Introduzione
Occulto, dal latino occultus, nascosto, segreto, per definizione “che si trova o è mantenuto al di là delle comuni possibilità di intuizione, considerazione e comprensione, inconoscibile alla mente dell'uomo”. Pertanto la scienza di ciò che è nascosto. Un termine molto spesso mal interpretato, che rimanda, ai più, un sinonimo di magico, alla credenza per la quale i suoi cultori siano dediti alla magia nera e che siedano, magari accompagnati da un gatto nero, a comporre pozioni malefiche invocando Satana.
In realtà, l'occultista ha un concetto molto più vasto della natura umana, prendendo atto delle forze superiori che non pervengono all'uomo materialista che, al contrario, basa la sua esistenza sulla materia, sulle cose e sulla quantità di beni che ha.
Nel mondo della musica si ha una storia piuttosto estesa che risale ai tempi dell'antica Grecia, quando l'uso dell’occultismo era funzionale a indurre in certi stati mentali, ad esempio, ci sono delle prove che gli antichi Egizi lo usassero come strumento di guarigione, anche se purtroppo non si è conservata alcuna nozione musicale. Rituali che venivano anche raffigurati sulle pareti di tombe e nei papiri.
Certe abitudini erano praticate anche in Africa, India, Sud America e all'interno della maggior parte delle culture native (culture sciamaniche che partivano dalla Russia alle Americhe al Pacifico) avevano una sorta di tradizione peculiare di canto sacro. I legami vanno dagli aborigeni australiani al Gandharva Veda dell'India orientale e dalle musiche del Karnatak al canto hawaiano, fino alla tradizione musicale occulta forse più macabra di tutte, la cultura Yoruban in Africa che ha trovato la sua espressione come Voudon (Voodoo) a Haiti, tramite il famigerato personaggio del Baron Samedi, in grado di fare resuscitare i morti come “zombi” (c'è un bel film di Wes Craven, intitolato “Il serpente e l'arcobaleno”, che tratta e spiega questo tema in maniera molto intelligente) e la Santeria in tutto il resto del Sud America.
Questa tradizione ha, poi, trovato la sua strada nella cultura contemporanea attraverso il jazz, il tango, la musica cubana e, naturalmente, il blues e il rock’n’roll.
Tra i compositori più contemporanei influenzati in qualche modo dall'occulto, si può citare Stockhausen, che ha scritto opere su mantra, la creazione e l'arcangelo Michael. Penderecki ha composto opere religiose e mistiche, John Cage è stato direttamente ispirato da Zen e dal pensiero indiano sulla musica, mentre i tre minimalisti Terry Riley, Steve Reich e Philip Glass sono ben noti per il loro interesse per la musica indiana, tradizioni africane e ebraiche, e il buddismo tibetano, rispettivamente. Un caso particolare è, invece, quello di Mike Oldfield con "Tubular Bells": questo pezzo inizialmente non era stato considerato come un "occulto" ma lo è diventato per associazione in virtù della sua inclusione nella colonna sonora del film “L'esorcista” di William Friedkin, che lo ha reso celebre in tutto il mondo.
Continuando poi con Richard Wagner e la sua tradizione mistica, come il Parsifal, tra divino e umano. Anche Glenn Branca parla di angeli e diavoli nelle sue Sinfonie e con il disco “The Ascension” ci dona un suono apocalittico in un vortice orrorifico.
Bisogna citare assolutamente anche Alexander Nikolayevich Scriabin, compositore e pianista russo, conosciuto per le sue inusuali armonie e per essere il padre della musica futuristica, tramite la creazione di una macchina optoelettronica capace di convertire in suono qualsiasi simbolo riprodotto su una lastra di vetro (il sintetizzatore Ans sovietico). Era un grande appassionato di teosofia, musica e occulto, riuscì a formulare la sua visione esoterica usando luci e tonalità soniche, tramite un'altra sua invenzione: la “tastiera per luce” con speaker multicolorati in modo da assegnare un valore tonale al colore per ottenere una sincronismo tra di essi e l'armonia delle composizioni. La sua opera “Mysterium” sembra quasi un rituale apocalittico che potrebbe accadere in Himalaya.
Nell'ambito più prettamente rock, si contano migliaia di esempi di artisti dediti alle musiche e tematiche più oscure, basti pensare agli albori del cosiddetto “occult rock” con i fondamentali Black Widow, Coven e Black Sabbath in Inghilterra o in Italia con il progetto Jacula di Antonio Bartoccetti.
In questo articolo però ci soffermeremo su alcuni dischi sì occulti, ma non prettamente riconducibili al rock o a forme “lineari” di musica, bensì a progetti più avanguardistici, elettronici e sperimentali. Non vuole essere una guida, ovviamente, definitiva o completa: solo una selezione di alcune proposte ritenute particolarmente interessanti e meritevoli di riscoperta.
Mort Garson – “Black Mass Lucifer” (1971)
Si tratta dell’unico album del compositore Mort Garson a nome Lucifer, che anche qui usa Moog, sintetizzatori e tastiere ma in un mood decisamente più malvagio, rendendo l'atmosfera molto oscura. L'artwork del full length potrebbe far pensare ai Black Sabbath o ai Pentagram, con il suo pentagramma luciferino ma in realtà il soundscape del disco ci immerge in un vortice psichedelico sinistro, non prettamente satanico come il moniker vorrebbe farci intendere ma più “creepy”, con influenze, in qualche momento, da “Twilight Zone” (la serie “Ai confini della realtà”). Si inizia con “Ring Of Solomon”, pezzo quasi space con influenze orientali, che poi si tramuta in un qualcosa di più macabro. Altri pezzi del disco da segnalare sono la title track “Black Mass”, insieme inquietante di suoni drone, e “The Ride Of Aida (Voodoo)”, che evoca gli spettri di New Orleans con i suoi cori e l'atmosfera afro.
Possiamo tranquillamente affermare che “Black Mass Lucifer”, oltre a essere un capolavoro, sia stato fonte di ispirazione per artisti come Coil e Nurse With Wound.
Current 93 – “Nature Unveiled” (1984)
Una pietra miliare della musica esoterica post-industriale, che ha codificato un genere poi seguito da molti altri artisti. A firmarla è la creatura di David Michael Bunting alias David Tibet dal 1982 direttamente dagli Psychic Tv (il nome viene preso dal termine 93 Current di Alesteir Crowley, il 93 rappresenta la corrente di Thelema) che rimarrà poi l'unico membro stabile (vi militarono anche John Balance e Fritz Catlin) anche se Steven Stapleton (Nurse With Wound) è presente in ogni uscita discografica. I temi trattati nei testi riflettono i principali interessi dell'autore: la morte e il misticismo, il buddismo tibetano e lo gnosticismo; il credo, almeno agli inizi, sembra quello dei più nichilisti: non vi può essere alcuna gioia quando il mondo sta bruciando. Sarebbe riduttivo ingabbiarli nel genere industriale, soprattutto dopo i primi anni di pubblicazioni, infatti nei Current 93 Tibet porta avanti il discorso di rumore estremo inascoltabile creato con i Psychic Tv ma su un'altro livello, quello occulto esoterico, per l'appunto.
L'esordio discografico del 1984 è composto da due lunghi pezzi per un totale di quasi 40 minuti di musica tra loop magmatici ossessivi e nenie diaboliche, percussioni laceranti, canti gregoriani in manipolazioni elettroniche apocalittiche (orchestrate diabolicamente da Stapleton e con contributi vocali di Annie Anxiety) che risucchiano l'ascoltatore in un vortice, trasportandolo nel mondo apocalittico di Tibet.
L'inizio con “Ache Golgotha (Maldoror Is Dead)” tra ispirazione da “Le chants de Maldoror” di Lautréamont, poema epico francese con al centro Maldoror, personaggio misantropo che rinuncia alla moralità convenzionale, rappresentazione dell'uomo tormentato che si ribella al suo creatore, Dio, e lo uccide senza però trovare comunque pace, nel segno del nichilismo più scuro. Il mantra ossessivo nel pezzo che ripete l'Om di Crowley è come un requiem allucinato, abrasivo, da ascoltare in cuffia in una notte di pioggia. La seconda traccia, intitolata “The Mystical Body Of Christ In Chorazaim (The Great In The Small)”, attraverso un canto monastico ci trascina verso la chiusura in uno shriek digitale.
La colonna sonora ideale per la fine del mondo.
Hexentanz – “Nekrocrafte” (2004)
Progetto che unisce membri di Soil Bleed Blacks e Psychonaut 75. A dispetto del moniker (che è traducibile con “la danza delle streghe”) e del titolo del disco, non suonano black metal o doom, ma qualcosa di totalmente differente, che ci offre un totale nuovo significato e modo di sperimentare le arti oscure attraverso la musica. Anzi, il verbo “suonare” qui sarebbe anche da prendere in senso lato, poiché si tratta di una vera e propria colonna sonora cerimoniale e rituale, realizzata attraverso percussioni ipnotiche primitive, campane, bastoni e il kangling, uno strumento musicale a fiato ricavato da un osso e decorato con metallo sbalzato, che viene usato in Tibet durante i rituali tantrici per allontanare gli spiriti maligni e nel buddismo viene paragonato alla recitazione dei mantra.
L'album si potrebbe tranquillamente usare come sottofondo per film come “Haxan” (1922), un tributo occulto decisamente unico e una delle esplorazioni musicali sulla magia nera più agghiaccianti mai registrate.
Gino Pavan/Giorgio Salomon – “Tekeli” (2022)
Tekeli è un grido. Un progetto molto particolare dedicato, ovviamente, a H. P. Lovecraft e in particolare all'opera “Le montagne della follia”. L'incontro tra il polistrumentista Gino Pavan, che porta il suo background di esperienze musicali sperimentali, e Giorgio Salomon, esploratore di suoni e visioni, collezionista e autore di due libri molto interessanti (uno “Acrobati liquidi” che prende in esame musicisti da tutto il mondo occupandosi di dischi inclassificabili di personaggi mai usciti alla ribalta e l'altro,più recente, “Il canto del vetro”, raccolta di narrazioni e incontri da tutto il mondo), ci porta in un mondo parallelo da incubo che, a partire dalla copertina generata con l'AI e che riproduce 4 volti di esseri lovecraftiani, ci fa viaggiare direttamente su lidi ultraterreni.
Salomon sperimentava già attraverso il Revox, strumento che permetteva di realizzare dei cut-up, aggiungendo echi e velocità diverse. Utilizzando vecchie registrazioni attraverso Pavan, ne sono uscite le tracce che compongono questo oggetto misterioso e unico, composto da 7 pezzi sospesi tra il sogno e realtà. Un'esperienza decisamente profonda e suggestiva.
Da segnalare le tre diverse edizioni messe in commercio, vinile, cd art edition, una vera e propria opera d'arte da collezione e vinile colore bianco autografato in 25 copie.
Shub Nigurrat – “Les morts vont vite” (1986)
Siamo sempre dalle parti di Lovecraft, come si intuisce facilmente dal nome scelto da questo combo francese, che riporta alla mente la creatura divina omonima che incarna l'impulso incontrollabile alla riproduzione, vera e propria dea della fertilità che appare come un caprone.
Formatasi nel 1983 e composta da sei musicisti straordinari e versatili, la band fornisce un oscuro prog/zeuhl. L'album di debutto, “Les morts vont vite”, è un capolavoro tenebroso il cui titolo riprende un verso della “Ballade de Lenore” di Burger, la cui macabra storia narra di una fanciulla alle prese con uno spettrale cavaliere in un cimitero nella tradizione gotica classica.
Il sound, come si può intuire dalle premesse, è davvero pesante, sepolcrale, ossessivo, non lascia scampo all'ascoltatore: non vi è alcuna speranza. Gli strumenti si sfidano a vicenda, le vocals ululanti di Ann Stewart sono quasi indecifrabili, il trombone con le sue lunghe note si ripercuote nei tempi lenti dei pezzi.
Un viaggio negli abissi, non per tutti.
Third Ear Band – “Alchemy” (1969)
Ensemble decisamente unico, la Third Ear Band creò un suono che possiamo definire “senza tempo”, usando texture di viole, cello e oboe che riunendosi formano un amalgama espressivo che pare, quasi, provenire non da esseri umani ma da alieni. Un suono realizzato unendo tradizioni musicali che vanno dall'Europa occulta medioevale all'India dei raga al folk celtico, superando tutte le barriere possibili ed esplorando sonorità completamente inusuali in modo non scontato o banale.
L'album di debutto in esame abbandona, quindi, qualsiasi forma di rock classico e ci offre un viaggio mistico che ci sfida continuamente e che richiede la più assoluta attenzione. C'è un senso di libertà di forma e improvvisazione in tutto il disco, tramite l'intreccio degli strumenti usati: oboe, tabla, violino, viola, tamburi a mano e persino il dj John Peel che suona l'armonica ebraica in un pezzo. Sembra quasi di essere presenti a un antico rituale pagano. Da ascoltare dall'inizio alla fine senza interruzioni, lasciandosi trasportare in questa atmosfera ancestrale.
Il leader Glenn Sweeney disse: “I nostri ritmi vengono da tutto il pianeta, noi li usiamo per creare la musica di un mondo nuovo”.
A noi non resta che recepire il messaggio, magari tramite il terzo orecchio.
Runaway Totem – “Creators” (2023)
Riva del Garda, luogo magico localizzato nell'estremità nord del lago, dove si incontrano leggende che narrano di streghe, le “nereidi”, di mostri che hanno trovato rifugio nei vari laghi e rovine pagane. Qui troviamo anche un'anima musicale molto particolare, che ha generato almeno tre grandi gruppi, quali Men of Lake, Universal Totem Orchestra e i suddetti Runaway Totem di Roberto Gottardi. Questi ultimi sono stati tra i primi gruppi a essere prodotti e distribuiti negli anni 90 dalla Black Widow Records di Genova (etichetta storica e molto importante nel panorama musicale non solo italiano) e a presentare un sound innovativo, influenzato sì dallo zeuhl (Magma in primis) ma anche da molti altri suoni cosmici, presentati in una forma molto originale. L'album qui preso in esame è il recente “Creators”, summa occulta di tutto il pensiero del leader Gottardi: diviso in due parti (“Creators” e “Red Star”) ci immerge in un suono etereo, sospeso, alieno, come un lago magmatico di materia non terrestre, che spazia dalla kosmische musik più sperimentale al jazz, fino a tribalismi ipnotici. Il concept tratta di memorie perdute, manipolazioni aliene, per concludersi con l'essere umano “nuovo”, connesso ancora alla sua essenza originaria.
Roberto Gottardi è coadiuvato dalla Intergalactic Totem Orchestra (in onore di Sun Ra), vale a dire personalità come il compianto Nik Turner (Hawkwind), David Jackson (Van der Graaf Generator) e Martin Grice tra gli altri. Tutti al servizio della musica, quella con la M maiuscola che viene dal cuore e, perché no, da altri pianeti.
Roland Frangipane & Don Cherry – “The Holy Mountain” (Jodorowsky soundtrack) (1973)
Alejandro Jodorowsky, artista dai mille volti, dotato di una mente scatenata, eccessiva, al servizio di progetti e media differenti, come la letteratura, il cinema, il teatro, attraverso un percorso di vita dedito allo sciamanesimo, alle culture metafisiche, all'alchimia, ai tarocchi: nel mondo cinematografico ha attraversato i generi western, fantascienza e fantasy in un modo esibizionista e trasgressivo. Prendiamo qui in esame la colonna sonora del film capolavoro “La montagna sacra” del 1973, che stregò generazioni di spettatori con i suoi messaggi di controcultura, con l'assurdo sbattuto in faccia, ricco di simbolismo occulto.
Quello che il regista cileno voleva realizzare con questa soundtrack era un qualcosa che non fosse solo intrattenimento, bensì un sound che arrivasse dall'anima, dal profondo. Scelti i musicisti, il trombettista free jazz Don Cherry (già collaboratore di John Coltrane e Sun Ra) e il multistrumentista e arrangiatore Ronald Frangipane (tastierista per film come “Un uomo da marciapiede”), le sensibilità si unirono in un magma fatto di spiritual jazz, tribalismo primordiale, effetti sonori e rock psichedelico, amalgamati in un background simil-ambient. Jodorowsky stesso collaborò alle musiche producendo rumori: ad esempio, nella scena in cui i ladri attaccano i maestri, il regista iniziò a colpire il pianoforte con un vaso da notte! Don Cherry creò la musica mentre visionava la pellicola. In tutto abbiamo 24 tracce, tutte piuttosto allucinate.
Una piccola curiosità: George Harrison voleva una parte nel film (uno dei ladri) ma c'era una scena che non voleva fare (uno di loro mostra il fondoschiena a un ippopotamo), Jodorowsky gli disse che però sarebbe stato una grande cosa, una grande lezione per l'umanità se lui avesse potuto togliere l'ego di mezzo e mostrare il sedere. Ma non se ne fece nulla.
Cabaret Voltaire – “Drinking Gasoline” (1985)
Le leggende industriali Cabaret Voltaire hanno indubbiamente fuso la musica elettronica dance con influenze piuttosto oscure, che toccano temi come messaggi subliminali, manipolazioni varie, dadaismo, Charles Manson e persino lo scrittore William Burroughs, cercando di descrivere la grezza realtà di Sheffield, loro luogo natio. La loro fusione di funk, psichedelia, punk, world music e synth li ha portati a coniare un suono originale e difficilmente catalogabile all'epoca. Con questo Ep, i Cabaret Voltaire sono ai massimi livelli: nelle quattro tracce, ci si può fare un'idea del loro pensiero e del loro modo di comporre attraverso cut-up caotici e sonici. Assolutamente imprescindibile, assieme all'ascolto, la visione dei videoclip precedentemente pubblicati solo su cassette Vhs (e ora disponibili in edizione cd/Dvd).
John Zorn Chaos Magick – “Nothing Is True Everything Is Permitted” (2021)
La parola “magick” che finisce con la lettera K ci può far già intuire dove vuole andare a parare John Zorn con questo progetto musicale. Siamo infatti nelle zone di pratiche magiche basate sulle idee di Austin Osman Spare (artista molto considerato dagli intellettuali d'avanguardia, avverso al moralismo, si distinse per uno stile di magia molto personale) che hanno poi influenzato anche Aleister Crowley, tra gli altri. Qui il musicista raggruppa Brian Marsella al piano elettrico, John Medeski all'organo, Kenny Grohowski alla batteria e congas e Matt Hollenberg alla chitarra elettrica per un album semi-improvvisato che mescola funk, classica, metal e altri suoni in una narrativa drammatica e profonda, fatta di composizioni astratte. L'influenza di Spare, sia con i suoi dipinti in bianco e nero che con i suoi scritti, si amalgama ai suoni eseguiti dal gruppo, anche se rimane difficile capire esattamente cosa in particolare abbia influenzato John Zorn (che – ricordiamo - è sempre stato un appassionato di occultismo). Tra l'altro lui stesso praticamente non suona in questo full length: la sua figura è più quella di produttore/organizzatore/scrittore.