Senza pretese di completismo, ma neanche quella di rappresentare in toto le classifiche della redazione, abbiamo pensato di farvi ascoltare, con una Top10 a testa, le playlist che meglio rappresentano l'"anno musicale" di ciascuno. Le canzoni che hanno spiccato all'interno di un certo genere, le canzoni-simbolo degli artisti-rivelazione o delle grandi conferme - o, più semplicemente, le canzoni che hanno significato qualcosa per noi che le abbiamo ascoltate.
Stefano Bartolotta
Nel 2015, probabilmente, non è uscito alcun album di cui ci ricorderemo tra tanti anni. Però va detto che, per quanto mi riguarda, le uscite buone sono state tante, soprattutto a livello di canzoni singole, ce ne sono state davvero tante che, periodicamente, ho ascoltato tante volte, spesso lasciando perdere il resto del disco. Anzi, paradossalmente i dischi più belli dell'anno nel loro complesso sono poco rappresentati in questa playlist, e si è assistito al fenomeno di ottime canzoni incluse in dischi non sullo stesso livello. Non necessariamente questo è un male, e riunire tutti questi brani in un'unica playlist di fine anno è stato un piacere.
Gabriele Benzing
2015: End Credits
Personaggi e interpreti di un anno, ovvero i titoli di coda del 2015.
Wartime Blues as The (Re)Builder in “Build A Sun”. Perché il sole rinasce sempre, anche sul fondo del precipizio.Un 2015 ricco, tra consacrazioni (Julia Holter, John Grant, Susanne Sundfør, Chelsea Wolfe, Soft Moon), rivelazioni (Algiers, Aisha Devi, Takadum Orchestra) e ritorni gloriosi di vecchi leoni (John Fay, Joe Jackson, China Crisis, questi ultimi esclusi qui per cause di forza maggiore, vista la loro assenza da Spotify). Pochi dischi realmente rivoluzionari, ma tanti lavori in grado di regalare ascolti curiosi ed emozionanti.
Ho cercato di sintetizzarlo con i miei pezzi preferiti dell’anno, tra i quali non poteva mancare qualche ruggito pop di classe (Duran Duran, Blur) ad accompagnare il mio consueto mischione onnivoro di musica (più o meno rock) contemporanea. Con quote rosa in grande spolvero, grazie alle meraviglie della triade Holter-Sundfør-Wolfe e all’immancabile Lana (ancor più) languida in versione Luna di miele.
1. Maccabees – Spit It Out
La canzone più bella da uno degli album più sottovalutati dell'anno. Un crescendo orchestrale che esplode in tutta la sua potenza e nel frattempo fa venire la pelle d'oca.
2. Belle and Sebastian - Allie
L'ennesima perla incastonata nel canzoniere di Murdoch e soci. Questa volta, però, declinata come un piccolo baccanale che si schiude nel solito, calibratissimo ritornello. Sontuosa.
3. Blur – There Are Too Many Of Us
Damon Albarn a Sydney, barricato nella stanza d'albergo mentre a poche centinaia di metri è in corso un attentato. L'angoscia globalizzata tradotta, quasi esorcizzata in un crescendo di straordinario impatto. Un brano degno dei migliori Blur.
4. Stornoway – Between The Saltmarsh And The Sea
L'aria salmastra, una nave che salpa, le scogliere in lontananza, la rassicurante malinconia del distacco. Lassù, da qualche parte, in un Nord vivido e selvaggio,.
5. SOAK – Sea Creatures
Per quanto provi ancora a giocare con quell'aria un poco naif, SOAK è diventata grande. Qui ne abbiamo la riprova: raffinate atmosfere retrò, accenni chamber-pop, un sottile retrogusto psichedelico. Una canzone da portare nel cuore.
6. Sarah Cracknell – Nothing Left To Talk About
Né più né meno, una lezione di eleganza e spensieratezza. La canzone che mi ha accompagnato nelle lunghe giornate estive.
7. Speedy Ortiz – Raising the Skate
Del gigantesco revival nineties che ha attraversato il 2015 eleggo a portacolori questa hit mancata degli Speedy Ortiz, una canzone sghemba, quasi balbettante, cialtrona e genuina quanto basta, ma anche melodica e appiccicosa. Perfetta.
8. Gaz Coombes - 20/20
Ormai lontano dalle smargiassate britpop, Gaz si riscopre autore maturo e raffinato. “20/20” è come una marea che si alza e si abbassa, mossa da dinamiche nascoste e irregolari. Un brano nel quale l'unica regola è perdersi, senza necessità di ritrovarsi.
9. Ducktails – Surreal Exposure
Ci sono cose nella vita sulle quali sai di poter sempre contare: una di queste è la penna di Matt Mondanile, con le sue atmosfere agrodolci iniettate in un indie-rock ovattato e, per qualche strana ragione, a suo modo rassicurante. Già che ci siete, recuperate anche “Northerh Highway” del sodale Martin Courtney.
10. Digitonal – Anaemathics
A mezza strada tra modern classical e ambient, un brano di crepuscolare bellezza da un album ingiustamente passato sotto traccia. Riscopritelo.
Vassilios Karagiannis
Se dovessi descrivere con un solo aggettivo il mio 2015 in musica, “sorprendente” sarebbe forse la scelta più adatta. Se da un lato sono stati ben pochi i nomi che hanno saputo confermarsi quest'anno con i loro nuovi album, dall'altro invece sono state moltissime le scoperte inaspettate, sia dal punto di vista geografico che dal punto di vista strettamente musicale. Le frontiere della nuova musica sacra (Timbre, Spires That In The Sunset Rise, Kara-Lis Coverdale, Tigran Hamasyan), inedite forme di r&b mutante e avveniristico (Bilderbuch, Kelela, Dawn Richard, Miguel), elettronica pensante e accelerazionista, ma anche dotata di molteplici sfumature antropologiche (Holly Herndon, Elysia Crampton, Aïsha Devi, Lakker); non mancano anche le consuete (ma non per questo risapute) puntate nel campo del pop da classifica, del cantautorato e della folk-music, ma quest'anno è stato senz'altro dominato dall'eterogeneità stilistica e da uno sguardo più ampio a realtà che meriterebbero maggiore considerazione. Questa playlist di 50 brani non vuole essere esaustiva di tutti gli ascolti più significativi del 2015, ma si tratta comunque di un buon punto di partenza per inquadrare un'annata straordinariamente ricca e avvincente. Nessun ordine di merito.
Claudio Lancia
Mentre sceglievo dieci brani pubblicati durante il 2015 fra quelli che ho ascoltato di più negli ultimi dodici mesi, mi son reso conto di quanto (inconsapevolmente?) retromani siano state le mie preferenze. Come al solito molte influenze stilistiche degli anni 90 (Metz, il ritorno delle Sleater-Kinney, la bella novità Courtney Barnett), ma anche parecchia wave del decennio precedente (in rappresentanza del filone ho scelto Girls Names ed Editors), un po’ di pop ben fatto (sì, ho apprezzato il vistoso cambio di direzione dei Mumford & Sons), qualche opportuna deriva ibizenca (Chemical Brothers e Jamie XX son due dischi che ho amato moltissimo), e i sogni ad occhi aperti dei Beach House, che ci hanno colti di sorpresa con due bei lavori licenziati nell'arco di poche settimane. Poi, quando la selezione sta per volgere al termine, ecco il darkissimo lavoro firmato Chelsea Wolfe, una meravigliosa discesa agli inferi intitolata “Simple Death”. Moltissimi altri avrebbero meritato spazio, ma già così esce fuori una cassettina niente male. Buon anno a tutti!
Stefano Macchi
Se Benjamin Clementine ci ha regalato una tela di assoluto valore dai tratti gotici ("Cornerstone"), gruppi come Beach House ("10.37") e Tame Impala ("The Less I Know The Better") mi hanno lasciato inizialmente l'amaro in bocca; poi, il frutto maturo, mi ha colpito e rapito istantaneamente in un vortice sognante e godereccio, come un Ah-Ha gestaltico di una figura pop magica e bizzarra. IOSONOUNCANE ("Stormi) s'infila di diritto nelle scoperte (forse un po' di chiunque) ma era già una certezza da top ranking sin dal principio di quest'anno, così come Malika Ayane ("Lentissimo"), un'assoluta rivelazione per il pop italiano. In tutto il filone pop-elettronico (abbastanza deludente quest'anno) vedo sugli scudi l'inglesino Jamie XX ("Obvs") sorretto dai connazionali Hot Chip ("Huarache Lights"), da un ibrido interessante - ma in attesa di conferma - di nome All We Are ("Ebb/Flow") e dai redivivi Charlatans ("So Oh") che pubblicano il nuovo disco a distanza di 5 anni.
C'è invece una scena folk internazionale che ha impreziosito la mia collezione in questo 2015: Eaves ("As Old As The Grave"), un giovanissimo chitarrista folk di Leeds che ha scritto e suonato un disco ruvido e intenso; Villagers ("Dawning On Me") aka Conor O'Brien che ogni volta che lo ascolto e lo suono penso di voler essere come lui, almeno un po'; Ryley Walker ("Same Minds") che ci ha consegnato un ritorno di Nick Drake, crudo e ben suonato.
Infine ci sono i cosiddetti matti, i non classificabili, quelli che scrivono dischi che appartengono a un genere ma ne stravolgono le modalità, oppure semplicemente se ne fregano di tutto e tutti: è il caso del perfezionista gallese H. Hawkline ("Moons In My Mirror"), dei velocissimi Fidlar ("40oz. On Repeat") americani della West Coast che piano piano stanno reinventando lo skate-punk, di Panda Bear ("Mr. Noah") che definire il suo disco psichedelico è eufemistico e degli Zun Zun Egui, multirazziale prog-band che ha scritto un disco potentissimo (era dai tempi dei Mars Volta che non si ascoltava qualcosa del genere) e poi ha deciso di sciogliersi.
Angelo Molaro
Almeno per le playlist il polpettone analitico ce lo risparmiamo, perché se c'è uno scopo primario nella musica è quello del piacere che deve trasmetterci al di là di tecnicismi, voti, classificoni e critiche. Infatti la playlist è stilata totalmente in base al gusto, non c'è una prima posizione, una seconda o un'ultima. Potete trovare di tutto: dalla miglior scena losangeliana di hip-hop e jazz con Flying Lotus e soci (Kamasi Washington, Kendrick Lamar) al ritorno di gran classe dei New Order e dei Ratatat con il singolo dell'estate, la paladina dell'indie-pop Lana del Rey, la bomba dei Battles che preludeva a un disco clamoroso si è risolta con una delusione cocente. C'è ovviamente un sacco di elettronica che rimane comunque un punto di riferimento nei miei ascolti: dalle piroette di Jamie XX, Baio e Panda Bear, all'inquietitudine di Oneohtrix Point Never per passare al mondo onirico di Floating Points e finire con la cassa oscura e dritta di Polar Inertia e Black Dog.
Purtroppo mancano all'appello alcuni pezzi di notevole interesse che la piattaforma Spotify non supporta come lo spettacolare Pomegranates di Jaar e il seminale Levon Vincent. Pazienza, ci hanno pensato le scoperte allegrissime al fotofinish di Bomba Estèreo e Voilaaa a farci viver con meno rimorsi. Buon ascolto.
Michele Palozzo
The Apartments - Black Ribbons
Ancora una volta, come inguaribili romantici, innamorarsi di un'atmosfera, poi di uno stato d'animo, infine di una voce femminile cristallina e disarmante, as your song floats down over the town.
Emidio Clementi - I camerieri
Urla in alto fino alla casa del tuo Dio, urla giù per le scale dietro ai camerieri che corrono, urla contro il cibo e il vino. Urla il tuo terrore, la tua ostinata malinconia. Sono tristi questi pazzi, e su due o tre facce questa tristezza affiora. Il piacere, una rosa avvizzita sul petto della vita.
Benjamin Clementine - Cornerstone
Tra gli esordi cantautorali più celebrati dell'anno, per me solo un assaggio di quel che Clementine sa trasmettere davvero soltanto dal vivo, a voce nuda e pianoforte. "Cornerstone" rimane, per l'appunto, la pietra angolare di quel rapporto così intenso tra voce e strumento.
Rafael Anton Irisarri - Empire Systems
L'ambiente musicale nel quale perdersi quest'anno. Sprofondare in una nebbia che oscura la vista ma sembra spalancare le più recondite soglie della mente. Una geografia fragile ed evanescente, somma e inafferrabile.
Low - Lies
Per molti i Low sono sempre stati una guida, per me una conferma che si rinnova con forza sempre maggiore in maniere inaspettate. È del tutto paradossale, ma non li ho mai sentiti così vicini come adesso. Ancora una volta vincono i cuori semplici.
Mew - Satellites
In tema di grandi ritorni, probabilmente i Mew riusciranno sempre a piazzare almeno una canzone degna di una playlist annuale, per quanto ridotta. Volendo ce ne sarebbero anche tre o quattro, ma attualmente "Satellites" è l'ultima asticella di riferimento per la perfezione indie-pop.
Joanna Newsom - Anecdotes
Farsi attendere a lungo per tornare in scena con tutta l'eleganza e la consapevolezza di un'artista già leggendaria. Tra "Anecdotes" e "Sapokanikan" sembra che la Newsom abbia già lasciato un altro testamento artistico, un connubio di perfezione formale e anima al quale non riesco ad abituarmi.
Sufjan Stevens - The Only Thing
Un atto d'amore privato diventa immagine composita nella quale tutti possono ritrovare parole adatte a descrivere il proprio stato d'animo. Ogni periodo della vita è segnato da un addio, qualcuno ha perlomeno la fortuna di saperlo esorcizzare attraverso la musica. Should I tear my eyes out now? Everything I see returns to you somehow.
Susanne Sundfør - Memorial
Se ancora non mi sono deciso a restringere il campo in materia di generi musicali è per il timore di lasciare per strada album come quello di Susanne Sundfør: dieci brani pop di grande spessore emotivo, tra danze erotiche irrefrenabili e dolenti gothic ballad. Quasi impossibile scegliere una sola traccia, ma per il livello di enfasi e sontuosità la suite di "Memorial" non può davvero mancare.
Steven Wilson - Routine
La vocazione di Steven Wilson, ora più che mai, è divenuta quella del cantastorie: assieme ai suoi primi amori musicali rivivono figure dimenticate la cui anima, però, continua a emanare luce. "Routine" suona come un requiem sommesso ma da ultimo pacificato, dolcissimo, specchio di un'umanità devastata ma che non cede alle angherie del destino. Don't ever let go, try to let go
Lorenzo Righetto
Quest'anno un po' tutti si sono sentiti bambini abbandonati dalla madre alcolizzata e schizofrenica dopo pochi anni di vita, impegnati a ripescarne il ricordo di poche estati dopo averla rivista, più di trent'anni dopo, sul letto di morte: "Did you get enough love, my little dove/ Why do you cry?/ And I’m sorry I left, but it was for the best/ Though it never felt right". E' difficile non iniziare una playlist se non con "Fourth Of July" di Sufjan Stevens, insomma. Però ci sono anche altre canzoni che fanno piangere, a volte basta la voce, quella di Karen Peris ("Washington Field Trip"), a volte un'altra storia che spacca la vita in un prima e in un dopo, quella del figlio che Peter Walsh ha perso ("Black Ribbons"). Ma ci sono state anche canzoni per tornare giovani, quando bastava una canzone per passare il pomeriggio ("Kathleen Sat...", "Yung Girls", "To The Kino, Again"). Canzoni e suoni che creano mondi emotivi ed estetici che risuonano a lungo dentro di te ("If It Does", "En Gang Om Aret"), o ti fanno vivere altre vite, eroiche e sfrontate ("Scar") o romantiche e solitarie ("Porch").
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