Last night a Mixtape saved my life

Onda-parenting

The first things that she took from me were selfishness and sleep
She broke a thousand heirlooms I was never meant to keep
She filled my life with color, cancelled plans and trashed my car
But none of that is ever who we are
(da “The Mother” di Brandi Carlile)

Se c’è un’esperienza per la quale davvero vale la pena spendere la famigerata espressione inglese life-changing, questa è diventare genitori. Si tratta di un cambiamento così prevaricante e brutale, che coinvolge così tante sfere, che mette in campo così tanti sentimenti e istinti, che difficilmente ce ne si può fare un’idea senza passarci. Tanto che quando un genitore cercherà di farsi capire da chi ancora non lo è (o mai lo sarà) sulla questione otterrà certamente taciti cenni di assenso, ma raramente una comprensione autentica e sincera. Io stesso ho fatto spesso finta di capire, dicendo poi tra me e me “ma cosa sarà mai… ma quanto la fanno lunga…”.
Poi mi è capitato due volte nel giro di una pandemia – okay, forse abbiamo esagerato – e mi è crollato il mondo addosso. Un mondo di spazi personali sottratti, privazione del sonno, pullover sbavati, cacca color mostarda, dubbi, paure, senso di responsabilità pietrificante, animalesco istinto di protezione, sorrisi capaci di illuminare anche il momento più buio. Amore come non lo avevo mai provato.

Va da sé che oggi posso comprendere appieno anche come mai diventare genitori abbia ispirato così tanti autori, senza barriere di genere musicale, epoca o generazione. Perché, semplicemente,  si tratta di un’esperienza che cambia letteralmente tutto.
Questa mia raccolta di venti canzoni, che avrebbe potuto durarne duecento, inizia con quello che probabilmente è il brano più famoso di sempre dedicato a una figlia, ossia “Isn’t She Lovely” di Stevie Wonder. Seguito immediatamente da quello che invece David Bowie ha dedicato al suo bimbo, “Kooks”, e da altri pescaggi più o meno classici che vanno da John Martyn a Paul Simon, da Ben Folds a Brandi Carlile. Tutti uniti da quell’inarrestabile mix di gioia e spaesamento che portano con sé i piccoli, nuovi arrivati.
C’è poi chi, come la piccola Blue Ivy, di genitori famosi ne ha ben due e quindi eccola celebrata e campionata sia da Beyoncé che da Jay Z. Rimanendo in campo black, troverete la meravigliosa “To Zion” inclusa da Lauryn Hill nel suo capolavoro e deliziosamente speziata dagli arpeggi di Carlos Santana; mentre invece tocca all’ex-Maccabees Orlando Weeks dipingere come un’impressionista una nuova, ovattata quotidianità fatta di piccoli vagiti e alito di latte (“Milk Breath”).

La quota stanchezza ottenebrante e borse sotto agli occhi viene rappresentata da quel mattacchione di Kurt Vile, che sembra cantare la sua “Too Hard” stravaccato sul divano e privo di energie dopo un’intensa giornata a cambiare pannolini e cullare. È pregna di tutt’altra energia “My Son Cool” dei Guided By Voices, con Robert Pollard a pompare riffoni e interpretare alla grande la figura del papà rockstar.
Gran parte delle emozioni del diventare genitori sono difficili da tradurre in parole e più che a un foglio scritto somigliano a un carosello di fuochi d’artificio, o all’elettronica psichedelica di “My Girls” degli Animal Collective, dedicata da Noah Lennox a sua moglie e a sua figlia e alla girandola di emozioni che gli provoca vederle insieme. È animata dallo stesso senso di stupore “Holly Up On Poppy” degli Xtc, che come da titolo vede Partridge scrivere e cantare della meraviglia provata ammirando la figlioletta Holly montando sul suo cavallino giocattolo Poppy.
Per molti neo-genitori, forse per tutti, è inevitabile approcciarsi al nuovo ruolo facendo i conti con i propri, di genitori. Succede a Kanye West in “Only One”, dedicata alla piccola Nori ma cantata dal punto di vista della nonna Donda scomparsa da poco. Insomma, il solito caso da studio psichiatrico, ma come gli capita spesso geniale. E poi ci sono i mugolii di Paul McCartney, che anche da soli varrebbero il prezzo del biglietto.

Ci si avvicina al finale della playlist con “Mouths Cradle”, immaginifico brano su allattamento e maternità ad opera di Bjork, e “Sail To The Moon”, ninna-nanna dolcissima ma inquieta dedicata da Thom Yorke al suo Noah in compagnia degli altri Radiohead.
Chiudono la rassegna quattro brani che destano i peggiori incubi di ogni neo-genitore: la paura di non essere all’altezza del ruolo, quella di non poter garantire una vita dignitosa ai proprio piccoli e, ovviamente, quella di sopravvivere alla propria progenie.  Diversissime, ma ugualmente struggenti, “Tears In Heaven” di Eric Clapton e “Ghosteen” di Nick Cave sono due dolorose elaborazioni di un lutto inestinguibile; mentre “June” degli Idles vede l’alfiere del nuovo post-punk Joe Talbot ricordare la terribile esperienza vissuta quando sua moglie diede alla luce un bimbo morto (il refrain “Baby shoes for sale, never worn” è davvero la cosa più logorante che abbia mai cantato) e la più celebre “Little Green” ci mostra Joni Mitchell alle prese con la tragica decisione, presa in condizioni di estrema povertà, di dare in adozione la figlia.

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