1. Algiers - Algiers
Un gospel apocalittico à-la Bad Seeds… è così che potremmo avere la tentazione di liquidare questo disco a un primo distratto ascolto. Se però ci si lascia risucchiare dal vortice caleidoscopico che l’album è capace di generare, ci si perde nella moltitudine di forme bizzarre che scaturiscono dal rimescolarsi di elementi, tutto sommato semplici e ben noti, che in questa riuscitissima alchimia guadagnano vita nuova. I decenni 80 e 90, l’hip-hop, l’industrial, sì! Ma il tutto assimilato in modo sano e assolutamente attuale.
2. Sufjan Stevens - Carrie & Lowell
Un disco dedicato alla madre scomparsa, alle emozioni mancate e inesorabilmente irrecuperabili di un’infanzia difficile; operazione questa che poteva risultare quantomeno patetica, ma il vecchio Sufjan ne esce alla grande con la disarmante potenza, e semplicità al tempo stesso, di una scrittura di testi e musica indiscutibilmente autentica. Un disco folk senza nessuna pretesa stilistica, senza colpi di scena, realizzato in piena e consapevole assenza di una qualsivoglia ricerca sonora, quasi a voler dire: vi offro il mio cuore, nel buio totale di una ragione spenta, fatene ciò che volete… Forse era proprio ciò che ci voleva.
3. Mariah - Utakata No Hibi (reissue)
Un disco realizzato nei primi anni 80, uscito nell’83, stampato allora in solo poche copie. “Utakata no Hibi” riscoperto per caso da un dj nel 2008, è diventato man mano fino ad oggi un disco di culto anche in Occidente. Delicatezza e grazia d’Oriente, post-punk-wave e minimalismo si prendono per mano, abbandonandosi in tutta naturalezza in un’elegante danza senza tempo. E’ bello pensare a quanti altri piccoli capolavori come questo potrebbero giacere impolverati e dimenticati in cantine e soffitte, qua e là per il mondo.
4. Holly Herndon - Platform
Indubbiamente mancano, da ormai almeno due decenni, innovazioni tecnologiche che vadano a stimolare curiosità e crescita artistica dei musicisti del nostro tempo, soprattutto se consideriamo l’ambito elettronico. Era facile, da un lato, creare ambientazioni sonore nuove o inedite, quando negli anni 60 e 70 si affacciavano sul mercato i primi synth, le prime drum-machine, e poi in seguito la sintesi in Fm, i campionatori, e poi ancora il Pc… Tanti bei giocattolini con cui stimolare la propria fantasia e la propria crescita. Adesso, paradossalmente, la situazione è diversa, ed è sempre più difficile creare un sound proprio e inconfondibile dovendo, in definitiva, usare sempre gli stessi logori espedienti. Holly Herdon con questo bellissimo disco ci riesce, creando appunto una vera e propria “platform” di multilinguismo, elettronico… e non solo.
5. Kamasi Washington - The Epic
Un disco che forse sarebbe dovuto uscire più di 40 anni fa, ma che per qualche strana ragione si è materializzato solo ai giorni nostri? O forse la pubblicazione di quest’opera è solo una provocazione rivolta a un mondo “indie” ormai palesemente a corto di idee? Fatto sta che “The Epic” convince per l’energia pura e la vitalità che sprigiona, tanto da risvegliare i vecchi spiriti del jazz, da anni assopiti, impolverati e occlusi da manierismi freddi e autoreferenziali. Un jazz “conforme” ma non “conformista”, che si sdogana a sorpresa nel mondo “indie”, nonostante soli modali a fiume e tecnicismi smodati.
1. | Algiers - Algiers | |
2. | Sufjan Stevens - Carrie & Lowell | |
3. | Mariah - Utakata No Hibi (reissue) | |
4. | Holly Herndon - Platform | |
5. | Kamasi Washington - The Epic |