Pietre miliari ai raggi X

Talking Heads e Tuxedomoon: danze attorno all'avanguardia

Due pietre miliari dell'intera new wave, "More Songs About Buildings And Food" dei Talking Heads e "Desire" dei Tuxedomoon, al centro della nuova puntata di Rock in Onda, il programma condotto da Claudio Fabretti tutti i mercoledì dalle 12 alle 14 sulle web-frequenze di Radio Città Aperta (www.radiocittaperta.it).
Due opere seconde, due monumenti della wave più votata alla sperimentazione e all'avanguardia: il primo frutto del sodalizio tra Brian Eno e la band di David Byrne, con i suoi collage poliritmici sfrenati, e il disco con cui l'ensemble californiano guidato da Blaine L. Reininger riuscì in una portentosa fusione a freddo tra musica da camera e pop-rock elettronico, sfiorando a tratti persino la dance.

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Talking Heads - More Songs About Buildings And Food/ Tuxedomoon - Desire


I Talking Heads del 1978 erano ancora la più indecifrabile creatura uscita dall'incubatrice new wave del Cbgb. Alieni metropolitani dai visi puliti e ben vestiti, tremendamente cerebrali, con quell'approccio artistoide da impenitenti nerd e quel sound scheletrico, intessuto di chitarre affilate e bassi lunari. Così bianchi nel canto - acuto, sgraziato, nevrastenico - e così neri nel ritmo, apertamente occhieggiante al funk, all'afrobeat e - sacrilegio! - alla disco-music. Quasi degli anti-punk nell'era del punk. Eppure era proprio sotto quella voce - magari sposata al più rassicurante suffisso "art" - che il loro esordio "Talking Heads: 77" era stato catalogato. Ma a quel destabilizzante debutto su Lp mancava ancora qualcosa, che pure era insito nel codice genetico della band: la devozione totale al ritmo, la fusione ancor più sfrontata di primitivismo africano e futurismo occidentale, l'uso ancor più estremo dello studio di registrazione come fucina avveniristica di uno stile unico e rivoluzionario. Il tutto attraverso un linguaggio asciutto, sintetico. In due parole: new wave. Un approdo naturale per gli ex-coinquilini del loft al Lower East Side? Forse. Ma la storia ha voluto che per portarlo a compimento vi sia stato bisogno della quinta Testa Parlante, quella di Brian Eno. (...)
L'intuizione decisiva di Brian Eno in "More Songs About Buildings And Food" sta proprio nel riuscire a compattare quel magma sonoro anarchico, quell'ammasso di ritmi sincopati e sghembi, in un flusso musicale coerente, più articolato e quasi sempre ballabile, enfatizzando l'irresistibile tandem basso-batteria di Tina Weymouth e Chris Frantz, ma anche il ruolo - finora defilato - del tastierista Jerry Harrison, aggiungendo nuove policromie elettroniche alla tavolozza sonora del gruppo. Un collage, o meglio un puzzle, proprio come quello della splendida copertina, realizzata da Jimmy De Sana su idea di Byrne, che raffigura i componenti della band attraverso 529 fotografie Polaroid. Funkedelia è la parola d'ordine: un'alchimia postmoderna che mescola selvaggi cerimoniali pan-etnici e nevrastenie metropolitane in stranianti collage poliritmici.

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Dopo il formidabile esordio “Half-Mute”, gli ex-freak di San Francisco decidono di piantare le tende proprio nel Vecchio Continente, installando il loro quartier generale prima ad Amsterdam (Olanda), quindi a Bruxelles (Belgio) dove trascorreranno un periodo molto lungo e prolifico. Nel frattempo, a Londra, hanno registrato il loro secondo album, “Desire”. Un'altra rivoluzione.
È la grafica, anzitutto, a preannunciare il cambio di rotta. Al posto delle linee geometriche e astratte di “Half-Mute”, sulla copertina di “Desire” campeggia una immagine più calda, velatamente erotica, che pare celare un’imprecisata anatomia umana. Si smussano gli angoli, quindi, con suoni più morbidi e rotondi in luogo delle sgraziate spigolosità dell’esordio. E si riempiono gli spazi: laddove “Half Mute” innalzava monumenti al vuoto (addirittura “Fifth Column” era presente nella versione non cantata, sembrando così uno strumentale), “Desire” risulta più denso ed epico, grazie anche a una robusta sezione ritmica e a un uso più marcato dell’elettronica.
Ma la vera rivoluzione è nell’amplesso (proibito) tra l’algida avantgarde dei californiani e quel synth-pop che all’alba del decennio 80 stava invadendo le classifiche. Un’operazione talmente temeraria che forse solo loro potevano concepire e portare a termine con successo. Certo, c’erano già riusciti i Kraftwerk di “Trans Europe Express”, ma la loro alchimia, parimenti oltraggiosa, era più sbilanciata verso il pop. I Tuxedomoon, invece, riescono a far dialogare due linguaggi apparentemente agli antipodi utilizzando lo stesso approccio colto e incompromissorio degli esordi. Fino alla provocazione massima: la musica da camera che sbarca in discoteca.
Notturno, visionario, raggelante, “Desire” è il secondo capolavoro sfornato in poco più di un anno dall’ensemble di San Francisco. Diffidate di chi lo sminuisce. E non lasciatevi sfuggire la ristampa con accluso l'Ep "No Tears" (1978): niente lacrime per le creature della notte, oggi come allora.


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Rock in Onda



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Discografia

Scaletta del programma


Talking Heads - "More Songs About Buildings And Food"

  1. Thank You For Sending Me An Angel
  2. With Our Love
  3. The Good Thing
  4. Warning Sign
  5. The Girls Want To Be With The Girls
  6. Found A Job
  7. Artists Only
  8. I'm Not In Love
  9. Stay Hungry
  10. Take Me To The River
  11. The Big Country


Base strumentale: Take Me To The River (Instrumental)

Tuxedomoon - "Desire"

  1. East/ Jinx/ …/ Music #1
  2. Victims Of The Dance
  3. Incubus (Blue Suit)
  4. Desire
  5. Again
  6. In The Name Of Talent (Italian Western Two)


Base strumentale: Holiday For Plywood (Holiday For Strings)