La musica "nuova" è anche "verde"?

Streaming e sostenibilità

Da www.lavoce.info, insieme a Luca Bonacina e Renato Casagrandi.

“Non avremmo mai pensato che un video potesse essere guardato un numero di volte maggiore di un intero da 32 bit (2147483647 visualizzazioni, ndr), ma questo è stato prima di incontrare “Gangnam Style” di PSY – è stato visto così tante volte che siamo dovuti passare a interi a 64 bit!”
(YouTube, dicembre 2014)

Bei tempi (o forse no?), quelli in cui si cercava di infilare il lettore cd nelle tasche della giacca o dei pantaloni, e si camminava (correre, mai) stando attenti a non farlo “skippare”; quelli in cui si facevano le compilation sulle cassette registrando dalla radio, smagnetizzando il nastro a forza di sovrascriverlo. Sembra preistoria, vero? Invece sono memorie vivide di prima o tarda adolescenza di chi scrive (la somma delle nostre tre età è 102 anni).  Bei tempi soprattutto per chi, la musica, la vendeva: le “etichette” discografiche. Era il 2000, infatti, quando si registrava il picco di vendite in formato fisico: 730 milioni di cd solo negli Stati Uniti. Napster intanto, la prima piattaforma di download digitale “pirata” (o in libera condivisione, a seconda dei punti di vista), era nata già da un anno.

The times they are a-changin’ (Bob Dylan, 1965). 

Sono passati appena quindici anni da allora e l’accesso gratuito (e legale) in rete a contenuti musicali è esploso. Pochi mesi fa, un video musicale su YouTube veniva visualizzato per la 2,147,483,648-esima volta: mancavano bit al contatore per tenerne traccia. Grazie ai servizi di streaming come Spotify, basta un comune cellulare “smart” per accedere a gran parte della musica esistente – ed è tutto gratis. Nel frattempo, i cd venduti sono meno del 20% di quelli del picco del 2000. Nel 2014, per la prima volta, i servizi streaming hanno segnato ricavi maggiori rispetto alle vendite di cd negli Stati Uniti [1].
pie_revenuesFigura 1. Ricavi dell'industria musicale suddivisi per settore. Fonte: RIAA, 2015 [1]

You say you want a revolution (The Beatles, 1968).

Per una volta vince l’ambiente, no? Bando a tutte quelle tonnellate di plastica e carta da produrre, distribuire, riciclare… È così che molti identificano questa transizione paradigmatica dal possesso dell’"oggetto" fisico (musicale o no) al semplice accesso a un servizio come una vera “rivoluzione verde”. Forse, però, è semplicemente diventato meno intuitivo valutare gli impatti ambientali di qualcosa che non si può toccare con mano. Data center, server, router, laptop, smartphone: sono tutti il corrispettivo fisico di quel mondo immateriale col quale ci interfacciamo ogni giorno. Tutte cose che, ovviamente, hanno un costo economico e ambientale: dal punto di vista energetico, la Rete è responsabile già di un decimo del consumo annuale globale [2]. Per intenderci, si tratta del “conto” energetico di Germania e Giappone messi insieme[2].

The dark side of the moon
(Pink Floyd, 1973).

Siamo sicuri, quindi, che ascoltare un disco in streaming sia poi così coscienziosamente “verde” rispetto ad acquistarne il cd? È  la domanda che si è posto Dagfinn Bach – nomen omen - nel suo report “The Dark Side Of The Tune: The Hidden Energy Cost Of Digital Music Consumption”. E l’impressionante risultato del suo studio è che sarebbero sufficienti 27 riproduzioni in streaming di 12 tracce per eguagliare il consumo energetico richiesto per la produzione e la spedizione di un cd. Il totale delle tracce passate in streaming nel 2014, secondo l’agenzia Nielsen Music, arriva a quota 164 miliardi [3]: se i calcoli di Bach fossero corretti, in termini energetici sarebbe stato come produrre e consegnare un altro mezzo miliardo di cd in giro per gli Stati Uniti. Sommandoli a quelli effettivamente venduti l’anno scorso, si ottiene la stessa cifra degli anni ruggenti del formato fisico: insomma, nessun vantaggio sostanziale dal punto di vista energetico.
D’accordo, nel calcolo riportato da Bach non si tiene conto, per dirne una, della fonte da cui provengono le tracce in streaming. Su Spotify meno del 10% di queste ultime viene scaricato dal server: più della metà (quelle che ascoltiamo più spesso) viene salvata nella propria memoria locale [4].

All the people, so many people
(Blur, 1994).

Anche queste confortanti osservazioni, però, potrebbero impallidire di fronte all’espansione massiva, esponenziale dell’accesso a Internet che ci si aspetta nei prossimi anni. La compagnia di telecomunicazioni Ericsson stima che nel 2020 il 90% degli adulti del pianeta avrà un dispositivo di telefonia mobile, e che una percentuale comparabile di questi saranno smartphone [5]. Il consumo di dati mensile pro capite dovrebbe passare dai 900 MB attuali a 3 GB [5]: The Dark Side of the Tune potrebbe oscurare irreparabilmente la parte luminosa, sul profilo ambientale, rendendo semplicemente palliative le misure per l’incremento dell’efficienza energetica della Rete [6]. D’altronde, ci si chiede, è davvero possibile tornare in qualche modo al vecchio cd, come suggerisce Bach?
Un dato poco conosciuto è che l’offerta musicale, in questi anni di passaggio dal fisico al digitale, è aumentata in modo vertiginoso: nel 2008 il numero di album pubblicato negli Stati Uniti era triplicato rispetto al 2003. Nel mondo attuale, in cui ognuno è libero di far conoscere la propria musica senza il filtro delle etichette, un caso come quello di Sixto “Sugar Man” Rodriguez non sarebbe più possibile: infatti il numero di musicisti indipendenti (in tutti i sensi, anche da un day job secondario) negli Stati Uniti è quintuplicato tra il 2003 e il 2012. Inoltre, le accuse a Spotify di pagare troppo poco gli artisti – provenienti anche da personaggi autorevoli come Thom Yorke dei Radiohead - sono state da poco sconfessate: sono le etichette che trattengono circa il 46% dei ricavi del servizio, lasciando agli artisti un misero 7%. Col tempo, etichette permettendo, il sistema potrebbe diventare sostenibile economicamente sia per i servizi di streaming (Spotify è in perdita dalla sua fondazione per circa 200 milioni di dollari) che per gli stessi artisti. A complicare la situazione, nel nuovo contesto tecnologico, è l’ulteriore polarizzazione della distribuzione dei ricavi tra gli artisti: è sufficiente il 12% dei 30 milioni di canzoni che compongono il catalogo Spotify per totalizzare l’89% degli ascolti [4]. Il risultato netto è che l’1% degli artisti riceve il 77% dei guadagni complessivi – oltre questa piccola frazione di “superstar” [7] la distribuzione si fa sempre più piatta, e povera. Insomma, ci sono sempre meno artisti davvero “famosi” che guadagnano sempre di più rispetto agli altri.
Anche in contesto musicale, dunque, la trasformazione tecnologica stimola tutte le dimensioni della sostenibilità (non solo quella ambientale ma anche quelle economica e sociale). A meno di rinunciare a conquiste socialmente fondamentali di libero accesso e distribuzione della musica (e quindi dell’arte, e della cultura), è impossibile tornare indietro. Disegnare un percorso sostenibile per l’industria musicale è operazione complessa, ma quanto mai affascinante: il futuro della musica è un po’ anche il nostro.

LUCA BONACINA - Classe 1990, laureato con lode in Sound Design and Music Engineering al Politecnico di Milano e double degree conseguita presso l’Alta Scuola Politecnica. Esperto di Signal Processing e attualmente Italian Official Representative di European Innovation Academy, uno StartUp accelerator internazionale.

RENATO CASAGRANDI - Renato Casagrandi è professore di Ecologia presso il Politecnico di Milano. I suoi interessi di ricerca hanno da sempre riguardato le dinamiche spazio-temporali di processi ecologici ed epidemiologici. Tra le varie attività didattiche cura l’attività del “Polygame” all’interno del corso “Global Change and Sustainability” dell’Alta Scuola Politecnica. 

REFERENZE

1: RIAA (2015), News and Notes on 2014 RIAA Music Industry Shipment and Revenue Statistics
2: Mark Mills, Digital Power Group (2013), “The Cloud Begins With Coal: Big Data, Big Networks, Big Infrastructure, and Big Power”
3: Nielsen Music (2015), 2014 Nielsen Music Report
4: Kreitz e Niemela (2010), Spotify – Large Scale, Low Latency, P2P Music-on-Demand Streaming
5: Ericsson Mobility Report (2014)
6: Cappiello, C. et al. (2013), “Monitoring and assessing energy consumption and CO2 emissions in cloud-based systems”, IEEE International Conference on Systems, Man and Cybernetics, Manchester, UK, 13-16 October
7: Sherwin Rosen (1981), “The Economics Of Superstars”, The American Economic Review

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