The Residents

Rest Aria

The Residents - Rest Aria
(inclusa nell'album "Meet The Residents", 1974)



Sono passati ben cinquant'anni dalla pubblicazione di “Meet The Residents" (1974), esordio (se si eccettua il primo Ep “Santa Dog” del 1972) tra i più dissacranti e weird che la storia della musica ricordi. In questo magnifico Lp tutto è un inno alla bizzarria e all'assurdità: dalla copertina beatlesiana (un piccolo capolavoro pop) all'insieme di suoni e cantilene deliranti che si legano alla cultura pop solo per dissacrarla e centrifugarla in una poltiglia informe irriconoscibile.

residents_2La musica dei Residents diventa quindi la perfetta metafora del capitalismo come immensa discarica di oggetti (e di idee) che si accumulano senza uno scopo apparente, se non quello di poterne produrre sempre di nuovi per il solo profitto. La produzione diventa quindi non un mezzo per produrre qualcosa che sia utile, bensì il fine stesso, cioè produrre per produrre.
I Residents percepiscono in pieni questo cortocircuito e creano di conseguenza un contenitore infinito di tutto quello che il mondo contemporaneo produce - spot pubblicitari, cartoni animati, melodie pop - proprio come un'immensa e putrescente discarica, creando un inno alla devoluzione prodotta dalla cultura consumista e firmando, in fin dei conti, un macabro testamento della nostra società.

resident_fishMeet The Residents” inizia con una più che delirante suite del grottesco, comprendente sei brani che vanno da “Boots Listen” a “Smelly Tongues”. Sarebbe bastato già questo per far diventare l’album una pietra miliare, se non fosse che subito dopo, dalla discarica metaforica dei Residents, giunge uno dei loro capolavori, “Rest Aria”.
I Residents che scrivono una sonata classica? E’ possibile? Certamente sì, d'altronde in una discarica si può trovare qualsiasi cosa, anche, ad esempio, un vecchio cd di Chopin abbandonato. Pianismo classico, dicevamo, ma intriso di un senso profondo di decadimento e pessimismo (tutto prima o poi finirà nella discarica), un preludio dell’apocalisse.

Le note di piano si ripetono prima dell'ingresso di un vibrafono (probabilmente scordato) che riproduce una melodia infantile e che sembra perlopiù un giocattolo per bambini gettato via per essere sostituito da un nuovo gioco più alla moda. Questa melodia scherzosa, incrociando il pianoforte che sembra ancora legato alla musica classica, crea un effetto straniante. La registrazione, rigorosamente lo-fi, accentua la sensazione di deterioramento continuo di un prodotto anch'esso destinato al consumo per essere poi dimenticato. A un certo punto, una trombetta in lontananza sembra provenire da chissà dove, di certo un luogo lontanissimo.
Questa sorta di fantasma sonoro prosegue sopra un tappeto di synth seguito da un pianoforte che diventa ritmico quasi al limite del ragtime. Nel finale si aggiungono altri fiati e un “tutti insieme” di vibrafono, piano, synth e trombe, come un grande fanfara. Un capolavoro sia concettuale (la filosofia di fondo che dà vita all’intera discografia dei Residents) che musicale (l'incredibile commistione di generi diversi appartemente inconciliabili) in grado di dare vita a un miracolo di equilibrio tra l’ironia irresistibile e il messaggio profetico che è uno degli aspetti più intellettuali di tutta la storia del rock.

La musica dei Residents nasce subito con le idee chiare, fondamentalmente senza speranze, che il capitalismo capitalista possa cambiare e farci uscire dall’immensa discarica che produce ogni giorno. Il sogno di un ritorno alle origini dell’uomo pre-consumista si realizza solo successivamente (i frequenti riferimenti alla musica primitiva che culminano nella suite “Six Things To A Cycle” e nell’album “Eskimo”) ma è anch’esso destinato al fallimento.