Gabriele Benzing
Dieci canzoni per...
Chi vorrebbe vedere se la gente piange davvero
- "Okkervil River R.I.P.", Okkervil River -
Chi fa sul serio, o almeno ci prova
- "Are You Serious", Andrew Bird -
Chi non teme le insidie del periodo ipotetico
- "Love On The Conditional", Laish -
Chi non vuole spegnere la sveglia
- "Wake Up To This", King Creosote -
Chi chiama le cose con il loro nome
- "Humbug Mountain Song", Fruit Bats -
Chi ha rubato gli occhiali da sole di "Essi vivono"
- "Until It Goes", John Congleton & The Nighty Nite -
Chi vorrebbe essere Frank Lloyd Wright
- "Mamah Borthwick (A Sketch)", Conor Oberst -
Chi non ha mai imparato il giro di do
- "The Guitar Player", David Simard -
Chi è entrato nel seggio per votare no. Ed è uscito con il cuore trafitto
- "Fuck The Government, I Love You", The Burning Hell -
Chi non è ancora pronto
- "Traveling Light", Leonard Cohen -
Giuliano Delli Paoli
E’ stato un anno funereo per la musica popular, segnato dalla scomparsa di innumerevoli musicisti, a cominciare dall’inarrivabile Duca Bianco, uscito di scena mentre lanciava il meraviglioso e melanconico “Blackstar”. La toccante “Lazarus” ha emozionato tantissimo, fino alle lacrime.
Per fortuna, il 2016 ha regalato anche parecchi sorrisi, offrendo diverse conferme, come quella di James Blake e di Blood Orange. Poi ci sono capolavori come “Modern Holocaust” (l'unico brano della mia playlist assente da Spotify e che potrete ascoltare dal link Youtube allegato al titolo), contenuto nel magnifico “Karabin” della fuoriclasse polacca Maria Peszek; c'è la divina Solange che ha finalmente raggiunto la propria maturità, e la talentuosa Kate Tempest. Da segnalare inoltre la magnifica leggerezza di una canzone come “Hazy Shades” di Thomas Cohen, il crescendo graffiato e avvolgente di un brano come “Love & Hate” di Michael Kiwanuka, l’electro trip-hop dei londinesi Haelos, e il ritorno gradito e senza tempo del collettivo La Femme.
Claudio Fabretti
Stefano Ferreri
Fabio Guastalla
Vassilios Karagiannis
È stato un anno votato alla più totale eterogeneità: diversità la parola chiave, che si tratti di stile, di contesto, ma anche di genere, cultura, nazione. Questa è una playlist priva di riferimenti e punti fermi per un anno incerto e confuso, un magma ribollente che ancora fatica a prendere forma, nonostante l'emersione di molteplici tendenze, soprattutto in zona post-club. È una selezione alla rinfusa di canzoni che mi hanno accompagnato in questo strano 2016, segnato da perdite di enorme rilievo e dall'emersione di notevoli talenti, senza il bisogno di dover indicare o mostrare un particolare approccio all'ascolto.
Claudio Lancia
Il 10 gennaio ci ha lasciati David Bowie. La sorprendente “Tis Is A Pity She Was A Whore” inaugura simbolicamente la mia playlist 2016, assieme ad altri due nomi molto attesi, P.J. Harvey e Radiohead. Tre brani che rappresentano un suono diventato oramai “classico” ma mai scontato. La seconda parte della compilation è dedicata all’energia alt-rock, con le esplosioni chitarristiche delle Savages, lo shoegaze venato di malinconia dei Nothing e gli assalti wave dei Preoccupations. La terza parte è incentrata sulle contaminazioni elaborate da Suuns, Heliocentrics e Cavern Of Anti-Matters, titolari di tre lavori fra i più riusciti di questi dodici mesi. Come chiusura ho scelto la morbida cavalcata hippie-lisergica che funge da epilogo al quarto lavoro dei Black Mountain. Non avevo però voglia di trascurare il dream-pop dei Daughter, le derive etno-psych dei Goat, il ritorno al post-hardcore dei Men, i suoni da modern dancefloor degli Underworld, il pop iper colorato dei Primal Scream e i percorsi cinematografici dei Tindersticks. Tutti artisti che restano fuori dai primi dieci solo perché quest’anno è risultato ricchissimo di uscite belle e intriganti.
Alessandro Mattedi
Angelo Molaro
Ricorderemo il 2016 come un anno estremamente sfortunato, con la scomparsa del Duca Bianco per il versante rock da un lato e una leggenda dell'elettronica come David Mancuso dall'altro. E' stato comunque un anno ricchissimo di musica e di ritorni attesissimi come Radiohead, Massive Attack, American Football e The Avalanches. L'eccezionale debutto della coppietta del cuore Lost Under Heaven. Editors, Mogwai e Slowdive che si mischiano insieme per la prima dei Minor Victories. La riconferma della Warp come etichetta cardine dell'elettronica con Mark Pritchard, Bibio e il neo acquisto Lorenzo Senni con la sua pointillistic music.
Vi è stato anche un ritorno a quella forma techno di intransigenza verso l'ascoltatore, che lascia poco spazio all'empatia, a volte persino alla pista, attraverso un ritorno alle origine acide e industriali, "Daydream" di I Hate Models, in questo senso, è una traccia che ha davvero messo d'accordo tutti anche chi di techno, non è propriamente avvezzo. L'ennesimo disco dei Moderat, che per quanto mi riguarda, è quello che funziona di più rispetto ai precedenti, con più pezzi che ti rimangono in testa, l'eredità della Dream Catalogue con Immune e il suo pezzo che suona come Burial nel paese delle meraviglie. Ma soprattutto è stato l'anno degli Amnesia Scanner e della loro idea di stravolgere gli schemi del 4/4 e dar luce ad una nuova era di elettronica post club.
Michele Palozzo
Lorenzo Righetto
Visto in retrospettiva, il 2016 sembra tanto l'anno della periferia. Come nelle città, la periferia trova sempre di più un senso di comunità diverso e altro rispetto al suo centro di gravità, pur essendogli connessa ancora più saldamente di prima. Ma oggi in Islanda vengono prodotti dischi soul con texture strumentali e sound di alto livello. In Svezia si danno lezioni di ispirazione artistica ai propri malandati padrini statunitensi. In Australia si interpretano al meglio le tendenze e i revival in primo piano a livello globale. Poi c'è il Canada, inesauribile di fucina di artisti dalla spiccata, obliqua personalità. Curiosamente, da lì sono venute grandi consacrazioni, più che esordi dirompenti. Il 2016 è stato l'anno delle sfumature: se per il rock gli anni 90 continuano a essere la stella polare, a livello cantautorale il folk tradizionale/minimalista ha definitivamente perso appeal, in favore di orchestrazioni più elaborate, canzoni eclettiche, uno stile che richiama le contaminazioni pop-rock e soul dei Settanta (per chi non si è tuffato direttamente nell'elettronica).
Roberto Rizzo
Federico Romagnoli
Per le prime due, assenti da Spotify, si allega link YouTube al titolo. Le altre in ordine alfabetico.
ゲスの極み乙女。(Gesu no Kiwami Otome) – 勝手な青春劇 (Katte na seishun geki)
Giappone. Capolavoro progressive pop per la band di Enon Kawatani. Non ha ancora trovato spazio su album a causa del momentaneo scioglimento.
Maria Peszek – Modern Holocaust
Polonia. Testo apocalittico sull’attuale impennata dell’estrema destra. Gli fa sfondo l’art pop elettronico di Michał Król.
2814 – Before The Rain
Gran Bretagna. Un gorgo cosmico che si piazza fra i più bei brani ambient mai incisi.
Leonard Cohen – It Seemed The Better Way
Canada. Come nel singolo “You Want It Darker”, trovano spazio cori dal sentore gregoriano.
Los Fabulosos Cadillacs – No era para vos
Argentina. Muscoli indie rock e svolazzi progressivi per il ritorno dopo sette anni di silenzio.
Damir Imamović's Sevdah Takht – Lijepa Zejno
Bosnia. Jazz-folk dalle tinte noir, per un interprete che sta modificando le regole della musica tradizionale balcanica.
Metafive – Musical Chairs
Giappone. Dal recente Ep “Metahalf”. Supergruppo art pop che comprende nomi come Leo Imai, Yukihiro Takahashi e Cornelius.
ミツメ (Mitsume) – あこがれ (Akogare)
Giappone. Sempre più rilassati, i Mitsume realizzano una canzone perfetta, fra chitarre liquide e basso pulsante.
Solange – Don’t Wish Me Well
Stati Uniti. Forse il pezzo più teso del suo acclamato album, manifesto di un nuovo soul.
Years & Years – Meteorite
Gran Bretagna. Colonna sonora di un filmetto senza impegno, è un gioiello dance pop a cui è difficile resistere.
Gioele Sforza
In un 2016 pieno di tragici addii, ritorni inattesi e sorprese imprevedibili, voglio menzionare una manciata di canzoni che mi hanno accompagnato nel mare magnum di dubbi e ansietà di questo anno così strano, e a suo modo epico. Ne commento alcune, lasciando il resto all'orecchio del gentile ascoltatore.
Solange – Cranes In The Sky
Per come riesce ad astrarre il dolore e accettarlo come componente essenziale e ineluttabile della vita. Puoi provare a girare il mondo, a sperperare i tuoi soldi, a cimentarti nelle attività più disparate, dalla lettura al sesso, ma quel disagio, quella tristezza esistenziale permangono. Come da questa realtà amara possa nascere un gioiello di così rara bellezza è un miracolo che Solange riesce a incastonare con una leggerezza e semplicità disarmanti.
The Weeknd - Starboy
Col suo crescendo sinuoso e ipnotico, “Starboy” rappresenta forse il meglio del pop mainstream di quest'anno. Suoni e atmosfere si incastrano alla perfezione nel classico profluvio di pensieri lascivi a cui The Weeknd , qui al suo punto più 'stellare', ci sta abituando ormai da qualche tempo.
Glass Animals – Youth
Storia di una mamma che augura al figlio, oramai cresciuto, un futuro roseo e brillante nel mondo là fuori. A suo modo emozionante, se pur condito da una bonaria ironia, è stato uno dei pezzi più vivaci e colorati in questo anno pieno di ombre.
Rae Sremmurd – Black Beatles
Divenuta famosa per via del mannequin challenge, “Black Beatles” sembra esattamente vivere in quell'universo immobile e sospeso dei relativi video virali. La sua base fantascientifica, l'hook che si stampa in testa dopo poche note, e l'atmosfera maledetta, lo rendono uno dei brani hip-hop più memorabili degli ultimi anni.
Damir Imamovic's Sevdah Tahkt – Sarajevo
Febbrile ritmo balcanico che va a toccare corde inaspettate, col suo insistere assurdo di violini gitani e l'avvolgente melodia dal sapore orientale.
Jenny Hval – Conceptual Romance
Una perla criptica e filosofica che ha rappresentato bene l'esistenzialismo incerto e contraddittorio di questo periodo così confuso.