Electro/club 2021

Dieci Ep/12'' a presentare l'estate club/electro

Torneremo a ballare, torneremo a sudare sulle piste, a quanto pare potremo farlo abbastanza presto. E se la selezione qui proposta sta ad indicare qualcosa, gli stessi producer e dj non solo non vedono l'ora di poter tornare nella loro dimensione ideale, ma hanno proprio l'intenzione di farlo nella maniera più ellittica e sorprendente possibile. Dagli hub elettronici/dance di tutto il mondo una raccolta dei migliori Ep/12'' ascoltati nel corso degli scorsi tre mesi, mai come adesso desiderosi di essere passati nel loro contesto d'elezione. Fino ad allora, dance, dance, dance till you drop, nella comodità del proprio salotto!

Cygnus – 100% Dope (Central Processing Unit)

cohpdAl crocevia tra techno, electro e sperimentazioni più ardite la Central Processing Unit ha costruito la propria fortuna, accorpando stuoli di producer dall'approccio analogo e dalla similare voglia di esplorare i confini di un territorio ancora ricchissimo di potenziale. Da tempo partecipe alle sorti dell'etichetta (che con questo “100% Dope” firma la sua centesima pubblicazione) Phillip Washington è personalità che sa muoversi agilmente in simili esplorazioni, avendo affilato una personale estetica electro che sa essere glaciale e coinvolta, robotica ma piena di pathos umano. È un gioco di contrasti e avvicendamenti che segue dappresso la complessità compositiva dell'Idm anni 90 ma sa dotarsi anche di una soddisfacente intensità pop: i vocoder di “CPU Records” donano quasi un tocco funky alle scansioni ambient di base, mentre  “Float Back To The Surface” manda in loop la linea vocale frapponendola a taglienti scansioni simil-industriali. Anche a non affidarsi alla voce, c'è comunque di che restare affascinati: variazioni di tono, cambi di umore, loop micromelodici (un Actress più addolcito fa capolino dalle effusioni techno di “Bad RGB Controller”) chiariscono la sintesi di linguaggi di un produttore pienamente a suo agio, che non teme approcci eterodossi. L'electro, se fatta con criterio, non smetterà mai di suonare contemporanea.

Delano Smith – Deeper Fundamentals 2 (self-released)

dsdfIn parte accantonata in virtù di sottogeneri che hanno goduto di maggiore fortuna, la deep-house ha continuato imperterrita sulla sua strada, abbinandosi a musicisti che ne sapessero trasferire i linguaggi nel caos degli anni Venti. Uno come Delano Smith sicuramente è tra i suoi alfieri più validi. Con quasi un ventennio di pubblicazioni alle spalle (e un'esperienza maturata già dalla fine degli anni Settanta), vanta di un catalogo ben corposo, che ha lascito fiorire un approccio minimalista, finanche tattile, alla materia di partenza, spesso ibridandola con accorte striature techno. Secondo capitolo dei suoi fondamentali (che però rivelano tutta la personalità del firmatario), l'Ep presenta un terzetto di brano che ben esemplifica gli assunti alla base dello stile Delano Smith, tra torsioni technoidi su lussuosi tratteggi al confine con certo funk (“Twisted Dreams”), pulsioni atmosferiche da riempipista a notte fonda (“Anything”), malinconie dub, quel che basta per dotare le propulsioni base di ulteriori chiavi di lettura (“Constant”). Nessuna ulteriore sovrastruttura, nessuna complicazione produttiva: con pochi elementi i tre brani costruiscono perfettamente il loro mondo, lasciano parlare una house semplice eppure ricercata, dotata della giusta personalità negli elementi per spiccare. Classe da maestri.

Emkay – Now We're Fucking Doing It (Post Bar)

enwfkdiCon i locali che solo adesso cominciano timidamente a riaprire ricordarsi della gioia e del piacere di una pista da ballo può risultare un'impresa ostica, eppure Maria Korkeila in arte Emkay, resident-Dj del Post Bar di Helsinki, non ha perso minimamente di vista l'euforia derivante da una simile condivisione. Con un tocco che a tratti si inabissa nei meandri di certa minimal-techno anni 00 (altezza The Field), ripescata però attraverso le modulazioni vintage di Helena Hauff, la produttrice finlandese costruisce tracce dal tocco sinuoso, saltellante, che guarda alla ricca tradizione electro senza però dimenticare l'eccentricità e l'effervescenza di tanta bass-music contemporanea. Ipnosi seduttive sospirano a malapena qualche parola prima che linee di synth trasferiscano l'intero mood verso una cavalcata weird-house che sarebbe l'invidia di Nina Kraviz (“Bootiesong”). È una bizzarra euforia, che si riverbera nei toni meno eccitati di “Rapid Oxidation”, ma che viene interpretata con una maggiore moodiness di fondo, quasi a suggerirne un impiego a nottata inoltrata. Ben più vicina a certa abstract-house dell'ultimo decennio, senza mai perdere di vista la chiarezza ritmica degli altri brani, “Housche” si tinge di atmosfera, un'uggia digitale che non appare molto lontana da certe produzioni piovose dello studio Barnhus. Imperdibile il remix del sodale Sansibar, che ne velocizza l'andamento mantenendo però intatte le coordinate uggiose, umorali, dell'originale. Come lancio per l'etichetta finlandese c'è tanto in cui sperare.

Funkystepz – This Is Not A Tech House Ep (self-released)

ftinatheNon si nascondono dietro a un dito, i Funkystepz: introducendo il suo primo lavoro in otto anni con un titolo che è un programma, il trio britannico che ha fatto la storia dell'uk-funky (“Dirty Dutch” un classico del genere) si ripresenta facendo quello che sa fare meglio, muovendosi tra ardite sincopi percussive, accurate costruzioni di basso e un senso del ritmo che non esita a contaminarsi con i più disparati contesti sonori. Il tutto senza mai dimenticare il gusto per la melodia, per il mood che si declina con estrema variabilità di traccia in traccia. La sinistra vivacità di un brano quale “Ninjaclart” raccorda al presente le rigogliose sinergie che furono proprie del purple-sound di Boxcutter e soci. E così “Pulse Loco” avanza pure ipotesi latine, con pianoforti in loop che donano al funk del terzetto una sensualità rinnovata, tutt'altro che sottaciuta; se “Grimey” pesca elementi dal genere del titolo, lo fa comunque irrobustendo la pensosa oscurità di base, lasciando che la progressione si affidi a un ostinato garage in scia breakbeat. C'è pure spazio per la malinconia e l'intensità, in un intelligente riutilizzo di “Hurt” di Christina Aguilera che trasporta dritto dritto agli anni d'Oro della Hyperdub. All killer, no filler, insomma, questa nuova venture del trio funky. E se la dedica a Scratcha DVA nel brano d'apertura indica qualcosa, è che questo ritorno non è un one shot: nuove pubblicazioni attendono alla soglia.

Golden Kong – Quatro faces do house (Wile Out)

gkqfdhA volte basta un'intuizione, una semplice deviazione dal percorso principale, per avere tra le mani qualcosa di interessante. Non che il baile-funk non sia nuovo a strade diverse dal canone o ad approcci eterodossi, eppure è raro trovarlo accostato a universi come la house e la disco. Sarà che la sua abrasività tematica e il suo uso dissacrante dei campionamenti spesso rendono difficile l'accostamento al tocco più vellutato e scanzonato dei generi di cui sopra, eppure la commistione, quando è svolta con la sottigliezza di “Quatro faces do house” (ultima fatica per Fernando Simões aka Golden Kong), con un'euforia che striscia e sottintende all'intera operazione, si rivela elettrizzante. E così anche i toni più aggressivi di “Jiu-Jitsu”, contraddistinta da aperture che sfociano nel footwork e nel ghettotech, non perdono il contatto con un'estetica dance che permea l'intero quartetto di brani, capaci di appriopriarsi di sottili echi deep per il letto sonoro di “Ecsed” (appena spruzzati di richiami euro), ma anche di giocare con i florilegi funky di un Jun Kamoda o un Luksek per una trascinante “Olha o que ela faz”. E non mancano anche sfumature più sexy, per quanto disperse in un mare di bar ben più battaglieri: “Kitado” fornisce addirittura un supporto ballroom agli attacchi baile della melodia, declinando con successo un'altra eccitante combinazione tra contesti difformi. Semplicemente un tripudio.

Hypna – Nylon Hood (self-released)

hnhLe produzioni di Hypna non sono strutturate per fare prigionieri. Tagliente come il ghiaccio, pura pressione uditiva, “Nylon Hood” esemplifica al meglio l'assunto, per cinque brani (tre inediti e due remix) che sanno come conciliare beat e atmosfera, tensione e rilascio. Grime, bass-music, club-sound tossici, corrosivi: questo è il set di ingredienti che il producer belga utilizza per trasformare la pista in puro caos e frenesia, un gioco al massacro che non risparmia nessun elemento messo in campo. Dalle ricercate alchimie post-techno di “DRM//BLL”, quasi un'Elysia Crampton posta sotto un allucinato trattamento industriale, al raffinato esercizio di astrazioni che agita il primo piano di “Beam Reflector” (prima che un beat più regolare imposti la progressione attorno ad un andamento fumoso alla Anthony Naples) non vi è un momento che scopra il fianco alla convenzione, che adotti tracciati consueti. E così anche i remix sanno fare tesoro dei contributi esterni per rendere gli originali se possibile ancor più eccentrici (eppure incrediabilmente club-ready): da un brillante fraseggio kuduro con cui infervorare ulteriormente “DRM//BLL” (non avrebbe sfigurato in un'uscita della Príncipe) alle coperture subacquee che dissimulano il fervore elettrico di “Beam Reflector”, si svela la grande sensibilità, il fiuto del producer, a modulare il proprio linguaggio attraverso una peculiare lente sonora. Da non perdere la sua evoluzione.

Luca Durán – Noche de rosas (TraTraTrax)

ldndrOramai è evidente come esista un crescente interesse per modulazioni più oscure, ellittiche, di reggaeton e dintorni, e un'etichetta come la TraTraTrax ne è diventata tra le principali portabandiera. Con un eccellente progetto quale “Negro In Negro” (di cui si è parlato in un precedente numero) pubblicato lo scorso febbraio, la label di Medellìn doppia il traguardo con “Noche de rosas”, un altro Ep di elettronica latina cupa, muscolare, non soltanto irrobustita da metalliche striature industriali (il nervo al titanio di “Metal Parce”), ma anche capace di stralunare i richiami melodici con tutta la creatività del caso, senza sbavatura alcuna. E dai tocchi psichedelici delle tastiere della title track (a suo modo fortemente attratti dall'orbita difforme di un Kelman Duran), si scollima in una malinconica riflessione midtempo a cui il titolo “¿ntelligent Dembow Music” rende perfettamente giustizia. Scansioni al rallentatore, melodismo frastagliato e in costante evoluzione, costruzione glaciale del sottofondo d'ambiente, ogni tratto compie la sua parte, e il brano non tarda affatto a sedurre col suo fascino. Chiudono l'ascolto un irriverente remix della title track a cura di Ikonika, che sa come insistere sugli accenti cantabili affollando ulteriormente il mix di interessanti interventi housey, e la zompettante flessuosità di quello concepito per “Metal Parce” da BADSISTA, meno lucente dell'originale ma indubbiamente altrettanto se non più nervoso. Il futuro del reggaeton sta cominciando a lasciar intravedere le sue temibili potenzialità.

Nikolay Sunak – Uje no bol'no (Noservice)

nsunbSarà pure votata a grande semplicità, la mano di Nikolay Sunak, ma ciò non fa rima con banalità, né tantomeno con noia: dotata di lucenti contributi melodici, ma con una notevole conoscenza della funzionalità ritmica del breakbeat, la house del musicista russo riverbera nella sua piacevole serenità, si appoggia al suo lussuoso minimalismo e non eccede né nei minutaggi, né nell'asciutezza, lasciando emergere l'ottima compattezza del risultato finale. In sole tre tracce il producer ci invita quindi nel suo mondo di piccoli incanti, tanto sciolti da lasciarsi ammaliare da una sottile linea di basso (“Obernis'”), prima che il cantiere di base riscopra una spiccata passione per nervosismi più acidi. Quando “Betelgeuse Forever” sprizza maggiore tensione, un geometrismo electro molto vicino a certi rivernissage boogie degli ultimi tempi, ci vuole poco perché fumosi pad di sostegno rendano l'atmosfera ben più stravagante e lunare. È alla title track che spetta il compito di colorare i pattern sintetici di voluttuose pennellate soulful, per quanto celate dietro allo spigliato loop ritmico di base. In fondo, non è necessario alzare troppo il tono per lasciarsi scoprire: basta azzeccare la combinazione giusta e ogni dubbio si chiarisce da solo.

Piska Power – Thermal Cycler (Voam)

pptcÈ un nervosismo pieno di elettricità, una scarica di adrenalina che si prende tutto lo spazio disponibile, questo”Thermal Cycler”. Non che il titolo promettesse assolati paesaggi in riva al mare, di certo però l'energia che Piska Power infonde nei suoi brani non fa prigionieri, al punto da diventare totalizzante, un concentrato pronto a detonare. Dagli evidenti richiami industrial, ma mai realmente prossimo all'estetica di Acteurs o del Sandwell District, la techno del produttore tedesco si muove tra minaccia e rilascio, tra materia grezza e umanità collaterale (i vocalizzi che perforano “Taxon” e soprattutto l'ironia alla Kraftwerk di “Vokoka”), riducendo al minimo i contenuti ritmici e i frangenti contemplativi a favore di una purissima frenesia a 240 volt, che ronza, turbina, crea mulinelli a cui sfuggire è semplicemente impossibile. Techno come la potevano immaginare certi pionieri electro, ma con una pericolosità aggiuntiva, un gusto per corto circuiti pronti a far piazza pulita di chiunque si avvicini troppo. Il dancefloor? C'è sempre, non manca di essere rispettato, ma non è di certo musica per distendersi questa: anche con un tono apparentemente più dimesso “Pica Pica” sa come far fronte all'urgenza divorando linee di basso con una violenza di cui Jasmine Infiniti sarebbe fiera. Uscito per la Voax di Blawan e Pariah, etichetta già specializzata in techno ad alto potenziale esplosivo, questo Ep è pronto a darvi uno shock.

Tondiue – Painted Creature (Secondnature)

tpcNon vi è niente di banale, nei cinque brani che compongono “Painted Creature”: non nella progressione, non nelle scelte produttive, non nel tono adottato, che si diffrange in una molteplicità di contesti e umori. Da Seattle, Cameron Kelley aka Tondiue è mente acuta, anima sensibile al dettaglio, al lavoro di fino, che si riflette in una techno delicata, minuziosa, capace di sorprendere ad ogni battuta. Beat felpati eppure insistenti, evoluzioni imprendibili (l'introduzione del passo breakbeat nella serafica apertura ambient-dub di “Frog & Dog”), diffrazioni atmosferiche che pescano il meglio dagli anni Novanta ma con un piglio del tutto contemporaneo (i Banco Da Gaia fortemente digitalizzati e lucenti di “Tondiue”): c'è spazio per una pletora di dettagli nelle animate costruzioni del producer, che sanno come adattarsi e rivestire scenari diversi pur con la medesima delicatezza di fondo. Anche la title track, dalla marcata percussività quartomondista, sa come dialogare in aperta continuità con quanto la precede e la segue, evolvendo in un brulicante tripudio dub che riesce a tracciare un collegamento tra le profondità techno di Donato Dozzy e certa house più psichedelica e collaterale. E se la pista avrà il suo bel daffare con i serrati battiti trance di “Magic Animal” (comunque mai meno che elegante anche nell'uso di simili scansioni), “Sunshower” chiude in bellezza, con un frastagliato motivo breakbeat che da canto suo si ricollega con i suadenti paesaggi d'apertura. Perfettamente strutturato in ogni suo livello, un Ep simile lascia pregustare faville in vista di un ben più espanso (e di certo qui caldeggiato) full-length.

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