The Beatles
“Let It Be - SuperDeluxe Edition”
(5Cd+Blu-ray Apple Records, 2021)
“We don’t want any of your production shit on this record” (“Non vogliamo nessun tocco della tua produzione di merda su questo disco”) furono le parole che John Lennon indirizzò a George Martin, storico produttore dei Beatles, quando questi, durante una sessione di registrazione, appuntò che la sua chitarra fosse scordata. “Let It Be”, presunto canto del cigno del gruppo, fu concepito sotto tali chiari di luna. È tuttavia opportuno tornare indietro di qualche anno per comprendere perché si arrivò a questo punto.
L’estate del ’67 rappresentò uno dei momenti più intensi della storia del quartetto di Liverpool: i Beatles avevano smesso di esibirsi dal vivo da meno di un anno per dedicarsi all’elaborazione di nuove idee musicali, sfruttando le tecnologie all’avanguardia messe a loro disposizione dagli studi londinesi della Emi. I risultati furono a dir poco incoraggianti e per i Fab Four incominciò un nuovo ciclo artistico, durante il quale il processo compositivo fu efficacemente integrato da un massiccio lavoro di produzione. “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” venne pubblicato nei primi giorni di giugno e riscontrò un immediato successo di critica e pubblico.
Per i nostri, però, la “Summer Of Love” non ebbe in serbo soltanto positività: il 27 agosto Brian Epstein morì a soli 32 anni per overdose di farmaci. Lo storico manager ebbe intuizioni di marketing che amplificarono su scala mondiale (ad esclusione delle Filippine, via) il genio dei Beatles. Epstein era più di un semplice impresario e la sua autorità funse spesso da collante per il gruppo, che ne apprese la dipartita con sgomento mentre si trovava a Bangor, nel Galles, per assistere a un seminario del Maharishi Mahesh Yogi.
La frequentazione del filosofo indiano, ideatore della tecnica di meditazione trascendentale, avrebbe caratterizzato la svolta mistica dei Beatles che, a partire dal febbraio ‘68, progettarono di ritirarsi per diversi mesi in meditazione nel suo ashram di Rishikesh, in India, assieme alle proprie compagne (Cynthia Powell Lennon, Jane Asher, Pattie Boyd Harrison, Maureen Cox Starkey) e altre personalità del mondo dello spettacolo (Donovan, Mike Love, Paul Horn, Mia, Prudence e John Farrow, Nancy Cooke de Herrera, Tim Simcox, Jenny Boyd, Lewis Lapham, Alexis “Magic Alex” Mardas). Ringo resistette un mese prima di tornare a Londra. Paul due. John e George quasi tre: questi ultimi abbandonarono scandalizzati l’ashram dopo aver appreso che, proprio in quei giorni, il loro guru riservò particolari attenzioni a una giovane ospite. L’episodio ispirò a Lennon lo sdegnoso testo provvisorio, poi sostituito per ovvi motivi, di “Sexy Sadie” (1968), una delle sue migliori composizioni.
Una volta tornati alla “normalità” londinese, i Beatles incominciarono paradossalmente a disgregarsi. Venuta a mancare la guida di Epstein, McCartney prese definitivamente le redini della band senza tuttavia occuparsi della sua gestione amministrativa: ciò ne provocò in breve il collasso finanziario che l’avrebbe condotta nelle fauci fameliche dello spregiudicato avvocato newyorkese Allen Klein, discusso manager di Sam Cooke e Rolling Stones.
Il 30 maggio 1968 incominciarono le sessioni di registrazione che portarono, nel giro di pochi mesi, alla pubblicazione del “White Album” (novembre ‘68). Lennon si separò da Cynthia, prese a frequentare stabilmente Yoko Ono e ad assumere eroina. Harrison maturò come compositore e, giustamente, incominciò a pretendere più spazio. Starr si sentì emarginato dalle dinamiche del gruppo e, in due occasioni, minacciò di abbandonare la band. Tutto ciò, unito a una sequela di frequentazioni sbagliate (Magic Alex) e investimenti fallimentari (Apple Boutique), fece arrivare i Beatles ai ferri corti.
Per salvare il salvabile e forzare almeno in apparenza il contenimento dei livori, i quattro decisero di commissionare al regista Michael Lindsay-Hogg (figlio illegittimo di Orson Welles, si vocifera) un documentario che li filmasse durante la composizione del nuovo album nella cornice di un teatro di posa. Le riprese ebbero inizio durante i primi giorni di gennaio ’69 e si svolsero quotidianamente all’interno dei Twickenham Studios, nel sobborgo londinese di Richmont upon Thames. Dopo poche settimane George, estenuato dalla fatica di raggiungere lo studio dalla sua tenuta di Esher, nel Surrey, minacciò di abbandonare il progetto se il set non si fosse immediatamente trasferito a Londra, al 3 di Savile Row, nel quartier generale della Apple Corps Ltd., a un tiro di schioppo da Piccadilly Circus.
Il gruppo tornò dunque in un ambiente più familiare rispetto a quello asettico e vagamente ostile dello studio cinematografico e, ancora una volta, fece affidamento su fattori esogeni per placare le frizioni interne. Fu così che venne chiamata a partecipare alle sessioni una vecchia conoscenza, Billy Preston, precedentemente organista di Little Richard, che i ragazzi incontrarono per la prima volta durante una tournée nel 1962. Si conclusero dunque le riprese del documentario per il cui finale, fin dall’origine, fu previsto un concerto epico. Scartate diverse ipotesi assurde e costose, i quattro decisero di eseguire dal vivo, sul tetto del palazzo della propria società, una breve selezione di brani più o meno recenti. Il 30 gennaio ’69, intorno all’ora di pranzo, si diffuse una musica assordante dalla cima di un elegante edificio del centro di Londra: chi si trovò a transitare per Savile Row nell’arco di quei 42 minuti assistette all’ultima performance dal vivo dei Beatles come gruppo.
C’è un curioso aneddoto che Roag Best, fratellastro di Pete nonché figlio di Neil Aspinall (road manager dei Beatles) e Mona Best (proprietaria del Casbah Club di Liverpool e prima impresaria dei Beatles), ama raccontare agli avventori del Casbah e del Liverpool Beatles Museum, da lui gestiti: alla fine del “rooftop concert”, prima che Lennon declami la celebre frase “I would like to say ‘thank you’ on behalf of the group and ourselves and I hope we passed the audition” (“vorrei dire ‘grazie’ da parte del gruppo e di noi stessi e spero che abbiamo passato l’audizione”), si sente McCartney esclamare “thanks Mo’!” (“grazie Mo’!”). Roag sostiene che, nel corso di un’intervista che fece a Paul, questi abbia dichiarato che il ringraziamento non fosse diretto a Maureen, moglie di Ringo, seduta di fronte a loro in quel momento e che stava applaudendo, ma a Mona Best. Un omaggio per aver creduto in loro fin dagli esordi, pronunciato in extremis con la consapevolezza che quella sarebbe stata la loro ultima apparizione pubblica.
L’album in lavorazione, intitolato provvisoriamente “Get Back”, fu concepito come una sorta di ritorno alle origini. La tracklist avrebbe dovuto prevedere un’alternanza di nuove e vecchie composizioni registrate durante le riprese del documentario. I Beatles scelsero perfino di richiamare la copertina del loro album di debutto, “Please Please Me” (1963), chiedendo al medesimo fotografo, Angus McBean, di ritrarli nello stesso punto e nell’identica postura della foto originale, ossia sporti dalla balaustra delle scale interne degli uffici londinesi della Emi in Manchester Square. Il 13 maggio 1969, nonostante fossero trascorsi solo sei anni, i quattro apparvero profondamente mutati: le caratteristiche pettinature “mop top” degli inizi furono rimpiazzate da barbe, baffi e capelli lunghi; gli eleganti abiti sartoriali di Beno Dorn di Birkenhead furono sostituiti da un abbigliamento casual (in realtà nemmeno troppo: Lennon e Harrison indossarono i completi chiari gessati realizzati per la tournée del ‘66). George Martin non fu coinvolto nella produzione dell’album e alla console ci sarebbe stato l’ingegnere del suono Glyn Johns (già collaboratore, tra gli altri, di Georgie Fame, Rolling Stones, Pretty Things, Small Faces, Procol Harum e Traffic). Il progetto, però, fu temporaneamente accantonato.
I Beatles, a quel punto, erano più o meno consapevoli di essere giunti alla fine. Assorti ormai in progetti individuali, optarono per un’uscita di scena degna della più grande rock band che ci fosse stata e mai ci sarà: si misero dunque a lavorare, assieme a George Martin, sul loro ultimo, meraviglioso album che, pubblicato nel settembre ‘69, fu intitolato con il nome della strada sulla quale si affacciano gli studi che testimoniarono la creazione di quasi tutti i loro successi.
Venerdì 8 agosto McCartney, al lavoro su “Oh! Darling”, e i tre compagni, nello studio accanto a rifinire “I Want You (She’s So Heavy)” e “The End”, si concessero una pausa e uscirono dalla palazzina della Emi per attraversare le strisce pedonali situate appena fuori, facendosi ritrarre da Iain Macmillan nell’iconico scatto scelto per la copertina di “Abbey Road” (1969).
Il 20 agosto 1969 fu l’ultima data in cui i Beatles si incontrarono in uno studio (Abbey Road), per le sovraincisioni di “I Want You (She’s So Heavy)”. Curioso pensare che tale occasione sia stata spesa per completare una fervente canzone d’amore dedicata a Yoko Ono.
Due giorni dopo, il 22 agosto, si diedero appuntamento nella magione di John, Tittenhurst Park, nel Berkshire, per l’ultimo servizio fotografico ufficiale. I fotografi furono Ethan A. Russell e Monte Fresco, con l’ausilio del fido Mal Evans.
In un giorno imprecisato tra il 15 e il 19 settembre dello stesso anno si tenne un incontro d’affari negli studi della Apple di Savile Row: fu l’ultima occasione in cui i quattro si ritrovarono assieme in una stanza.
Nel frattempo si decise di rimettere mano ai nastri di “Get Back”. Allen Klein premette affinché i mix effettuati da Glyn Johns nel maggio ’69 e nel gennaio ’70 venissero scartati e convinse Lennon, Harrison e Starr ad affidare il materiale a Phil Spector, che avrebbe dovuto ricomporre i frammenti delle registrazioni e conferire forma compiuta al disco. Il produttore statunitense lavorò con ammirevole dedizione sulle scadenti incisioni effettuate ai Twickenham Studios e alla Apple. Ciò che ne risultò, però, rappresentò la goccia che fece traboccare il vaso, in quanto McCartney non apprezzò per nulla le orchestrazioni che Spector riservò ad alcuni suoi pezzi (specialmente “The Long And Winding Road”). Ma i giochi erano fatti e, l’11 marzo 1970, Harrison dichiarò alla Bbc l’imminente uscita di un nuovo album dei Beatles intitolato “Let It Be”.
L’Lp venne pubblicato l’8 maggio 1970, un mese dopo la diffusione da parte di McCartney di un’auto-intervista nella quale lasciò implicitamente intendere di aver lasciato i Beatles. Raggiunse immediatamente la prima posizione nelle chart britanniche e americane e da esso furono estratti due singoli: la traccia eponima e “The Long And Winding Road”, che conquistarono il primo posto della classifica statunitense. Nonostante gl’incoraggianti risultati di vendita, “Let It Be” non fu accolto positivamente dalla critica e, forse per la sua incoerenza strutturale, rimane uno dei lavori più discussi della discografia dei Fab Four.
Nel 2003 fu dato alle stampe “Let It Be… Naked”, tra i primi, opinabili tentativi di McCartney di riscrivere la storia. L’idea di base era di “correggere gli errori” contenuti nell’Lp originale, affidandone il remix ad Allan Rouse e includendovi la lennoniana “Don’t Let Me Down” che, obiettivamente, avrebbe apportato indubbia qualità all’album. “Let It Be… Naked” è tuttavia considerato un “novelty”, un gadget di poco conto destinato esclusivamente ai cultori del gruppo e non è contemplato nel box set che ci accingiamo a trattare.
Il 15 ottobre 2021, con un anno di ritardo imputabile alla pandemia, esce nei negozi l’edizione celebrativa del cinquantesimo anniversario di “Let It Be”. Disponibile in ben cinque formati (SuperDeluxe 5cd+blu-ray, SuperDeluxe 5Lp, DeLuxe 2cd, Standard 1cd e Standard 1Lp), prenderemo in considerazione la versione SuperDeluxe in cd (€107,00 su Amazon).
Il box presenta un cd con i nuovi mix stereo dell’album originale eseguiti da Giles Martin; un cd di versioni alternative delle “Get Back/Apple Sessions”; un cd di prove e jam session; un cd contenente il mix di Glyn Johns del ’69 di “Get Back”; un cd contenente due mix, sempre di Johns, del 1970 e nuovi mix dei singoli “Let It Be” e “Don’t Let Me Down”; un blu-ray contemplante le versioni stereo ad alta risoluzione dei nuovi mix in Dolby Atmos e 5.1.
Il mix effettuato da Giles Martin, figlio ed erede artistico di George, è al solito sorprendente: come accaduto per le precedenti edizioni SuperDeluxe del catalogo beatlesiano (“Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” del 2017, lo straordinario box dedicato a “The Beatles” - aka “White Album” - del 2018 e “Abbey Road” del 2019), anche nel caso di “Let It Be” siamo di fronte a un accurato lavoro di pulizia generale e di enfatizzazione delle basse frequenze (la cassa di Starr ha acquisito corpo e presenza in “Two Of Us”, così come il basso di McCartney in “Dig A Pony”, “I’ve Got A Feeling”, “One After 909” e “Get Back”). Martin, consapevole che l’abuso di nuove tecnologie possa portare a una rapida obsolescenza dei remix, ha prestato attenzione a non rendere i suoni troppo brillanti e digitali. Il risultato è eccellente e il materiale presente in questa nuova edizione di “Let It Be” non è mai stato tanto leggibile, cristallino e diretto.
“I Me Mine”, “Across The Universe”, “Let It Be”, “The Long And Winding Road” e “For You Blue” sono qui rappresentate in tutto il loro splendore, così come il lavoro di Glyn Johns e le outtake. È davvero emozionante ascoltare i primi abbozzamenti di “All Things Must Pass” (Harrison) e “Gimme Some Truth” (Lennon) con i vocalizzi di McCartney, nonché delle canzoni che avrebbero preso forma su “Abbey Road”.
Riguardo alla scelta degli extra, si è operata una selezione delle cinquantadue ore di registrato disponibile. Martin afferma di aver prediletto la qualità delle esecuzioni e di aver compiuto una meticolosa cernita al fine di evitare noiose ripetizioni. A plurime take dello stesso pezzo sono state preferite versioni che mostrassero gli stadi di lavorazione dell’opera e questo, nonostante suoni come un duro colpo inferto ai completisti, è un punto di merito da riconoscere alla produzione. Detto ciò, l’omissione dell’intero concerto sul tetto e la presenza di outtake precedentemente disponibili in pubblicazioni ufficiali rende l’operazione piuttosto deludente agli occhi di chi scrive.
Presente nel box è un libro di oltre cento pagine con la prefazione di McCartney, l’introduzione di Giles Martin, due pagine d’interessanti memorie di Glyn Johns, cinque pagine vergate da John Harris sulla storia delle “Let It Be Sessions” e, soprattutto, un lungo approfondimento di Kevin Howlett sulla lavorazione di ciascun pezzo presente nell’album (comprese le outtake “Don’t Let Me Down”, “Teddy Boy” e “All Things Must Pass”) e sui passaggi che hanno portato i Beatles ad abbandonare il progetto “Get Back” in favore di “Let It Be”. Il libro è ricco di foto inedite, riproduzioni di manoscritti originali, preziose didascalie che fanno definitivamente luce su alcuni interrogativi che imperversavano tra i beatlesiani più accaniti in merito a chi avesse suonato cosa, dove e quando.
I cinque cd e il blu-ray sono contenuti in custodie protettive cartonate inserite in un sottile involucro a libro, che riporta in copertina quattro foto individuali dei membri della band e, all’interno, il celebre, secondo ritratto del gruppo ad opera di Angus McBean.
Pochi giorni prima della pubblicazione del cofanetto è uscito nei negozi di tutto il mondo “Get Back”, un libro di quasi 240 pagine che fa da corredo all’omonimo documentario montato dal regista neozelandese Peter Jackson, frutto di una selezione di cinquantasei ore di filmati inediti e centocinquanta ore di audio mai ascoltati prima. Il libro, distribuito sul mercato nazionale e tradotto in italiano da Mondadori (€37,05 su Amazon), contiene foto di Ethan A. Russell e Linda McCartney, fotogrammi tratti dal film e la trascrizione dei dialoghi dei musicisti e del personale. Tutto il materiale proviene dalla lavorazione di “Let It Be” e risale alle sessioni avvenute nei Twickenham Studios e nella Apple. La pellicola, contenuta nella durata di sei ore (!), sarà resa disponibile sulla piattaforma streaming a pagamento Disney+ a partire dal 25 novembre.
Anche in merito al film ci sarebbe da ridire, in termini di bieco revisionismo. Il “Let It Be” diretto e montato da Michael Lindsay-Hogg, mai ristampato in videocassetta o Dvd, offriva uno spaccato amaro ma realistico sulla fine del gruppo e rappresentava comunque un documento imprescindibile per chi volesse conoscerne le dinamiche interne. La nuova operazione lo relegherà definitivamente all’oblio. Dopotutto è lo stesso McCartney, nella prefazione del libro contenuto nel box, a svelare l’intento di rivisitare quanto accaduto realmente per lasciare ai posteri un’immagine diversa di sé e del gruppo: “The constant filming began as a minor irritation, but we aventually forgot the cameras were there, and the footage that was gathered turned out to be be the film ‘Let It Be’. Now the material has been looked at carefully by the film director Peter Jackson and he has restored its quality to look like it was filmed yesterday and edited it into a new film called ‘Get Back’. I had always thought the original film ‘Let It Be’ was pretty sad as it dealt with the break-up of our band, but the new film shows the camaraderie and love the four of us had between us. It also shows the wonderful times we had together and, combined with the newly remastered ‘Let It Be’ album, stands as a powerful reminder of this time. It is how I want to remember the Beatles” (“Le continue riprese cominciarono a diventare un po’ irritanti, ma alla fine riuscimmo a dimenticare che le telecamere fossero lì e il girato, messo assieme, divenne il film ‘Let It Be’. Quel materiale è stato oggi selezionato attentamente dal regista Peter Jackson, che ne ha restaurato la qualità come se fosse stato girato ieri e l’ha modificato facendolo diventare un nuovo film chiamato ‘Get Back’. Ho sempre pensato che il film originale, ‘Let It Be’, fosse piuttosto triste in quanto testimoniava lo scioglimento del nostro gruppo, ma la nuova pellicola mostra il cameratismo e l’amore che scorrevano tra noi quattro. Presenta inoltre il periodo meraviglioso che abbiamo trascorso assieme e, combinato con l’album ‘Let It Be’ appena rimasterizzato, si erge a potente promemoria di quell’epoca. È così che voglio ricordare i Beatles”).
Noi, invece, vorremmo ricordare i Beatles per ciò che sono stati, con quei pregi e difetti che resero umana una produzione sovrannaturale per la quale risulta superflua ogni forma di revisionismo.
(24 ottobre 2021)
1. Two Of Us
2. Dig A Pony
3. Across The Universe
4. I Me Mine
5. Dig It
6. Let It Be
7. Maggie Mae
8. I’ve Got A Feeling
9. One After 909
10. The Long And Winding Road
11. For You Blue
12. Get Back
Cd 2: Get Back – Apple Sessions
13. Morning Camera (Speech) / Two Of Us (Take 4)
14. Maggie Mae / Fancy My Chances With You *
15. Can You Dig It?
16. I Don’t Know Why I’m Moaning (Speech)*
17. For You Blue (Take 4)
18. Let It Be / Please Please Me / Let It Be (Take 10)
19. I’ve Got A Feeling (Take 10)
20. Dig A Pony (Take 14)
21. Get Back (Take 19)
22. Like Making An Album? (Speech)
23. One After 909 (Take 3)
24. Don’t Let Me Down (First Rooftop Performance)
25. The Long And Winding Road (Take 19)
26. Wake Up Little Susie / I Me Mine (Take 11)
Cd 3: Rehearsals and Apple Jams
27. On The Day Shift Now (Speech)*/All Things Must Pass (Rehearsals)
28. Concentrate On The Sound *
29. Gimme Some Truth (Rehearsal) *
30. I Me Mine (Rehearsal) *
31. She Came In Through The Bathroom Window (Rehearsal) *
32. Polythene Pam (Rehearsal) *
33. Octopus’s Garden (Rehearsal) *
34. Oh! Darling (Jam)
35. Get Back (Take 8)
36. The Walk (Jam)
37. Without A Song (Jam – Billy Preston With John And Ringo)
38. Something (Rehearsal) *
39. Let It Be (Take 28)
Cd 4: Get Back Lp – 1969 Glyn Johns Mix
40. One After 909
41. Medley: I’m Ready (Aka Rocker) / Save The Last Dance For Me / Don’t Let Me Down
42. Don’t Let Me Down
43. Dig A Pony
44. I’ve Got A Feeling
45. Get Back
46. For You Blue
47. Teddy Boy
48. Two Of Us
49. Maggie Mae
50. Dig It
51. Let It Be
52. The Long And Winding Road
53. Get Back (Reprise)
Cd 5: Let It Be Ep
54. Across The Universe (Unreleased Glyn Johns1970 Mix)
55. I Me Mine (Unreleased Glyn Johns1970 Mix)
56. Don’t Let Me Down (New Mix Of Original Single Version)
57. Let It Be (New Mix Of Original Single Version)
Blu-ray
The album as PCM stereo 94/24, DTS HD Master Audio 5.1 96/24 and Dolby Atmos 48/24
58. Two Of Us
59. Dig A Pony
60. Across The Universe
61. I Me Mine
62. Dig It
63. Let It Be
64. Maggie Mae
65. I’ve Got A Feeling
66. One After 909
67. The Long And Winding Road
68. For You Blue
69. Get Back