Tommaso Benelli
Secondo le previsioni dei Baustelle, mancano cinquemilacinqucentodieci anni al ritorno della moda del lento. Nel frattempo, nel 2018 abbiamo assistito al ritorno di fiamma del flamenco, e il merito è tutto della spagnola Rosalía. Ho piazzato la sua “Pienso En Tu Mirá" nel mezzo di una playlist disordinata e colorata, che si apre su una pista da ballo della Napoli anni 70 con i Nu Guinea e si chiude sulle vivaci frequenze electro-pop degli ultimi 1975. Nel mezzo tante chitarre, per lo più morbide. Menzione d’onore per la mia canzone dell’anno: “Privilege”, di The Weeknd.
Gabriele Benzing
E all’affacciarsi di un nuovo anno, la voce di Will Oldham ti sussurra all’orecchio, intima e spoglia come nelle tracce di “Songs Of Love And Horror”. Una delle cose più preziose del 2018, per inciso: vecchie canzoni cantate come se fosse la prima volta. L’amore e l’orrore, che altro c’è? Ma dicevamo di quella voce. La voce di un profeta fuori dal tempo, come nel monologo escatologico di “A Ghost Story”. Parla di un tempo in cui la musica si è disincarnata dalla relazione con un supporto, ma non con l’esperienza. “Continuo ad amare quel certo grado di impegno e di relazione che un disco implica”. Ha detto qualcosa del genere, un paio di mesi fa, in una lunga intervista a GQ: che la musica è qualcosa che deve occupare uno spazio, a cui occorre dedicare un posto. Nei tuoi scaffali, nel tuo hard disk, nella tua vita. Mi è apparso in sogno il volto barbuto di Will Oldham, e il suo augurio per il 2019 suonava più o meno così: non importa se su un giradischi o in una playlist, l’importante è non smettere mai di concedere a una canzone lo spazio per entrare in rapporto con la parte più vera di te.
Paolo Ciro
Nei trenta pezzi che hanno ipotecato i miei ascolti nel 2018 emergono evidenti infatuazioni di deriva punk/post-punk. A fianco di "One Rizla" degli Shame, che più in generale sembra contenere al suo interno tutti i germi del rock inglese delle ultime tre decadi, trovano posto inni quali "Disarray" dei Preoccupations, "Danny Nedelko" degli IDLES, "Preach To The Converted" dei Cabbage o "Hurrah" degli Iceage. Eppure, a sparigliare davvero le mie carte quest'anno ci hanno pensato i Low, dal cui ultimo disco ho selezionato "Always Trying To Work it Out" per la sua capacità di estrarre un fascio di luce dalla materia oscura. La mia affettuosa passione per l'elettronica è riassunta invece nei contributi di stelle vecchie e nuove come Aphex Twin ("MT1 t29r2" è stata uno degli highlight al C2C 2018), il progetto Against All Logic di Nicholas Jaar, DJ Koze (qui accompagnato da Róisín Murphy) e Skee Mask. Last but not least, gli italiani: la freschezza dell'esordio dei Nu Guinea ("Parev' ajere" è degna rappresentante di una tradizione partenopea che non conosce ostacoli) e le splendide conferme di Calibro 35 e Riccardo Sinigallia. Cervelli che dobbiamo ringraziare per non essersi mai dati alla fuga.
Giuliano Delli Paoli
Nell'anno della definitiva esplosione di generi come trap e del meno abbordabile deconstructed club, quella meraviglia del passato chiamata soul music continua a mutare e a camuffarsi in mille modi. Le canzoni che più mi hanno colpito nel confusionario 2018 hanno infatti un approccio soul, come nel caso del misconosciuto Vicktor Taiwò e del giovane MorMor. Erotica e suadente la collaborazione tra Dita Von Teese e Sebastien Tellier, mentre si confermano ancora una volta di un'altra categoria Lana Del Rey e James Blake. E pensare che entrambi non hanno inciso alcun disco nel 2018, ma solo diversi singoli. Da segnare sul taccuino il magnifico esordio della brasiliana Clau Aniz.
Claudio Fabretti
Dalla malia dark dell'affascinante Anna von Hausswolff di "Dead Magic" al noir-pop dei Girls Names e dei Beach House, dal prodigioso sodalizio tra i Sallskapet e Andrea Schroeder all'elettronica sperimentale di Beak>, Tim Hecker e Jean-Michel Jarre, dal cantautorato sublime di Paul Weller al melodramma struggente dei Suede, dal trip-hop di Neneh Cherry alla sorpresa tricolore Nu Guinea e alla geniale parodia della groupie dei Maisie: il mio 2018 in musica è, al solito, un calderone onnivoro di suoni disparati. Un anno denso di ascolti, rivelazioni, riscoperte.
Stefano Fiori
Ho deciso di inaugurare e chiudere la mia playlist con due anacronistiche ballatone cinematografiche (quelle di Anna Calvi e Suede) e lasciare nel mezzo una serie di pezzi disparati sia per genere che per idioma e provenienza geografica ma decisamente più attuali nel sound. Dal pop di Troye Sivan alla trap di una rinnovata Lykke Li e dall’r’n’b di Kendrick Lamar al trip-hop di Neneh Cherry, tutti i brani che hanno maggiormente caratterizzato il mio 2018 sembrano accumunati da un’atmosfera notturna, malinconica e vagamente primi anni ’90.
Fabio Guastalla
Vassilios Karagiannis
Senza alcuna pretesa di completezza, una selezione di 36 tra i pezzi rappresentativi del mio 2018, tra elettronica, pop, cantautorato e quanto altro, con una piccola sezione finale dedicata al k-pop e dintorni, a conti fatti l'ambito che ho approfondito di più durante gli scorsi 365 giorni.
Claudio Lancia
La prima parte della mia playlist quest'anno si presenta come elegantemente "pop": dal sunset-dream dei Beach House alla patina "alternative" di Courtney Barnett, dall'enfasi orchestrale dei Suede al crooning retro degli Arctic Monkeys. Poi i suoni si fanno più crudi con le chitarre di Shame e Cloud Nothings, e si trasmutano in derive psych grazie a Ty Segall e Oh Sees. Chiudono la Top Ten le infrastrutture electro dei Suuns e le mirabili destrutturazioni dei Low. Seguono altre dieci tracce che ho amato e consumato nel corso del 2018, le mie bonus track. Buon ascolto...
Alessandro Mattedi
La mia playlist dà rappresentanza a generi diversi nella selezione delle canzoni che più mi hanno catturato durante l'anno. L'ordine dei brani è casuale, ma se proprio dovessi scegliere un podio, penso che vi metterei "Il mostro atomico" dei Fu Manchu (impressionante suite stoner in cui sono condensate le radici più psichedeliche, noise e hard-rock del gruppo), poi gli Habitants e forse le Marsheaux. I brani scelti non necessariamente rispecchiano il gradimento generale dell'album da cui provengono, anzi, molti pezzi provengono da dischi che non mi hanno colpito nel complesso.
C'è quindi un'alternanza alla "come m'ispira" di musica diretta e d'impatto (spaziando tra influenze più bluesy, punk o metal) con altra musica maggiormente atmosferica e riflessiva. L'elettronica è suddivisa fra brani più catchy e altri più atmosferici. C'è qualche cosina folk, mentre per questo turno è poco rappresentato il jazz, nonostante siano usciti diversi album che mi sono piaciuti molto, con solo un suggestivo brano di Logan Richardson.
Infine, c'è anche un certo spirito di... divertimento nella playlist.
Recensioni degli album degli artisti rappresentati: A Perfect Circle, Black Tusk, Clutch, Dead Can Dance, Fantastic Negrito, Fu Manchu, Habitants, Jon Hopkins, Judas Priest, Marsheaux, Rosemary & Garlic, Solar Fields, Zeal & Ardor.
Michele Palozzo
Maria Teresa Soldani
Massimiliano Speri
Dal brusco risveglio in una terra desolata al sonno ristoratore tra gli oceani lunari, poi ancora in piedi con nuove energie e speranze. Nel mezzo tracheotomie, campane, regine, pneumatici e tanti altri protagonisti del nutrito raccolto annuale. Il criterio? Canzoni belle e forti in un continuum narrativo: dentro singoli d'impatto da album modesti, fuori brani poco immediati da dischi eccellenti. Il risultato? Un saliscendi emotivo da vertigini assicurate.
Damiano Pandolfini
Un anno di introspezioni e di occhi sgranati verso un futuro migliore, di ricordi e di emozioni sommerse che necessitano delle sonorità più impalpabili e drammatiche per trovare la giusta espressione - si va dalla vibrante voce di Nakhane all'instancabile energia di Dawn Richard (qui alle prese con un quartetto d'archi), il romantico chamber-soul di Anaïs e le gotiche fantasie queer-baroque di serpentwithfeet. Menzione a parte per l'aliena Sevdaliza, Dea ultraterrena che trasforma il vocoder in materiale organico, e l'insondabile soundscape di Tirzah - quest'ultima protagonista del concerto più emozionante al quale ho assistito quest'anno. Grazie infinite pure alla divina Kelela, che assieme a Girl Unit ha segnato l'estate con un inaspettato pezzo tropical elegantemente sexy.
Valerio D'Onofrio