Autore: Massimo Padalino
Titolo: L'estetica del rumore in 100 dischi - Dal più fragoroso al quasi impercettibile
Editore: Arcana
Pagine: 244
Prezzo: 17,50 euro
Il volume di Massimo Padalino si accoda alla ben nota tendenza di certe pubblicazioni di trattatistica musicale for dummies - rock, principalmente, ma non solo - di esplicare in stile prontuario un dato tema, un dato genere, un dato contesto e così via, riproponendo ancora una volta lo schema della lista, più o meno elefantiaca, più o meno monumentale, di titoli trattati con scarso approfondimento, in compenso elevati nella presentazione (competente) e conditi con parecchio entusiasmo (spesso acritico).
Nel caso del testo in oggetto l’idea ha comunque ambizioni para-accademiche in effetti non frequentemente lette in precedenza: radunare opere significative nel nome dell’uso del rumore novecentesco, dei suoni cosiddetti “ad altezza indefinita”. Ancor più originale è il criterio con cui gli album sono listati, “dal più fragoroso al quasi impercettibile” in accordo al sottotitolo, quel gradiente che li fa scorrere dal maggior al minor tasso di frastuono, come se nell’insieme componessero un boato metafisico disperso nell’infinito.
Prima criticità sta nella scarsa consistenza tra cotanto assunto e sviluppo del testo. Si parte naturalmente con “Metal Machine Music” (1975) di Lou Reed, scelta un tantino telefonata ma di certo esplicativa. Procedendo, però, ci si rende conto che la carrellata dei dischi non è altro che questo, una carrellata di dischi, certamente rumorosi, certamente alternativi, taluni certamente oscuri, ma dove l’assunto del libro tende a sfilacciarsi, se non sperdersi. Per di più, pur protette dalla soggettività, destano perplessità talune citazioni (Cohen? Drake? Barrett?) così come talune omissioni (nessun Young, specie “Arc”? Nessun Cave?) d’ambito cantautoriale, e alcune scelte di sfumatura (i Devo più rumorosi di Galas? Satie più rumoroso di Budd e Eno?) che appunto avrebbero potuto giustificarsi o quantomeno chiarirsi se meglio agganciate all’assunto.
A compensare viene la valente prefazione di Francesco Nunziata, di certo forte del merito di giocare da liaison tra semiosi del titolo e corpo del testo attraverso un excursus storico-estetico sull’emersione del rumore nella storia della musica (solo una tiratina d’orecchi per la mancata citazione del sistema para-temperato di Bach), ma anche questa alla resa dei conti risulta scollegata, come fosse un piccolo saggio a sé stante.
Pur alla lunga un tantino stucchevole la scrittura di Padalino - così emotivo-confidenziale (pure “instagrammabile”) - sicuramente riesce nell’intento di invogliare alla lettura, e ben si presta a certe svisate biografiche e storiche che l’autore sfrutta bene per introdurre i dischi. Il problema è che spesso occupano gran parte della trattazione anziché addentrarsi nel contenuto e nello specifico dell’album preso in esame, lasciando al lettore (forse giustamente) il compito di scoprirlo.
Altra lacuna piuttosto vistosa (e annosa) riguarda il cosmo non-rock, le inclusioni di opere di musica colta, peraltro nel classico stile non sistematico a macchia di leopardo: perché non specificare gli esecutori di data opera e, ancor di più, perché non esplicare la scelta di una esecuzione piuttosto di un’altra, sempre in riferimento all’assunto del titolo? Un ultimo appunto va alla discografia consigliata in chiusa, lunghissima e persino stroppiante, compilata senza alcun criterio apparente, nemmeno alfabetico, dunque al limite del disutile.
Testo consigliabile sì e no. Ha il suo fascino: permette di scoprire e riscoprire tanti buonissimi titoli (onore al merito per aver annoverato Partch e Gurdjieff, ma male per aver saltato Mumma) e diversi capolavori classici. Purtroppo, divagando o comunque non rispettando appieno l’assunto del titolo, risulta di difficile collocazione: è indicato per un quasi-neofita o un non-esperto? Infine, di nuovo, risulta particolarmente sottovalutata la discrepanza tra quanto il libro promette e quanto mantiene, tra ambizione altisonante e un non meritato formato-lista. Forse il progetto, per dirsi davvero compiuto, avrebbe richiesto un approccio meno granulare e maggiormente organico.