Autore: Aldo Chimenti
Titolo: Death In June - Nascosto tra le rune
Editore: Tsunami Edizioni
Pagine: 413
Prezzo: 35 euro
Parafrasando un celebre aforisma di Flaubert – Madame Bovary, c'est moi -
potremmo tranquillamente affermare, senza tema di smentita, che Death In June è
Douglas Pearce. La Morte
in Giugno è, difatti, sempre stata il veicolo d'elezione utilizzato dal compositore
britannico per dare fondo alle personali lacerazioni esistenziali originate da
un macerante amore/odio nei confronti della storia europea compresa nella prima
metà del 900.
Ne Il Male Oscuro Giuseppe Berto - scrittore che per diverse ragioni
potrebbe essere avvertito affine alla sensibilità pearceana - concepisce l'atto
creativo come sublimazione catartica dall'insieme di ossessioni e nevrosi che
affliggono l'io narrante, ossessione che, nel caso dello scrittore veneto, assume
la forma dell'ingombrante figura paterna. Nel caso di Pearce/Death In June
questa catarsi si esplica attraverso la costante e minuziosa celebrazione del
mito incapacitante di un Europa non più culla di identità condivise,
culturalmente colonizzata, fenice incapace di risorgere dalle gloriose
ceneri di un passato non più invitto e i cui fasti sopravvivono unicamente nel
ricordo dei convitati che solennemente ne perpetuano il ricordo. Death In June
è, difatti, da sempre tutto questo: celebrazione di un’occasione mancata, rinnovo costante di un sacrificio all’Europa.
Attraverso le illuminanti parole di Chimenti - e sulla scorta dei ricordi che
emergono dalla viva voce di Pearce - si ricostruisce, dunque, l'epopea del gruppo
britannico, a partire dai prodromi a nome Crisis: ovvero il progetto condiviso
in piena rivolta punk da Pearce in coppia con il futuro Sol Invictus Tony
Wakeford. Progetto, questo, che se per suoni e immaginario appare
distante da quello che sarà Death In June, tuttavia ne custodisce in nuce
i tratti caratteristici (si consideri a questo proposito l'episodio "Kanada Kommando" a firma Crisis che per le derive sonore e per
l'immaginario novecentesco evocato non sfigurerebbe affatto all'interno del
primo lavoro della Morte in Giugno ovvero "The Guily Have No Pride").
La saga dell'ensemble britannico è dunque minuziosamente raccontata, dagli albori di “The Guilty Have No Pride”
fino alle soglie dell'ultimo lavoro del 2010 "The Peaceful Snow",
mettendo in luce, di volta in volta, sia i motivi ispiratori che caratterizzano
ciascun lavoro pearceano - meravigliose a questo proposito le parole spese da
Chimenti su quanto le figure di Genet e Mishima abbiano contribuito a definire
e a formare la sensibilità estetica e lirica di Pearce - sia quelle individualità
che aiuteranno Douglas stesso a definire e ripensare la fisionomia sonora di
Death In June anno dopo anno. Ed ecco quindi evocati gli incontri/scontri con
Tony Wakeford, David Tibet, Patrick Leagas, Boyd Rice, Michael Moynihan: ovvero
il gotha espresso dal panorama industriale internazionale a cavallo tra anni 80 e 90, che affiancherà nel corso dei decenni il cantore britannico nella
ridefinizione della prosa sonora apocalittica.
Non si diano pensiero della lettura quei novelli Torquemada che
sperano di trovare all'interno di queste pagine conferma ai propri peregrini
teoremi riguardanti un - supposto - legame di fedeltà politica che avrebbe da
sempre connaturato e ispirato l'opera pearceana: ci si riferisce ai soliti inquisitori
che, inutilmente, hanno più volte cercato di boicottare e travisare l'opera di
Death In June adducendo come motivazione di fondo inverosimili affiliazioni
politiche destrorse dell'autore britannico. Rimarrebbero delusi, i nostri, nello
scoprire una volta di più l'assoluta predominanza del dato creativo
connaturato all'opera di Pearce, che mai presta il fianco a qualsivoglia
travisazione metartistica: Death In June non ha, e non hai mai avuto, alcuna
pretesa di ricostruzione o lettura storica. Death In June è, ed è sempre stato,
il canto drammatico e apocalittico di un'Europa morente.
Straordinaria opera d’obbligo, dunque, per tutti coloro che hanno amato, amano e
continueranno ad amare incondizionatamente la marcia, silenziosa e solenne, di
Douglas Pearce.