Charlie Kaufman - Formichità (2020, pubblicato in Italia da Einaudi nel 2023)
Accidenti quanto mi piace Charlie Kaufman! Amo il suo mondo surreale, sbilenco, grottesco, fuori da ogni logica e bla bla bla. Tante parole non servono, meglio mettersi a guardare i film di cui è regista e/o sceneggiatore, a cominciare (per citare gli essenziali) dall'epocale “Essere John Malkovich” (1999). A seguire si può passare al classico “Se mi lasci ti cancello” (2004) per poi affondare in “Synecdoche, New York” (2008), punto di non ritorno di un autore che riesce a mostrare in maniera eccelsa i labirinti dell'inconscio e le sue ossessioni. A seguire il fulgido stop-motion di “Anomalisa” (2015) che fa da preludio a quel “Sto pensando di finirla qui” (2020), ultima sua prova da regista in una pellicola tanto sottovalutata quanto ricca di tutto ciò che l'amante del cinema visionario brama.
Nel 2020 c'è anche una nuova sorpresa: Charlie Kaufman scrive un romanzo: “Antikind”, super-tomo di oltre settecento pagine. E giù a sognare ulteriori sortite nel paradossale con gusto e ironia, a protrarsi per le molte pagine in grado di mostrare chissà quali vicende cubiste. L'attesa per una traduzione è lunga, ma nel 2023 ci pensa Einaudi a pubblicarlo con il titolo di “Formichità”. Urge recuperarlo e porlo sotto la luce che merita perché chi ama i suoi lavori non potrà che esserne deliziato. E qui non si tratta di due orette che passano guardando un film, ma di giorni e giorni (dipende dalla velocità di lettura) nei quali si verrà inghiottiti da un gorgo sconnesso e morboso, nei quali il confine tra reale e irreale si disperderà.
Il libro si apre e le sue fauci divorano il lettore catapultandolo nel mondo di B. Rosenberger Rosenberg, critico cinematografico di bassa fascia, in cerca dell'occasione per mostrare al mondo qualcosa di sorprendente, che lo possa elevare, che sappia lasciare il segno e lo consacri. A un certo punto scova un film realizzato da un personaggio misterioso e sfuggente, uno stop-motion lungo tre mesi che ha richiesto novant'anni per essere realizzato. È l'occasione che Rosenberg aspettava da tempo, la sua scoperta sconvolgerà il mondo del cinema e lui assurgerà a star della critica. Purtroppo, però, la pellicola viene distrutta in un incidente e al nostro rimarrà solo un fotogramma: usando quel singolo frammento Rosenberg dovrà ricordare e ricostruire l'intero film.
Ecco, tutto quanto finora scritto rappresenta, sì e no, il 5% di ciò che “Formichità” comprende. Partendo da questa traccia Kaufman si inoltra nel delirio universale, cita (e critica) a più riprese se stesso e il suo lavoro, mette in scena l'ossessione per il politically correct, pone il protagonista davanti a vicende che, a ben guardare, rendono i suoi film quasi barzellette rispetto all'enorme massa di materiale messo in mostra in questo volume. Se si dovessero misurare i grandi romanzi in base alla loro capacità di sorprendere, allora “Formichità” sarebbe (è) un grande romanzo, perché non si sa mai (ma proprio mai) cosa succederà, pagina dopo pagina. Kaufman sfrutta le sue idiosincrasie per redigere una lunghissima e bizzarra lettera d'amore al cinema. Si rivela un maestro del linguaggio, lo mostra più e più volte durante le moltissime pagine, il suo umorismo e la sua inventiva iniettano nei personaggi una sorta di elettricità che li rende memorabili, sfoggiando un'immaginazione apparentemente infinita. Secondo l'autore “Formichità” è “confuso, incoerente e feticistico”, un romanzo ricco di elementi contrastanti, ipertrofico, stordente. È una scorpacciata al buffet della letteratura e del cinema. Un libro divertente e impertinente che alla fine lascia un senso di benevola indigestione. Cosa aspettate a ingozzarvi?
Gong – You (1974)
È capitato per istinto. Leggendo “Formichità”, non so come mai, risuonavano nel cervello le note di “You”, il mio Gong-album preferito. Charlie Kaufman delira, e Deavid Allen non è da meno. Un delirio ben organizzato, nel libro e nel disco. “You”, rispetto ai capitoli precedenti dell'epopea di Zero The Hero, sa farsi più squadrato e “tecnico”, meno free-freak di un “Flying Teapot” o di un “Angel's Egg”. E però assai più magmatico, space, non meno esplorativo a riguardo dell'universo interiore ed esteriore del bestiario che il caro Dingo Virgin riesce a mettere in scena. In realtà, c'è una grande armonia tra questi solchi, le bizzarrie da pot head pixies non se ne vanno (“Thought For Naught”, “Perfect Mystery”, “You Never Blow Yr Trip Forever”) ma poi arriva Tim Blake che con la sua Crystal Machine fatta di VCS3 e derivati ammanta il tutto di space-delizia, coadiuvato dai fiati allucinati di Didier Malherbe, dalla chitarra infinita di Steve Hillage, dalla mantra-ritmica di Mike Howlett e Pierre Moerlen e dai whispers della space-concubina Gilli Smyth.
Via così a cadere nei vortici di “Master Builder”, “A Sprinkling Of Clouds” e “The Isle of Everywhere”, con le peripezie terrene di B. Rosenberger Rosenberg che si rispecchiano in quelle ultraterrene dell'eroe alleniano. Per l'americano si tratta di spingersi fino ai confini del cinema e della letteratura, per l'australiano si viaggia oltre l'iperspazio, alla ricerca del Nirvana. Alla fine le vicende si concludono con Zero che perde di vista i suoi obbiettivi mistici e si lascia ammaliare da una gustosa torta alla frutta. Rosenberg invece... leggerete. Di abbuffata in abbuffata, libro e disco si compenetrano, proiettandoci - a pancia piena - in luoghi oltre, finalmente liberi.