David Bowie – Life On Mars? (Rca, 1971 nell'album "Hunky Dory" - Rca, 1973 - 45 giri)
A really beautiful day in the park, sitting on the steps of the bandstand. “Sailors bap-bap-bap-bap-baaa-bap”. An anomic (not a “gnomic”) heroine. Middle-class ecstasy. (...) I started working it out on the piano and had the whole lyric and melody finished by late afternoon. Nice. Rick Wakeman came over a couple of weeks later and embellished the piano part and guitarist Mick Ronson created one of his first and best string parts for this song.
(David Bowie about “Life On Mars?”)
La storia è nota: abbandonati gli esperimenti folk-psichedelici dei due dischi precedenti, David Bowie abbraccia il glam, quell’ibrido romantico, sfrontato e voluttuoso che Marc Bolan aveva forgiato un anno prima con i T. Rex e che John Lennon avrebbe ribattezzato "rock'n'roll col rossetto". Quello che non si saprà mai, invece, è quale sia il segreto di un’alchimia sonora che incanta oggi come quarant’anni fa, senza aver mai smarrito un grammo del suo fascino. Un elisir di nome “Life On Mars?”, che proprio nel fraintesissimo titolo avrà uno dei tanti risvolti di successo. Infilare il gettone nel nostro juke-box e premere il fatidico tasto di questa hit del 1971, quindi, è come schiudere una di quelle magiche music-box al cui interno si nasconde un incantesimo senza tempo. E rimanere sbalorditi ancora. Ma al cospetto del prestigiatore-Bowie, colui che ha fatto dello stupore una modalità permanente, forse si spiega tutto. A cominciare da quella posa fatale alla Greta Garbo nella copertina dell’Lp “Hunky Dory” che sarà praticamente clonata tre anni dopo da Brian Eno in "Taking Tiger Mountain (By Strategy)". Non un caso, ma una strategia. Seppellito per sempre il mito della genuinità del rocker, Bowie inaugura l’era degli “young dudes”, una primavera musicale in cui trionferanno travestitismo e ambiguità sessuale, in un profluvio di lustrini e paillettes, rimmel e tutine spaziali.
Se toccherà all’alieno pel di carota Ziggy Stardust far decollare il mito, al David Robert Jones pur sempre truccatissimo di “Life On Mars?” basterà una melodia in campo bianco e uno spiazzante completo turchino (a cura dell’ineffabile stilista Freddi Buretti) per bucare lo schermo: un videoclip surreale, quello girato da Mick Rock nel 1973, quasi inquietante nella sua staticità, al punto da apparire un fluttuante dipinto pop-art. Sarà anche uno dei primi one man show di Bowie, perfettamente a suo agio in quel make-up grottesco e in quel fa diesis da brividi, che avrebbe messo in crisi tanti più celebrati vocalist. A spazzare via la panzana del Bowie tutto immagine e poca sostanza (che ammorberà a lungo le cronistorie del rock) provvede, invece, la magia di questa sontuosa ballata orchestrale, introdotta dagli accordi fatati del piano di Rick Wakeman (Yes). Un inizio lento e teso insieme, con quel canto trasognato a narrare della famigerata “ragazza dai capelli color topo” (che, a differenza di quanto sostengono alcuni, non è l’ex-ragazza di Bowie, Hermione Farthingale, non foss’altro perché costei aveva i capelli rossi) alle prese con “una piccola storia disgustosa”, fatta di incomprensioni familiari e di sogni di celluloide, dove però anche i film divengono presto “a saddening bore”, una noia mortale, perché vissuti almeno una decina di volte. “È la reazione di una ragazza sensibile al mondo dei media”, spiegò Bowie nel 1971, aggiungendo 25 anni dopo: “Penso che si senta tradita, che sia delusa dalla realtà. Penso che, pur vivendo una realtà deprimente, sia convinta che in un luogo imprecisato c’è una vita che vale la pena di vivere e che sia amaramente insoddisfatta per il fatto di non avervi accesso”. Allo scialbo isolamento della protagonista si contrappone l’apoteosi sonora che esplode nel chorus. Affiorano la chitarra e gli strumenti ritmici, ma è soprattutto il respiro degli archi (violoncelli in primis) a farsi gradualmente strada, amplificando la drammaticità e la grandiosità melodica. Una messa in scena teatrale, operistica, ma tutto avviene in modo perfettamente calibrato dal genio arrangiatore di Mick Ronson, chitarrista e futuro Spider From Mars, con il piano di Wakeman chiamato ancora a reggere il gioco, fino al magniloquente crescendo di timpani del pre-finale, che riecheggia l’“Also sprach Zarathustra” di Richard Strauss. In cabina di regia, immaginiamo sogghignare soddisfatto il buon Ken Scott, che dopo i fasti di "All Things Must Pass" di George Harrison, metteva a segno un altro centro, con buona pace del fido Tony Visconti, momentaneamente approdato alla corte di Bolan e destinato a rifarsi in seguito al fianco del futuro Duca Bianco.
Se la cornice è un capolavoro, l’interpretazione vocale non è da meno: un saggio di crooning romantico e sfrontato, quasi una parodia di Frank Sinatra in salsa cockney, come confermerebbe quella scritta autografa “inspired by Frankie” nelle note di copertina dell’album. E nelle prime otto battute la canzone è stata costruita proprio sulla sequenza di accordi di “My Way”. Quel che manca del tutto, invece, è ciò che tutti si aspettano: Marte e i visionari scenari spaziali inaugurati dalla sempiterna “Space Oddity” e sublimati poi nel successivo “Ziggy Stardust”. “Life On Mars?”, infatti, è solo il titolo di una trasmissione televisiva inglese in voga negli anni 60 e il testo è un cut-up surreale di personaggi ed epoche, immagini e luoghi, metafore e stimoli evocativi. Con la società dei consumi come comun denominatore e punte di arguta denuncia sociale. Così la raffigurazione dei marinai che si scazzottano nella sala da ballo (“Sailors fighting in the dance hall”) e dell’avvocato che se la prende con l’uomo sbagliato (“beating up the wrong guy”) sono il desolante spaccato del “best selling show” di una tv commerciale che presto si trasformerà in un incubo orwelliano (dalla “Tvc 15” di “Station To Station” alle “fauci feroci” del “1984” di “Diamond Dogs”). E tra le righe si potrebbero leggere riferimenti politici più o meno espliciti, come la denuncia dell’imperialismo americano nelle sembianze di un inquietante Topolino-mucca (“Mickey Mouse has grown up a cow”), o quella dell’uso strumentale della politica, con operai intenti a scioperare “per la fama”, un John Lennon – pronunciato come se fosse “Lenin” – nuovamente in vendita (“on sale again”) e il vecchio inno nazionale “Rule Britannia” ormai messo al bando. Il Bowie musicofilo riesce a piazzare anche l’ennesima citazione: “Look at those cavemen go” (“guarda quei cavernicoli che passano”) ripesca infatti il ritornello di “Alley Hoop”, hit del 1960 degli Hollywood Argyles, ripreso nel 1966 dalla Bonzo Dog Doo-Dah Band. E chi sono quei topi che strisciano in milioni di orde, dalla vacua Ibiza ai placidi laghetti inglesi delle Norfolk Broads? Forse, sono proprio l’umanità cieca e ottusa che sarà soggiogata dal Big Brother di “Diamond Dogs”. E quei clown accomunati alla madre e al cane nella più stravagante “dedica” della storia del rock? (“To my mother, my dog and clowns”). Quasi dieci anni dopo, ne vedremo uno, aggirarsi con aria sinistra sulla spiaggia di “Ashes To Ashes”. Ma questa è decisamente un’altra storia.
La storia di “Life On Mars?”, invece, si tingerà rapidamente di gloria. Inclusa tra i solchi del capolavoro “Hunky Dory” (1971) e stampata come suo secondo 45 giri il 22 giugno del 1973 in piena Ziggymania (con “The Man Who Sold The World” sul lato B), entrerà subito in classifica al n.3 e diverrà nel tempo uno dei massimi successi del dandy londinese, conquistando addirittura su Bbc Radio 2 la palma della sua “più bella canzone di tutti i tempi”. Finirà saccheggiata in innumerevoli cover – da quelle suggestive del belga Jasper Steverlink e del duo Yann Tiersen & Neil Hannon (Divine Comedy) a quella “terribilmente brutta” (secondo le parole dello stesso Bowie) di Barbra Streisand - e sfruttata in ogni salsa, inclusi spot per le Poste francesi: l’abbinamento musica-immagini più felice resterà probabilmente quello dell’emozionante “Epilogue” di “Le onde del destino”, il film che lanciò Lars Von Trier. A donarle nuova fama sarà anche l’omonima – e altrettanto geniale – serie tv britannica, in cui l'ispettore capo Sam Tyler della polizia di Manchester, investito da un'auto nel 2006, finirà catapultato nell'anno 1973, e, risvegliatosi proprio sulle note di “Life On Mars?”, si ritroverà alle dipendenze del burbero ispettore Gene Hunt. Sull’onda del successo della serie, il brano tornerà a scalare le chart inglesi (fino al n.55) oltre trent’anni dopo, insensibile all’usura del tempo. Forse perché - come Fred Frith e Howard Howe ebbero a definire lo stesso Bowie - resta una misteriosa “tela nera sulla quale scrivere i propri sogni”.
It's a god-awful small affair To the girl with the mousy hair But her mummy is yelling "No" And her daddy has told her to go But her friend is nowhere to be seen Now she walks through her sunken dream To the seat with the clearest view And she's hooked to the silver screen But the film is a saddening bore For she's lived it ten times or more She could spit in the eyes of fools As they ask her to focus on
Sailors fighting in the dance hall Oh man! Look at those cavemen go It's the freakiest show Take a look at the Lawman Beating up the wrong guy Oh man! Wonder if he'll ever know He's in the best selling show Is there life on Mars?
It's on Amerika's tortured brow That Mickey Mouse has grown up a cow Now the workers have struck for fame 'Cause Lennon's on sale again See the mice in their million hordes From Ibiza to the Norfolk Broads Rule Britannia is out of bounds To my mother, my dog, and clowns But the film is a saddening bore 'Cause I wrote it ten times or more It's about to be writ again As I ask you to focus on
Sailors fighting in the dance hall Oh man! Look at those cavemen go It's the freakiest show Take a look at the Lawman Beating up the wrong guy Oh man! Wonder if he'll ever know He's in the best selling show Is there life on Mars?
Dring-dring-dring... (Mind the phone)
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Discografia
45 giri (Rca) Pubblicazione: 22 giugno 1973
Autore: David Bowie Produttore: Ken Scott Durata: 3'48'' Cover
Barbra Streisand (dall'album "Butterfly", 1974) Flaming Lips (dal singolo "This Here Giraffe", 1992) Neil Hannon & Yann Tiersen (eseguita il 2 dicembre 1998 come opening act di Rencontres Trans Musicales e inserita nell'album live di Yann Tiersen "Black Session2000")