Dieci Piccoli Italiani

N.141 - Maggio 2023

di AA.VV.

01_blaBLAX - MARAVILIA (AlphaOmega, 2023)
hard-goth

I Blax nascono nel 2020 da un’idea condivisa fra il cantante e principale compositore Giampaolo Polidoro e l’esperto chitarrista Marco Fanella, in passato già incontrato su queste pagine con Doctorbrain e I Dottori. Da subito i due si muovono in un contesto fortemente influenzato dall’immaginario hard-goth. Nel 2022 entrano in campo anche Emil Dellantonio, Giulia Balestri e Marco Bergo: la formazione trova così il definitivo assestamento che consente il completamento e la registrazione delle dieci tracce che delineano “Meravilia”. Dopo un incipit dai toni cabarettistici, l’iniziale “Rules Of Meravilia” scopre subito le carte, posizionando il suono in un ipotetico crocevia fra Marilyn Manson e Muse. Gothic rock, dicevamo, scuro e vibrante, ma all’interno del quale le linee melodiche risultano sempre predominanti. Evidenti richiami ai Black Sabbath si possono percepire fra le pieghe di “Our Brain Conditions”, ma è il reverendo Manson l’accostamento più immediato, soprattutto per le inflessioni vocali di Polidoro. Ascoltare per credere “Shady Life” o “Raining Words”, che rimandano alle atmosfere di “Mechanical Animals”. Verso fine corsa spazio anche per il momento acustico, grazie alla ballad maledetta “You”. Per quasi quaranta minuti la band macina che è una meraviglia, proprio come il titolo - azzeccatissimo - scelto per il disco (Claudio Lancia7/10)


02_pon_600PON¥ - CANZONI MOSTRI (La Valigetta, 2023)
songwriter

L’oscuro canzoniere milanese soprannominatosi PON¥ debutta con un singolo, “Vita” (2020), e un pugno di analoghe canzoni acustiche racchiuse nel primo “Canzoni mostri” (“Safari, “Dentro” e la più lunga con coda di sfarfallii glitch-digitali “Riverberi”), che lo pongono come etereo, immateriale e pure un po’ svaporato imitatore di Gerardo Attanasio. Attraverso “Alamo”, un recitativo al ralenti in mezzo falsetto su una svanita opalescenza psichedelica, volendo la sua “Song To The Siren”, il disco schiude anche un proprio cuore spirituale. Esempio supremo ne sono certamente gli 8 minuti di “E’ successo qualcosa”, con intro chiesastica, un’altra preghiera-dedica svenevole, e un gran finale di volute elettroniche, sfumature di cori, tessiture di Farfisa e harmonium. La solo strumentale “Å”, attingente tanto dai Boards Of Canada quanto dal folk pastorale, ne diventa degna appendice. Album-miraggio che fa anche da piccolo, crepuscolare baluardo del lo-fi italico per l’era dell’iPhone e dello streaming Spotify. Vale per la subliminale modellazione di suono (fondamentale la preparata tastierista Maria Valentina Chirico in “E’ successo qualcosa”), mentre poco incidono le canzoni-palpito di contorno che, però, sfoggiano un fiuto tutto particolare per la quieta dissonanza, metafora sempre efficace del rovello interiore. Chitarre: Gianluca Villa (Il Fieno) (Michele Saran6,5/10)


03_dooj_600.DOOJI - HITCHER’S MAKEUP EP (autoprod., 2023)
alt-rock

Sferzante e sferragliante come e più che nel suo EP d’esordio, “Egg In A Black Leather Jacket” (2022), il duo mantovano dei DOOJI (Davide Odinelli e Lorenzo Rodella, rispettivamente voce-chitarra e basso) si conferma in crescita costante in questa seconda prova battezzata “Hitcher’s Makeup”. Partendo dal grunge corrosivo ricoperto di nera pece che è substrato identitario del gruppo, “Hitcher’s Makeup” svela anche un lato più dedito alla sperimentazione per il feroce duo virgiliano, incanalato in pulsioni industriali che si mostrano nel pezzo più corposo del lavoro, quella “Asa Nisi Masa” che animava anche il loro esordio e che qui viene riletta in chiave ancor più claustrofobica. Anche la conclusiva “Hexxeh” riprende questi umori, attraverso suoni e voci che si contorcono su loro stessi come demoni sottoposti ad esorcismo. Il veloce e dilaniante impeto punk dell’opener “Pointless Hex” si ricollega maggiormente alle sonorità crude del lavoro targato 2022 mentre “Devil & Definition” mostra nuovi orizzonti più vicini al gotico americano, genere non solo musicalmente ma anche in ambito letterario citato tra le principali influenze del duo. A quanto sappiamo questo nuovo Ep è il secondo episodio di quella che vuole essere una trilogia iniziata proprio con l’esordio dello scorso anno, non ci resta quindi che aspettare e vedere su che oscuri lidi approderà il gruppo nel prossimo capitolo della sua narrazione in grigio e nero (Matteo Contri6,5/10)


04_wuWUZ - WUZ (autoprod., 2023)
jazz-funk, modern classical, electro

Collettivo nato da un’idea di Mattia Boschi dei Marta Sui Tubi, i Wuz approdano all’omonimo Ep d’esordio nel 2019, interamente strumentale, assemblato facendovi confluire tutto il materiale composto fino a quel momento. Oltre al violoncello di Mattia, che fra le altre cose ha accompagnato di recente in tour Giusy Ferreri, in line up ci sono la chitarra del fratello Jacopo Boschi (già con Sottotono e The Kolors) e la batteria di Nino Roccamo (all’attivo collaborazioni con Giuliano Palma, Nina Zilli e Franziska). I tre musicisti hanno unito i rispettivi background, miscelando jazz, funk, black con riferimenti legati sia alla musica classica che all’elettronica. Il punto di partenza è il violoncello di Mattia, spesso usato come se fosse una linea vocale, destrutturato e ricomposto con l’ausilio degli interventi del resto della band (fondamentali in tal senso gli apporti del sound engineer Marco Olivi e del pianista Luca Dell’Anna), dando vita a un risultato estremamente contaminato. Dicevamo dell’Ep del 2019, poi arriva la pandemia e il progetto subisce una brusca frenata, restando sconosciuto ai più per l’impossibilità di promuoverlo in maniera adeguata. Ristabilita la semi-normalità, i Wuz riprendono a macinare, con l’ulteriore apporto di Fabio Visocchi (synth e modulari) che porta in dotazione nuovi suoni e nuove idee. Arrivano così altre due tracce, la vibrante “#2015”, diffusa come singolo qualche settimana fa, e la più sperimentale “Bass Harmonix”, che poste in coda a “Wuz” lo trasformano nel primo album del gruppo, autoprodotto (Claudio Lancia6,5/10)


05_valentinafVALENTINA FIN - A CHI ESITA (Giotto Music, 2023)
vocal jazz

I progetti della vocalist jazz vicentina Valentina Fin si fanno via via più personali fino a “Autoritratto” (2021), performance solistica di 15 minuti per voce e live electronics ispirata a M. Abramovic, e al primo album a suo nome, “A chi esita”, accompagnata da un ensemble di quattro elementi: sax alto (Manuel Caliumi), chitarra (Luca Zennaro), contrabbasso (Marco Centaro) e batteria (Marco Soldà). Apre il procedimento una “Piccola ode al cambiamento”, una “canzona” solenne in cui, però, il grosso lo spiega il doppio assolo di chitarra e sax su ritmo balearico. Quintessenziale è soprattutto “Dreams Are Dangerous” (desunta da O. Sacks), 9 minuti, praticamente una torch song riletta in veste epica, in cui il canto di sirena mistica intervalla uno srotolarsi lirico di chitarra e sezione ritmica, poi vorticante con l’entrata del sax e di nuove evoluzioni vocalizzanti. Altri tocchi mistici aprono il pezzo eponimo, quasi un raga, un duetto sospeso tra una risonanza di campana tibetana e un gorgheggio tra virtuosismo d’opera e numero scat (una magia in seguito sciupata dal rifacimento del testo di B. Brecht). Di nuovo con Abramovic come fonte artistica, “Marina cade dal muro” infine si fa musica da camera trascendentale, un esperimento stilistico e sonoro coronato da uno spoken word riverberato. Anche se privo di potere spiazzante - non giunge agli esiti radicali di Gaia Mattiuzzi - il disco mostra le sue armi di seduzione in pregiati picchi di profondità riflessiva misticheggiante e d’intelligente equilibrio tra canto e solido interplay. Gradevolmente svarianti gli interludi, da un “QQ” quasi trip-hop (anche singolo) a un “Langsamer”, quasi folk-psych. Centasso si ritaglia uno spazio per esaltare il suo contrabbasso, anche qui trascendentale, componendo una propria jazz-rock “Indefinitely” (Michele Saran6,5/10)


06_canideipCANI DEI PORTICI - HYPE FOR NOTHING (Time To Kill, 2023)
post-hardcore

Il “dogcore” semistrumentale dei romagnoli Cani Dei Portici (Claudio Adamo, chitarra, e Demetrio Sposato, batteria) riprende dopo una discreta pausa con “Hype For Nothing”. Il singolo-manifesto “Break Away” riconferma, e anzi accentua, la loro estetica dinamica d’appassionati incontri-scontri tra terremoti hardcore e ombrosità post-rock. L’eponima “Hype For Nothing” fa allora da piccolo zibaldone di capacità virtuosistiche e limiti di fantasia (scosse, controtempi, pause e ripartenze, passi pesanti doom-stoner). “Disappointment Waltz” parte invece dal folk più scuro e psicotico per eruttare in una serie di esose variazioni al calor bianco, infine ingolfandosi. Oltre al fattore-novità, il momento più coscienzioso è forse una “Farfalle” chitarra-voce senza batteria, Rodan-iana nell’atmosfera ma tutta italiana nella resa: un serpentino mezzopiano in stile Madrigali Magri che via via acquisisce un fervore e una disperazione da Giovanni FerrettiConcept di resoconto sulle illusioni disattese a un decennio dal loro primo “Cave Canem” (2013), percorso - più che da semplice rabbia - da inquietudine solenne, ossessioni e tic nervosi, e ornato di sculture timbriche putride (“Asap”) come pure di suoni esteriori presi in prestito alla moda anni 10. Un po’ mancino nella tenuta espressiva. Copertina di Shintaro Kago (Michele Saran6/10)


07_francescobFRANCESCO BUCCI - ZOBIBOR (autoprod., 2023)
instrumental

Il fiatista Francesco Bucci debutta solista con “Zobibor”, serie di componimenti di getto per trombone e tuba e pochi altri ingredienti. Un tempo curiosamente irregolare porta avanti il motivo oscuro de “Il lento soffocare dei superstiti”, tra gemiti e percussioni geometriche generate dall’amplificazione della meccanica degli strumenti. La pedaliera e i filtri fanno scaturire un’aura quasi liturgica dai naturali rimbombi di “Jökullstormur”. Ne “La neve che scricchiola sotto i miei passi” lo strumento viene invece ridotto a un volano ronzante in disparte. Il jazz affiora in “Stupido scemo” (Duke Ellington più voce scat), come se un fonico avesse isolato la traccia degli ottoni più gravi di una big-band d’antan. La più lunga, “Il disperato cercarti nel fondo di un tuba” (dedicata al fratello scomparso), abbraccia appieno l’idea di vuoto che negli altri pezzi rimane solo vagheggiata, un continuum grave con lamenti lugubri. Dal fondatore degli Ottone Pesante, un’intrigante piccola maratona di musica fisica, non preordinata (registrazione live, niente loop, niente sovraincisioni), sostenuta col respiro corto del divertissement e corsa con l’ingessatura dell’esercizio allo strumento. Abolito il suo metal, a parte la dedica esplicita di “Now I Understand Why Chuck Schuldiner Called His Band Death”. Esperta produzione sperimentale a cura di Riccardo Pasini (Michele Saran5,5/10)


08_doublesyDOUBLE SYD - MY LONELY SUN (Urtovox, 2023)
psych-pop

Già con Crema, Faccions e Camillas, Enrico Liverani si dà alla psichedelia classica unendosi ad Adelmo Ravaglia. I due si sbizzarriscono, a nome Double Syd nel primo “My Lonely Sun”, a manomettere stereotipi. Quando non li manomettono, li evidenziano: l’ultra-barocca guidata dal clavicembalo e portata dal glockenspiel “My Sun”, la scenografica “Violet”. A parte la spenta fusione di vecchio e nuovo britpop in “Wonderfall”, i sabotaggi più scintillanti stanno in “The Best Fantasy”, un mash-up di texture agrodolce alla Radiohead e cantilena corale alla Zombies, e “What I Want”, generata da suoni videogame e propulsa da un beat dance Moroder-iano. “On My Paper” ha il miglior refrain, stile Flaming Lips-light. Né più né meno dell’usuale inghippo del revival neopsichedelico: un gran profluvio di arrangiamenti, effetti, sovraincisioni, una professionale, ardimentosa sovrabbondanza da wall of sound per campire buchi di sostanza e rilevanza. Humour inventivo quanto basta. Seconda parte calante, a parte un altro ritornello discreto (“Wednesday Morning”, con campane, quasi morriconiano) (Michele Saran5,5/10)


09_pentesilPENTESILEA - PEZZI (Ipologica, 2023)
songwriter

Forte di un curriculum di tutto rispetto, la romana performer Valentina Mignogna entra nella conterranea crew di producer Ipologica per diventare cantautrice elettronica a nome Pentesilea. Il suo primo “Pezzi” si situa così pienamente nell’ambito dell’ormai dimenticata folktronica, normale folk-pop post-chitarristico riempito e scolpito con il glitch digitale. In questo senso si distinguono “Formalità”, una disgiunta soundscape uggiolante e concreta e “Shir”, ode celestiale Julee Cruise su ticchettio electro, fino alla progressione melodica atmosferica di “Mondi sommersi”. L’inclusione del primo singolo “Unica” (2019), qui ri-editato per non suonare troppo fuori contesto, viepiù documenta la sua prima direzione stilistica (vibrazione stroboscopica techno vecchia scuola). Tipico prodotto lirico-confessionale al femminile in continua bolla tra registri algidi ed emozionali. Fabio Sestili in regia la indirizza verso la professoressa Laurie Anderson, più che la virtuosa Bjork. Impalcature strumentali di Andrea Allocca (Michele Saran5/10)


10_lelandidiLELAND DID IT - HOTEL MODERNO (Dischi Uappissimi, 2023)
new wave

Baresi, nome “twinpeaksiano”, co-fondati da due omonimi Vittorio Di Lorenzo (uno “biondo” a chitarra e basso, l’altro “bruno” a drum-machine e sintetizzatori) e completati da un altro Di Lorenzo, il fratello Giuseppe alla seconda chitarra, Michele Scagliusi al canto e Giuseppe Sciorsci a basso e synth aggiuntivi, gli electro-rocker Leland Did It debuttano con l’Ep “Cake_Tales” (2014) e l’album “Tempo” (2016). L’Ep bilancia lenti inni Depeche Mode-iani (“Save My Soul”) con scatti nervosi (“One-Eyed Jack’s”), mentre l’album ritratta verso un’omogenea, neutra compassatezza elettronica. Anni dopo si ripresentano per cercare di trovare la quadra con un seguito, “Hotel moderno”, che a dispetto delle sue armature possenti più che altro si mette a sparacchiare cartucce a salve: “At Any Price”, sorta di remix dei secondi Strokes, “Spoiled”, un proclama nichilista agghindato industrial-dance, “How?”, ancor più infiacchita e sofisticata, fino a “The Hunt”, una specie di oleografia house primi anni 90. Quando invece il ritmo si fa loffio, come in “Submissive”, paradossalmente emerge originalità (escursioni chitarristiche nevrotiche alla Robert Quine). Il complesso imbrocca un paio d’inni in “Still”, che però si perde in verbosità e facezie, e nel più affocato “260”, d’un appassionato trip-hop. Perso ma non del tutto Sciorsci (buon design grafico), il rimanente quartetto si fa bastare un disco di arrangiamenti sballati e riempitivi che non prende quota. Anche se rubacchiando un po’ troppo a Samuel Herring e Paul Banks, è il canto a sorreggere di quel tanto la baracca e coprire gli scricchiolii (sentire soprattutto “That’s For Sure”). Master a cura di Amaury Cambuzat (Michele Saran4,5/10)

Discografia

BLAX - MARAVILIA(AlphaOmega, 2023)
PON¥ - CANZONI MOSTRI(La Valigetta, 2023)
DOOJI - HITCHER’S MAKEUP EP(autoprod., 2023)
WUZ - WUZ(autoprod., 2023)
VALENTINA FIN - A CHI ESITA(Giotto Music, 2023)
CANI DEI PORTICI - HYPE FOR NOTHING(Time To Kill, 2023)
FRANCESCO BUCCI - ZOBIBOR(autoprod., 2023)
DOUBLE SYD - MY LONELY SUN(Urtovox, 2023)
PENTESILEA - PEZZI(Ipologica, 2023)
LELAND DID IT - HOTEL MODERNO(Dischi Uappissimi, 2023)
Pietra miliare
Consigliato da OR

Dieci Piccoli Italiani sul web

  Blax

  PON¥

  Dooji

  Wuz

  Valentina Fin

  Cani Dei Portici

  Francesco Bucci
  Double Syd
  Pentesilea
  Leland Did It