Dieci Piccoli Italiani

Dieci Piccoli Italiani - N. 101 - Gennaio 2020

di AA.VV.

01_juliell.JULIELLE - (A)CROSS Ep (La Rivolta, 2019)
songwriter, elettropop, bedroom pop

Influenzata equamente da Beatles, Edith Piaf ed elettroniche avvolgenti con i beat mai troppo in primo piano, quali quelle di Flume e Bobobo, la leccese Julielle suona e scrive canzoni da quando ha dieci anni. Suo primo Ep, “(A)cross” arriva dopo un periodo di forte esposizione ed evidente ispirazione, durante il quale la cantautrice ha potuto confrontarsi con platee vaste, partecipando al Reeperbahn Festival di Amburgo e aprendo la data dei Cigarettes After Sex al Medimex di Taranto. Questa breve collezione di canzoni mostra chiaramente due cose, entrambe entusiasmanti. La prima è senz’altro la grande sensibilità di Julielle, che non ha mai paura di schiudere lo scrigno delle sue emozioni, in canzoni che tracimano sensibilità e fragilità. La seconda è che le intuizioni musicali della Nostra vanno oltre le influenze dichiarate, lambendo anche se per fugaci lampi territori inusitati. “Toys” e soprattutto “Survivors” si ascrivono convintamente alla nuova scuola cantautorale alt-r’n’b’, mediante l’utilizzo ovattato dei beat e certe intersezioni di synth e voci di invenzione Blake-iana; mentre i synth giocattolo titubanti ed agrodolci di “Aliens And Flowers” fanno venire in mente addirittura la fantascienza da cameretta dei Grandaddy. Chiude “Ether”, una sentita piano-ballad che proietta Tori Amos sul muro della cameretta al lume di una tastiera sintonizzata su luccicanze boeme. Se la songwriter pugliese farà ordine tra le sue tante idee e troverà una coerenza di insieme che forse ancora un po’ manca, il suo primo Lp potrebbe rivelarsi molto interessante. Come lo sarebbe anche sentirla cimentarsi con qualche brano in italiano (Michele Corrado, 7/10)


02_lavversaL’AVVERSARIO - SANGUE SANGUE (New Model Label, 2019)
songwriter

Andrea Manenti, varesotto, vara il moniker L’Avversario a partire dal primo “Lo Specchio” (2018), di comune accordo col titolo un disco simmetrico-palindromo che a metà della sua durata torna in reverse al suo principio: ne esce un concept di certo psichedelico ma pure fortemente personale (“Alfa”/”Omega”, “Ginger Song”/”Le feste”). Con il secondo “Sangue Sangue” Manetti trasforma il progetto in vera band e le (non-)canzoni in ampie lamentazioni dal tono elegiaco. L’epitaffio slowcore della title track si trascina tra le cupe sincopi del contrabbasso e l’assolo circolare della chitarra verso un lieve crescendo della bruma circostante. I 10 minuti di “Cranio” e la più breve “La città sta male” ridondano, limitandosi a sottolinearne i modi atmosferici. Un cambio apprezzabile (in primis di tempo) sta nei controtempi supersonici di “La nebbia”, altra maratona di 10 minuti, pure lievemente jazzata grazie al tour de force di note staccate di piano (un po’ aulico alla Wim Mertens, un po’ inquieto come una pendola apocalittica). Dalla jam che ne segue nasce una melodia sempliciotta ma ipnotica, distante e rarefatta, ben contrastante con il martellare a locomotiva della sezione ritmica, che alla fine deflagra. L’ultimo recital della sconsolatezza è “Non voglio più niente”, praticamente un triste preludio di Chopin intarsiato dalla chitarra della “Wicked Game” di Chris Isaak e da un canto rifratto tra i propri stessi echi. Già membro di Downlouders e Mind Drop, Manenti affresca la sua più intima perdizione anzitutto nel recupero della tradizione del canto filtrato/sfigurato, qui lo stridulo autotune preso di peso dalla trap, con icasticità volutamente sgradevole e giustificato, supportato e nobilitato da riferimenti ai pensatori della post-umanità (Sartre, Schopenhauer, Houellebecq). Talvolta contagiato da pomposa rigidità, si regge sul suono in presa diretta, distinta la magia dei comprimari (“Tsuna” Tomassini, Tavino, Schapira), e la sottile ma ben distribuita postproduzione elettronica. Fastidio, producer, in regia: unico aiuto. Il fratello Paolo all’artwork (Michele Saran6,5/10)


03_gastoGASTONE - (II) (Mattonella, 2019)
alt-pop

Nei Gastone di Leonardo Antinori (voce e multistrumentista) e Marco Bertuccioli (chitarra) entrano in pianta stabile il basso (Tommaso Tarsi), ma soprattutto un violino (Edoardo Brandi) che nel primo omonimo “Gastone” (2017) e nel conseguente tour dal vivo era poco più di una comparsa. Una nuova coscienza, quasi decostruzionista, anima così i quattro di Gabicce nel secondo “(II)”. “Transatlantico” è un pezzo da gruppo vocale vecchio stile mandato a tripla velocità e sfasato in controtempo. Di più e meglio, il fraseggio atonale della chitarra, la ritmica informe e la cantilena da giullare (oltre al ritornello ricoperto di violino e un coro di bassi), in “Invecchiando”, li teletrasportano magicamente a certo suono di Canterbury. “Ombra” ambisce alla suite progressiva Radiohead-iana; più convincente il cantico funereo di “Condoglianze”, e il suo refrain agrodolce in dissonanza, a culminare in un momento di acida jam jazz-rock. “Letargo” vanta un ritornello paradossale: si avvia in impennata come da canonica forma-canzone, ma tende a sbriciolare una melodia già fratturata, anziché darne un culmine. Disco altamente nostalgico e “canino” (Gastone, cane disperso nell’Adriatico) e uno dei rari parti di pop italiano che ritratta sé stesso e la propria appartenenza, pur non negandola del tutto, e dove la dimensione melodica quasi intralcia. Un po’ squilibrato nel rapporto tra testi e strutture, tra le asprezze e le disarticolazioni armoniche della chitarra (che istinto creativo Bertuccioli!) e il languore poetante svanito del canto, ma con vigorose intuizioni degne del cantautore psichedelico. Produzione: Alessandro Gobbi (Michele Saran, 6,5/10)


04_ayahuasca_600AYAHUASCA - NAAD (Salty Dog, 2019)
psych-rock

Psych-rock ad alto contenuto lisergico in diretta da Parma. Dopo qualche singolo promosso dalla Salty Dog, label indipendente di stanza a Melbourne, ecco il primo album, pubblicato sempre dall’etichetta australiana. Ma lo smalto internazionale i “nostri” AyahuascA dimostrano di averlo nel Dna, vista la totale assenza di timore nell’avvicinarsi tanto ai pirotecnici assoli chitarristici di Jimi Hendrix, quanto ai synth che miscelano con fedele competenza Doors e Pink Floyd (basti a tal proposito l’ascolto della conclusiva “The Seer And The Queen”). Un viaggio siderale che punta sulla dicotomia della doppia voce femminile e maschile, con il plus di snelli intermezzi strumentali (“Before Death”, “Before Life”, “Underwater”) perfetti per mantenere un’opportuna dinamica nello sviluppo del disco. La seconda parte degli anni Sessanta è il periodo di riferimento, per un lavoro che potrà essere apprezzato non soltanto dagli inguaribili nostalgici dell’epoca psichedelica (Claudio Lancia, 6,5/10)


05_brillBRILLA - LA TUTA DI GOLDRAKE (Pioggia Rossa, 2019)
alt-pop

Andrea Brilla, “metà ligure e metà toscano” (nato a Imperia, cresciuto a Firenze), debutta sulla lunga distanza con l’autobiografico “La tuta di Goldrake”, una collezione di ritornelli corali cantati come inni, quantomeno con tutto l’impegno serioso del caso: “Non siamo vergini”, “Sono le due di notte”, “Jasmine” (riff vagamente pigliato da “Today” degli Smashing Pumpkins), “La tuta di Goldrake” (con solo luminescente di tastiere). Questo percorso un po’ troppo meditabondo ha in due pezzi, peraltro parecchio distanti tra loro, tanto il culmine quanto il superamento. “Quel senso di sete”, finora la più maestosa, comincia sfumata, accecata dalle tastiere, per poi rilasciarsi in un balletto da discoteca, e “Gennaio” adotta un fare da bubblegum demenziale ma svolto con la nettezza dinamitarda del punk-pop. Gli discende il foxtrot alla Stan Ridgway di “A merenda un pugno di chiodi”, e infine “Ferite”, altra danza folk-rock, a dispetto del titolo il ricompattamento delle due direttrici, il tempo vispo e l’innodia, per l’occasione raggiungendo quasi un’ascesi chiesastica. Concept di regressione, una discesa dall’età matura all’infanzia, un “Posto delle fragole” dell’italianità all’ombra della grande città. Scritto con perfetta conoscenza della forma-canzone più classica, suonato con pochi efficaci mezzi, per quanto talvolta grezzamente, prodotto (con Cominotto) al contrario con un certo manierismo kitsch che comunque non sbava. Non campioni di profondità, né d’ironia, i pezzi comunicano allora proprio tramite questa finitezza testual-musicale implacabile quanto contagiosa, definitiva al punto da permettere all’autore un piccolo gioco di tonalità: dall’allegria crepuscolare alla divertita rassegnazione, dal ricordo remoto al commentario presente. Singoli: giustamente “Gennaio” e “Quel senso di sete”. Seguito del primo “Brilla Ep” (2016). Co-edito con Dischi Soviet Studio (Michele Saran6,5/10)


06_lasortLA SORTE - ITACA (Sins, 2019)
new wave

Veronesi, i tre La Sorte debuttano con l’Ep di tre pezzi “Cassandra” (2016), contenente le prime versioni di “AK47 non è una sonata di Mozart” e “Principessa performante”, nella vena della pop-wave dei Cars. Il debutto lungo “Itaca” esagera quelle componenti, tanto le armonie vocali sbracate che danno origine a filastrocche appassite, ripetitive ma fratturate, e spesso fortemente ritmate, quanto un’armatura barocca di pedali e compressioni, talmente pronunciata da sfregiare l’armonia: la nuova versione di “Principessa performante”, con epico assolo cartoonesco, “L’acchiappafantasmi”, “Eventualmente alla resa dei conti”, “La zarina di tutte le Russie”, “Benzodiazepine la mattina”. Ancora meglio, in questo senso, una “Sfoga zio” senza parole ma con risatine sparse. “Tel Aviv” potrebbe assurgere allo status di loro (immaturo) inno. Nelle intenzioni un concept di viaggio pseudo-mitologico, ma più confessione psicanalitica sulla rottura amorosa. A parte pesanti rimandi alla musica glam e a certi Bluvertigo, comunque coniugati al post-punk, qualche volta al reggae, qualche altra al synth-pop, di questo power-trio all’esordio (Giorgio Pighi, Matteo Piomboni e Zeno Camponogara) colpisce l’irruenza, la rozza ma febbrile rielaborazione in corsa – spesso e volentieri uno scompaginamento – del materiale di partenza. Come pure la capacità di portare a casa la melodia, nonostante tutti i disturbi e le puerilità intellettualoidi. Tanto ripetitivo quanto insistente. Ha un equilibrio tutto suo (Michele Saran6/10)


07_gringogGRINGO GOES TO HOLLYWOOD - SETTEMBRE Ep (OrangeHome, 2019)
alt-rock

Andrea “Gringo” Guidobono e Davide “Dave” Chioggia, rispettivamente voce/chitarra e batteria, base a Sestri Levante, sono i Gringo Goes To Hollywood. Nell’Ep “Settembre” il loro canzoniere continua a modellarsi: “Come non sai” si apre con un imponente rombo di distorsione sopra un fremito tribale e si arricchisce di qualche scampolo d’improvvisazione blues-rock (precisi gli stacchi) e “Settembre” opta per qualche smaterializzazione atmosferica di gocciolii e gracidii. C’è affiatamento e invidiabile competenza. Come nel primo “Negli occhi degli altri” (2017), ma qui forse più convintamente, i due cercano di scrollar via i riferimenti (Black KeysBud Spencer Blues Explosion), relegandoli alle pure canzoni – la parte più molle e ahimè il grosso del progetto (del blues non prende che una esteriore lamentazione) –, e trovano qualche intellettuale alchimia sonica che sprizza un’essenza d’acre psichedelia. Lo prova in toto, anche se breve e appena sbozzato, lo strumentale quasi-elettronico “Rock elefante”. Registrato live in studio: spontaneità assicurata (Michele Saran6/10)


08_portfoPORTFOLIO - STEFI WONDER (Irma, 2019)
alt-pop

A cinque anni dal precedente “Due” (2014). Tanto tempo per i Portfolio del multistrumentista Tiziano Bianchi serve a un parziale rinnovamento, cioè per importare nel proprio sound folk-rock lunari con tocchi quasi Stereolab come “Io e Stan”, e un paio di soul, vitaminico e martellante come la title track e dissonante, polverizzato in sincopi mozzafiato come “Sunshine”. La tensione e l’instabilità che li pervade trova poi persino un picco nello schizzo strumentale semi-improvvisato di “Fluidità”, rarefatto, tremulo e irreale nella calligrafia del quartomondismo di Jon Hassell. C’è un qualche attivo nel terzo disco lungo in sedici anni d’esistenza degli emiliani: la buona qualità audio – una bella fibra sonica –, e lo scavo black del cantante Giacomo Parmeggiani. Però vince il passivo, una generale malformazione, una transizione verso un futuro ignoto ma probabilmente commerciale (“I suoi organi”), canzoni illanguidite, prive dello scatto delle migliori (“Agosto”, scritta e cantata da Claudia Domenichini, “Che gioia”), e una breve (e timida) chiusa da riallacciare al loro passato post-rock (“Scuola strumentale reggiana”), un riempitivo piuttosto irrelato col resto per raggiungere la mezz’ora di durata. A un tempo metronomico e funambolico il nuovo batterista Marco Frattini (Michele Saran5,5/10)


09_travellTRAVELLIN' SOUTH - WE PLAY FUCKIN' DIRTY BLUES (Filibusta, 2019)
hard-rock

Nome di band e titolo del debutto, i Travellin’ South (un power-trio romano) di “We Play Fuckin’ Dirty Blues”, quasi vanificherebbero il bisogno di recensirli. La musica non poteva che essere un festival della citazione: i Lynyrd Skynyrd in “Road” (con assoletti alla Slash, riff panzer e organetto opalescente), refrain brutto, sporco e cattivo in stile Ac/Dc nella puntatina commerciale di “48 Hours”, uno-due di chitarra e rullante nel rockabilly macho alla Motorhead di “Flames Boogie” (con la migliore evoluzione chitarristica), i ZZ Top più classici di “La Grange” in “One On One”, e così via. Il canto dall’enfasi autoparodistica si evidenzia soprattutto in “Black Silence” e quasi rovina il buon rullo compressore di “Our Life”. Sempre in ritardo di eoni ma già più moderna suona “Devil Slave”, quantomeno aggiornata all’era del nu-metal. Vino scaduto in aceto – il power-blues da pub – versato negli otri di una desueta produzione iperprofessionale che dona una pur non disprezzabile pulizia (ma di certo non quel “Dirty” del titolo). Solidamente incastonato tra senso dello spettacolo e dinamica supersonica, oltre all’usuale virtuosismo monstre. Discreta la chiusa tex-mex (“Hey Muchacha”) (Michele Saran5/10)


10_partinicPARTINICO ROSE - SONGS FOR SAD AND ANGRY PEOPLE (autoproduzione, 2019)
dark-wave

Nati nel 2015 in quel di Ragusa, il quartetto dei Partinico Rose si sostanzia in Vincenzo Cannizzo (voce, chitarra), Massimo Russo (basso), Carlo Schembari (batteria) e Martina Monaca (violoncello). “Slave Of Time”, il pezzo (lunghetto) che apre il debutto “Songs For Sad And Angry People”, enunzia in un colpo solo gli elementi fondamentali dell’opera, panneggio epico di chitarra fin troppo fradicia di distorsione e un’ingenua postproduzione elettronica, e pure il suo problema madornale, la fatica abnorme del canto nel tradurli in componimento vero e proprio. Dello stesso morbo sono affette così “Misanthropy”, con le sue pause, il noise-rock poverello di “The Revenge”, “I’m Looking For A Job” e pure il passabile sprint lisergico quasi Hendrix-iano di “Could You Share My Pain”, tutte zavorrate dallo sforzo canoro enfatico, e alla fine oltremodo ripetitive. Strumentalmente il combo vanta comunque un indiscutibile feeling e ha almeno un’idea al di fuori dell’ordinaria amministrazione delle storie maledette: usare il rock gotico non soltanto per la paranoia dell’esistenza ma anche per la precarietà della congiuntura economica recessiva degli anni 10, pur in ritardo. Sarebbe interessante se a sorreggerla ci fossero anche idee musicali. L’unica, il cello, è dosata col contagocce (pure sprecato nel quasi-demo di “Rehab From You”). Quando il complesso si concentra e mette ordine tra i propri talenti nascono tre canzoni, una di seguito all’altra nel mezzo dell’album, che avrebbero fatto un Ep niente male. “Don’t Leave Me Alone”, ode tenebrosa alla Christian Death, “The Story Of Cancer”, ponderosa e maestosa come la “Thong Song” dei Kyuss, e “The End Of Summer”, ballata lacerata. Forse anche “Mistakes In My Head”, la più punk del lotto. Cannizzo senza il minimo dubbio migliore come chitarrista che come cantante (Michele Saran5/10)

Discografia

JULIELLE - (A)CROSSEp (La Rivolta, 2019)
L’AVVERSARIO - SANGUE SANGUE(New Model Label, 2019)
GASTONE - (II)(Mattonella, 2019)
AYAHUASCA - NAAD(Salty Dog, 2019)
BRILLA - LA TUTA DI GOLDRAKE(Pioggia Rossa, 2019)
LA SORTE - ITACA(Sins, 2019)
GRINGO GOES TO HOLLYWOOD - SETTEMBRE Ep(OrangeHome, 2019)
PORTFOLIO - STEFI WONDER(Irma, 2019)
TRAVELLIN' SOUTH - WE PLAY FUCKIN' DIRTY BLUES(Filibusta, 2019)
PARTINICO ROSE - SONGS FOR SAD AND ANGRY PEOPLE(La Cooperazione Autoproduzioni, 2019)

Pietra miliare
Consigliato da OR