Autore: Robby Krieger (con Jeff Alulis)
Titolo: Set The Night On Fire. Vivere, morire e suonare con i Doors
Editore: Rizzoli Lizard
Pagine: 464
Prezzo: 24 euro (formato fisico), 13 euro (digitale)

La storia dei
Doors è stata negli anni oggetto di ogni sorta di ricostruzione e speculazione. Indipendentemente dalla smania di completezza o dalla pretesa di veridicità, tutti quelli che hanno conosciuto Jim Morrison anche soltanto per mezz'ora si sono sentiti in dovere di dire la loro sull'argomento. Fanno ovviamente parte di questa pletora di narrazioni anche le autobiografie degli ex-membri della band, che per ovvie ragioni dovrebbero essere gli esempi più attendibili.
Dopo "Riders On The Storm" di John Densmore, pubblicato nel 1990, e "Light My Fire" del compianto Ray Manzarek (uscito otto anni più tardi), tocca oggi a Robby Krieger provare a far sentire la sua campana con "Set The Night On Fire".
Già, perché proprio di campana si tratta, dal momento che l'epopea della band corrisponde a un periodo storico in cui la cultura dell'acido e delle droghe era diventata, soprattutto in California, un tratto distintivo della comunità musicale.
Viene quasi automatico domandarsi come sia possibile, per un utilizzatore abituale dell'epoca, ricordare oggi con esattezza quello che è successo ad esempio nell'estate del 1967, quando il viaggio lisergico era una delle cose più
cool ed esaltanti da provare (a patto di non finire in un
bad trip).
Si deve essere sicuramente posto la domanda anche Krieger, prima di affrontare le 460 pagine di questo suo esordio letterario, che scandaglia con dovizia di particolari la storia di un gruppo cardine della scena psichedelica tutta.
Unanimemente considerato quello dolce e gentile dei quattro (oltre che “la peggiore capigliatura del rock’n’roll”), Robby si è ritagliato nel tempo il fondamentale ruolo di diplomatico/paciere, sempre in grado di affrontare con un'apparente dose di calma gli imprevisti che emergevano in presenza di un personaggio come Morrison. All'inizio ha anche gestito per un po' gli affari del gruppo, ma la sua vera specificità, oltre a suonare la chitarra elettrica, è stata quella di essere autore di alcune fra le più famose hit della band, come "Light My Fire", "Love Me Two Times" e "Love Her Madly".
Per volere di Morrison, tutte le royalty venivano sempre divise equamente tra i membri, ma dal punto di vista prettamente autoriale quei brani erano di Krieger, e questo libro serve anche a sottolinearlo.
I ricordi, dicevamo. Robby lo spiega alla fine, ma è evidente fin da subito che il suo obiettivo era quello di arrivare al miglior grado di ricostruzione possibile degli avvenimenti, e per farlo si è avvalso dell'aiuto di un gran numero di amici, parenti e testimoni diretti dell'epoca. Così come è piuttosto evidente che il lavoro trasudi una buona dose di onestà intellettuale, soprattutto quando descrive spiacevoli e imbarazzanti episodi che riguardano l'autore.
Non aveva invece questo obiettivo Oliver Stone, l'autore del famigerato biopic del 1991.
Robby affronta l'argomento senza scagliarsi in particolare sulle scelte del regista - anche perché i Doors rimanenti avevano approvato complessivamente il film, e Densmore era addirittura presente in un cameo - ma ci tiene a raccogliere tutte le differenze rispetto al reale svolgersi dei fatti in un apposito capitolo. In generale, Krieger prova a togliere la patina di sensazionalismo dalla figura di Morrison, certamente complessa, incline alla ribellione e al consumo facile di Lsd e alcolici, ma anche affascinante, profonda, gentile e timida con gli amici (in particolare, sull’onda dei sensi di colpa per qualche comportamento della sera prima).
Nel memoir di Robby, Morrison è in primis un musicista, un artista desideroso di esprimersi senza schemi o regole, e poi un romantico libertino che amava la vita e gli eccessi dei poeti francesi maledetti. Soprattutto, Jim era l'autore in grado di aggiungere quello che serviva ai brani per decollare in termini di testo (dove la collaborazione con il chitarrista era consolidata) e di interpretazione. Oggettivamente diverso dal ritratto del fattone psicopatico 24/7 dipinto nel film.
"Set The Night On Fire" indugia spesso nel racconto di episodi grotteschi che riguardano l’entourage della band, ma nessuno di essi ha il sapore della rivalsa.
Con uno stile semplice ed equilibrato (merito anche del co-autore Jeff Alulis), Krieger sembra saper trovare una giustificazione per ogni comportamento umano descritto nel libro, espediente narrativo che gli consente di essere poi indulgente anche nei confronti dei dettagli che lo riguardano personalmente (come la carriera solista post-Doors, tratteggiata con sincero candore e senza tralasciare nulla in termini di alti e bassi).
Si può decidere se credere o meno alla versione di Robby, a tratti piuttosto antitetica a quella dei suoi compagni di band, ma "Set The Night On Fire" inquadra una riuscita storia di amicizia e poesie musicate a 4-6-8 mani. Una storia di sassolini da togliersi gentilmente dalle scarpe, senza cattiverie o rancori. Una storia di dipendenze dall’alcol, dagli acidi, dal sesso. E dalla musica.