L'età dell'oro del folk-rock in due pietre miliari, "Buffalo Springfield Again" dell'omonima band del duo Stills-Young e "Déjà Vu" del quartetto Crosby Stills Nash & Young, al centro della nuova puntata di Rock in Onda, il programma condotto da Claudio Fabretti tutti i mercoledì dalle 12 alle 14 sulle web-frequenze di Radio Città Aperta (www.radiocittaperta.it).
Due capolavori accomunati dai suoni e dai protagonisti, oltre che dalle turbolente session, frutto anche del burrascoso rapporto tra le anime creative di questi immortali "supergruppi" del folk-rock, in cui si misero in luce il "Capitano Moltemani" Stephen Stills, dall'intrepida verve chitarristica, il fervore elettrico del "Loner" Neil Young, lo sciamano hippy David Crosby, pervaso dal sacro fuoco della psichedelia e lo spirito melodico Graham Nash, forgiato dal Merseybeat.
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Buffalo Springfield - Buffalo Springfield Again - Crosby Stills Nash & Young - Déjà Vu
Prodotto nel corso del 1967 da Furay, Stills e Young insieme a noti produttori dell’epoca (non mancheremo di citarli di comparsa in comparsa), “Buffalo Springfield Again” è una vera e propria pietra angolare del folk-rock americano, che per maturità e personalità segna uno stacco netto con buona parte del rock disimpegnato ed edonista dell’epoca. Le personalità distinte e, come abbiamo anticipato, talvolta conflittuali dei membri di Buffalo Springfield ne fanno un lavoro scostante, ma non per questo incoerente o frammentario. Un mosaico armonico di brani proni a inerpicarsi nelle angolazioni più disparate: le radici country e blues, il pop orchestrale, il rock più duro, le inevitabili incursioni nella dimensione psichedelica. Il disco uscì difatti in piena golden age della psichedelia californiana e, pur spingendo il rock verso la tradizione piuttosto che verso questo tipo di sperimentazioni, non poté che esserne decisamente influenzato.
L’operazione di fusione a freddo tra il rock e la tradizione della musica americana di “Buffalo Springfield Again” tiene sempre ben salda in mente la missione politica dei suoi membri, mutuandone l’atteggiamento da attivisti in prima linea. Le liriche del disco non vivono però soltanto di politica, attingendo sovente dalle esperienze personali e dall’interiorità dei loro autori, molto liberi e scoordinati anche dal punto di vista testuale.
Pur fermandosi alla posizione n.44 della classifica di Billboard, il disco avviò un processo di conquista del mercato discografico americano da parte del rock legato alla tradizione country e folk, che avrebbe visto il suo apice soltanto qualche anno dopo, proprio con i lavori di Crosby Stills & Nash e Crosby Stills Nash & Young. Sebbene non accreditato, David Crosby fa peraltro la sua comparsa, fortemente voluta dall’amico Stills, nel brano di quest’ultimo “Rock And Roll Woman”, del quale ha cantato i cori e co-firmato il testo.
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La straordinarietà di "Déjà Vu" va ben oltre la cosiddetta, già insormontabile somma degli addendi. Sicuramente disporre del talento di quattro tra i massimi geni di un'epoca, capaci di spaziare plasticamente dal folk e dal country alla psichedelia e al blues, intingendo il tutto in quel gusto tutto britannico per la melodia di Nash, ha giocato il suo ruolo, ma l'irripetibilità del capolavoro va ricercata anche nelle contingenze storiche e personali sottese alla sua realizzazione. Inoltre, quattro frontman, cantanti e cantautori non avrebbero potuto gestire un disco così senza l'apporto di "turnisti" d'eccezione. Gli straordinari apporti al basso e alla batteria sono rispettivamente di Greg Reeves e Dallas Taylor, che difatti appaiono anche sulla copertina del disco, mentre i preziosi interventi alla slide guitar di Jerry Garcia e all'armonica di Joan Sebastian rendono "Teach Your Children" e la title track ancora più preziose. Impossibile non notare poi lo zampino della matrona dell'operazione Joni Mitchell che per il disco ha scritto "Woodstock".
Durante la realizzazione di "Déjà Vu" (luglio 1969 - gennaio 1970), gli anni Sessanta volgevano al loro termine e con Woodstock, che tenne del resto battesimo live al quartetto, si chiudeva una stagione di gioia e rivoluzione. Il fuoco delle rivolte giovanili sessantottine era tutt'altro che estinto, come non lo erano del resto la guerra in Vietnam e tutte le iniquità sociali ancora da ribaltare. L'euforia hippie, il sogno ad occhi aperti di quella generazione andavano però tramontando, facendo spazio a montanti disillusione e rabbia, a un nuovo modo di reagire e canalizzare la ribellione. È questo un passaggio che il disco intrappola e analizza con veemenza. (...)
In "Déjà Vu" rock, country, blues e folk si sfiorano, si incontrano, si scontrano, si mescolano e confondono un po' per poi ritornare ciascuno sui proprio binari. Nulla che non si fosse già sentito, proprio come in un déjà vu, ma forte di una nuova consapevolezza. Proprio come le personalità dei quattro frontmen che rimangono distinte, con la paternità dei singoli brani fortemente marcata e facilmente evidenziabile, ma pronta a fondersi all'unisono nelle avvincenti cavalcate elettriche e nelle armonizzazioni celestiali. Un dream team di soli fantasisti che eccelle nelle giocate solitarie quanto nelle intricate tessiture corali.
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