Neil Young, il leggendario Loner canadese, è il protagonista della nuova puntata di Rock in Onda, il programma condotto da Claudio Fabretti tutti i martedì dalle 23 alle 01 sulle web-frequenze di Radio Città Aperta (www.radiocittaperta.it).
Ha marchiato a fuoco la storia del rock con le sue ballate dolenti e le sue cavalcate elettriche. E per alcune sue intuizioni è stato adottato come "padrino" dal punk prima e dal grunge poi. La storia, la musica, le nevrosi e i tormenti di Neil Young, il canadese solitario.
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Neil Young - parte 1
Neil Young - parte 2
"Rock'n'roll can never die": il rock'n'roll non può morire. Lo cantava nel 1979, Neil Young, e continua a gridarlo oggi. Una banalità? Forse, ma non in bocca a lui. Nessuno come questo allampanato canadese, infatti, ha incarnato il rock in tutte le sue anime; lo ha vissuto dentro: nei nervi, nella pancia, nel cuore. Al punto che oggi ne porta addosso i segni: il viso solcato dalle rughe, la schiena ingobbita, l'aspetto terribilmente imbolsito. Tutto, in lui, mostra le tracce di una lunga battaglia: quella contro l'alcol e le droghe, contro i fantasmi degli amici scomparsi, contro le nevrosi e i dolori d'una vita.
Fin qui, si direbbe, il ritratto di una delle gloriose cariatidi che affollano l'arena del rock. Ma non è così. Young, infatti, ha da sempre in sé il germe della modernità. Non esiste altro musicista che sia riuscito ad attraversare quattro decenni di rock restando sempre un faro per i contemporanei. Uno dei suoi capolavori, "Tonight's The Night" (1975), è stato giudicato un album punk ante-litteram; "Out of the blue/ Into the black" (1979) era dedicata a Johnny Rotten dei Sex Pistols; e "Sleeps With Angels" (1994) era un omaggio a Kurt Cobain, mito bruciato del grunge, che nel suo messaggio di addio scrisse proprio la frase di una canzone di Young ("My My, Hey Hey"): "Meglio bruciarsi che svanire". Ma la febbre younghiana ha contagiato anche altri numi del rock degli anni 90, dai Sonic Youth a Nick Cave, dai Dinosaur Jr. ai Pearl Jam.
Forse, la grandezza di Young sta nella sua schizofrenia, il quel suo costante dibattersi tra smania di rinnovamento e nostalgia del passato, tra esplosioni di rabbia e pause di purificazione. Dal country degli esordi al garage-punk di "Rust Never Sleeps", dal rock'n'roll al synth-pop, dal soul al blues, dall'hard-rock al metallo pesante di "Re.ac.tor", non c'è genere musicale che questo atipico rocker non abbia esplorato.Ma forse la sua grandezza sta anche nell'aver saputo rappresentare le nevrosi e le contraddizioni di un'epoca intera, sospesa tra l'utopia hippie e la restaurazione post-'68. Profeta del sogno di "cambiare il mondo", ma anche cantore degli abissi della disperazione individuale, Young ha costruito un canzoniere universale, che unisce al fervore allucinato dei rocker il messaggio "morale" dei folksinger più nobili, da Woody Guthrie a Bob Dylan.
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