ADAM CARPET - Parabolas (2016 Irma Records)
synth-pop, art-rock, cinematic
L'anima inquieta di questo progetto lombardo si palesa in "Parabolas", restart artistico dopo tre anni nel silenzio meditativo. Adam Carpet è un progetto trasversale, una line-up che esiste solamente quando loro stessi ne decretano l'essere vitale: Diego Caleri ha una residenza nei Timoria, Alessandro Deidda nei Le Vibrazioni, Giovanni Calella nei Kalweit And The Spokes. Assieme ad Edoardo Barbosa e Silvia Ottanà sono tutti 'domiciliati', non residenti, in Adam Carpet, progetto, proprio per queste derive, affascinato da più tentazioni sonore, con una buona base cromatica di wave nero grigia, elettronica quasi Morr, più sul versante prettamente elettronico che su quello indie, un sottile odore di post-rock algido che ne aumenta il fascino. "Parabolas" è un ottimo disco senza frontiere e morfologie definite, basato su ragione e improvvisazione, smanioso di mostrare i lati più affascinanti, "Still Still" è una perla di chitarra wang e atmosfere Royksopp quasi chillout per molti aspetti, tutte le otto tracce hanno proprie evoluzioni geometriche e dinamiche. Un album ballabile con la tentazione di chiedere la degustazione centellinata lasciando decantare il suono attraverso ascolti mirati all'abbandono appartato (Nicola Tenani 7/10)
MAYBE HAPPY - Out Of Four (2016, DreaminGorilla / diNotte)
elettronica, indie-rock
Le quattro canzoni contenute nell'Ep "Out Of Four" rappresentano un nuovo passo in avanti per i Maybe Happy, formazione modenese che nel corso degli anni è passata da duo a quartetto (Mirco Chiavelli, Marco Mattioli, Cristian Brandani e Antonio Lui). Il sound si apre infatti a un ventaglio di soluzioni che potranno essere scandagliate nei prossimi lavori della band con base a Finale Emilia. "Grey's Not a Colour" introduce l'opera con melodie indie-rock vagamente definite, ma è "Ten Times Story", con la sua elettronica che sorregge atmosfere dreamy, l'apice di questo lavoro, sulla scia forse dei Radio Dept. Le atmosfere rarefatte di "Ice" esplodono in un potente ritornello, terminando la corsa sulle sensazioni quasi al rallentatore di una "Straight Too Far" che torna a bazzicare territori tra post- e indie-rock. Un passo piccolo soltanto nel minutaggio, ma certamente significativo (Fabio Guastalla 7/10)
MERKEL MARKET - La Tua Catena (2016, Prismopaco Records)
hardcore-punk, alt-rock
Chitarra assente, sostituita da un secondo basso per far sì che la bass-line sia boato e forza d'urto: i Merkel Market sono una formazione milanese attiva dal 2012 e oggi composta da Diego Quartara (voce), MHDM (basso), Marco Di Salvia (batteria) e Lo Slavo (basso). Formatisi nell'alveo grunge degli anni 90, da quattro anni sganciano testi come granate con tutta la gamma classica del punk-hardcore eighties italico (Kina, Impact, Indigesti, Negazione etc.), tra trash velocissimo e fuoco di sbarramento lirico. "Scopri fra le nostre corsie una vasta scelta di incubi di cui si ricorda solo la fine - dice la band - goditi l'inattesa lucidità con cui riesci talvolta a mettere a fuoco qualcosa di orribile e velocissimo che ti passa a fianco, sentendo freddo. Consuma!". Quindi la scelta non è univoca: o state dalla loro parte amando ancor'oggi il nichilismo veloce, quindi "La tua catena" girerà nel player sino all'ossidazione, oppure siete talmente post tutto che vi orienterete verso altri noise. Nessuna via di mezzo per questo disco (Nicola Tenani 7/10)
FRANCESCO GREGORETTI - Solid Layers, Deafening Shapes (2016, Toxo)
avantgarde
Il partenopeo batterista e percussionista di ricerca Francesco Gregoretti fa emergere la sua personalità nel primo vero album a suo nome, "Solid Layers, Deafening Shapes", un ciclo di sonate per batteria, percussioni trovate e live electronics. L'indole è pittorica nella rada "Cosmic Ziggurat", esprimendosi dapprima in scintillii nel buio e poi in tuoni, scoppi e radiazioni, a due passi dalle pièce claudicanti dei Starfuckers. Secondo brano-chiave è "The Prism Of The Minute", una sordina grave e ultrasonica che alza tremori come nella superficie del mare prima di uno tsunami: purtroppo, questo preludio potente non trova poi alcun sviluppo. Così, nella chiusa di "Unrestrained Activity" le coloriture dell'elettronica aumentano e diminuiscono la densità delle percussioni. In mezzo Gregoretti scorpora questa sua estetica. Dapprima il focus è sul mezzo concreto, dall'improvvisazione appena vegliata da folate distanti di "Right-Around-The-Rosey", al trambusto di campanelli di "Nerves Of A Harp", alle risonanze metalliche percosse come gong (tracce di "Ummagumma") di "Faithful Walking Stick". Quindi viene l'elettronica, con pure risonanze di frequenze bassissime ("Uproar Among The Gods" e l'ancor meno musicale "Circling Menace"). Intriso di silenzio oscuro. Già batterista free di Strongly Imploded e Architeuthis Rex, Gregoretti - più intransigente del compare Andrea Belfi - non fa il solito album ambient-elettroacustico, almeno per scavo e contemplazione. Strumento aggiunto: corde di chitarra acustica montate su di un timpano. Produce una garanzia, Mimmo "SEC_" Napolitano (Michele Saran 6,5/10)
CANOVA - Avete ragione tutti (2016, Maciste Dischi)
indie-pop
L'uragano Calcutta non è passato inosservato, personaggio che piace non solo ai fan, visto che tanti giovani colleghi stanno traendo ispirazione dal suo modo di scrivere. Stessa sorte per gli input diffusi da I Cani, propinatori di una modalità inedita per essere indie oggi. I Canova, da Milano, attingono, rielaborano, cercano una propria via, e rivolgendosi prevalentemente ai ragazzi fra i 16 e i 20 anni, finiscono magari per piacere anche ai più grandicelli. Si parla degli adolescenti degli anni 10, e canzoni come "Vita sociale" e "Brexit" inquadrano bene la situazione, con quei ritornelli che ti si appiccicano addosso come ai tempi dei primi Baustelle. Si narra la contemporaneità, la si riveste di abitini pop, e non di rado ci si ferma a riflettere. Si fanno due salti con "Expo" e "Portovenere", ci si commuove sulle note malinconiche de "La felicità" e "La festa". Poi c'è qualche giro o vuoto ("Maradona"), ma siamo al primo disco, e le premesse per un posto al sole ci sono davvero tutte (Claudio Lancia 6/10)
PICCIOTTO - Storyborderline (2016, Irma Records)
alt-rap
Concept hip-hop dedicata a tredici storie di vita contemporanea, più sé stesso, simboleggiato da un'intro sinfonica ("Amarcord 2.0") che è un vaticinante riassunto sulle magagne trans-nazionali degli ultimi 30 anni. Il Picciotto di "Storyborderline" non fa che esplicare il titolo: elenca il passato prossimo, lo rievoca; ma, allo stesso tempo, si sintonizza immediatamente col presente e passa subito alla concretezza dei nuovi emarginati. Limiti si trovano nell'estrema contingenza che si potrebbe scambiare per ruffianeria, e in un confronto pesante con i concept di vita deandreiani. Secondo album in poco più di un anno (debutto: "Piazza Conncetion", 2015), testimonia comunque l'urgenza del rapper siculo, al secolo Christian Paterniti (punta della Gente Strana Posse), e la si tasta anche nella spinta, nella preoccupazione dei suoi enunciati. Ciaka Mortero (Gold Diggers) e Fabio Tunaman, con la supervisione di Satomi Rinaudo e Antonio Cusimano (Naiupoche), assi del genere, fanno sobbollire uno spettro sufficientemente composito, dalla serenata, al golden age, alla techno, al sound-sampling. Notevoli "Franco", "Tonino" e "Luca Giulia e Vale" (sull'omofobia e le stepchild adoption) (Michele Saran 6/10)
PLAN DE FUGA - Fase 2 (2016, Carosello Records)
alt-rock, shoegaze, art-rock
Virtù del pop è quella principale di potersi travestire di rock, graffiando, come una donna leziosa cui bastano le unghie per incidere e la voce. È questo il leit-motiv di "Fase 2", album di ritorno dei bresciani Plan De Fuga. Ottima la predisposizione a non emulare, ottima anche la variabilità musicale, purtroppo lo scoglio è sempre quello, linguistico: l'italiano e il rock difficilmente ballano assieme senza pestarsi i piedi e se, in apertura con "Mi Ucciderai", sound e voce riescono a comporsi a vicenda con buona dose di grinta e voce (molto ruffiana e preziosa l'arpeggiatura shoegaze), nel resto della tracklist le buone idee vocali e strumentali si scontrano proprio sulla lingua nazionale. La scelta comunque è dichiarata e la rispettiamo, nonostante la sesta traccia "Change", scelga l'inglese e le cose cambino decisamente; sta ai Plan De Fuga decidere la strada, noi li aspettiamo tenendoci strette le buone cose incontrate in "Fase 2" (Nicola Tenani 6/10)
FLACO PUNX - Coleotteri (2016, Rocket Man Records)
power-punk, ska, power-pop
I Punkreas sono una delle band di riferimento del punk italiano, formazione nata alla fine degli anni 80 in provincia di Milano e giunta sino ai giorni nostri con in dotazione una corposa discografia e minimi cambi di line-up. Almeno fino all'estate del 2015, quando Fabrizio "Flaco" Castelli, chitarrista, membro fondatore e mente pensante del gruppo, è stato estromesso non senza strascichi e polemiche. "Coleotteri" rappresenta l'esordio del nuovo progetto di "Flaco", il quale dimostra di aver metabolizzato lo sbandamento del distacco dalla sua band storica. La musicalità festaiola e la pungente ironia non intendono mascherare le serie argomentazioni trattate nelle dieci tracce: punk, ska, rock, power-pop, reggae e dub costituiscono il mezzo per dibattere su tensioni politiche, terrorismo, immigrazione, sessualità e manipolazione genetica. Mattia Foglia si occupa del basso, Dario Magri della batteria, Carlo Ferré ci mette le voci. "Coleotteri" è un nuovo inizio, un frullato irriverente ma attento, attraverso il quale "Flaco" continua a perseguire il processo di contaminazione della propria musica, pur restando sempre rigorosamente fedele a sé stesso (Claudio Lancia 6/10)
RIFORMA - Ciao Carissimo (2016, autoprodotto)
alt-rock
Di Grosseto, i tre Riforma cominciano nel 2005 come tribute band e poi, a suon di concerti e riconoscimenti, iniziano la carriera maggiore. Il risultato, "Ciao carissimo", mette già qualche freccia al loro arco, dalla fluida ballata classicamente grunge (tra Alice In Chains e Afterhours, in versione leggera) della title track, migliorata in rabbia cantabile in "identità di te", al folk-rock appena lirico di "Esserci", al refrain funky-romantico di "Che bella vita", fino a un numero che dimostra di non forzare il processo sul ritornello, l'inno-serenata esistenziale di "Un po' più a me", in un felice crescendo aurorale. Luca Berti (voce, basso), Luca Brandini (chitarra) e Simone Giulietti (batteria) posseggono tutti gli anticorpi del caso - aria, assoli e parti strumentali mai sborone - e un buon bilanciamento tra scrittura personale (Berti) e suono di banda, anche se non sono immuni a leggeri momenti di stanca, specie in chiusa. Baciato da una santa brevità che lo fa crescere con gli ascolti. Seguito di un primo album mai pubblicato dal quale sono stati estratti due singoli di un certo successo radiofonico ("E che sia", "Un punto"). Registrato in presa diretta (Michele Saran 6/10)
STOLEN APPLE - Trenches (2016, Rock Bottom/Audioglobe)
psych-rock, alt-rock
Ascoltare questo "Trenches" è come capitare per caso in un locale in una di quelle "serate a tema" di poca o nessuna pretesa artistica. Sul palco si avvicendano nomi di band esplicitamente o implicitamente derivativi, tribute band più o meno esplicite, il pubblico oscilla vagamente assente, come dimentico di sé stesso; un po' come quelli che stanno suonando. A volte il mare magnum della musica indipendente italiana fa davvero paura. Centinaia di nomi, quasi altrettante agenzie di promozione e distribuzione, quasi altrettante webzine: per partorire cosa? Una presenza internazionale di livello trascurabile. Tutto questo non è responsabilità degli Stolen Apple, figuriamoci, il loro slot nella serata possono strapparlo senza problemi, pur nell'assoluto carattere amatoriale della proposta (anche per una band che ha i 90 o la fine degli 80 come punto di riferimento). Diciamo intanto che, se non si avesse l'impressione che il cantante stia leggendo un testo in una lingua sconosciuta (l'inglese) per la prima volta, sarebbe più facile valutarne il lavoro (siamo proprio al di là dell'intonazione maccheronica, che può avere il suo fascino macchiettistico). Per il resto, nonostante la evidente e balenga raffazzonatura generale del sound, in cui il lo fi sembra una stimmate, più che una scelta estetica, i brani (ci sono i Primal Scream più arroganti, gli Inspiral Carpets, gli Stone Roses, e in generale tira un'aria pre-britpop, con l'iniziale "Red Line" e "Sold Out" sugli scudi) rivelano pian piano la loro essenza scialbamente derivativa, nello straziante limbo tra tributo e velleitarismo. Senza un minimo grado di produzione l'effetto finale è quello di una band americana alt-rock di metà degli anni 90 (alle prime armi) che prova a rifare brani Madchester (...), e l'impressione finale è davvero quella di una grado di "amatorialità" che davvero non appartiene al mondo della creazione artistica (Lorenzo Righetto 3/10)