Alla storia dei Rem è dedicata la nuova puntata di Rock in Onda, il programma condotto da Claudio Fabretti frequenze digitali di Radio Città Aperta.
Attraverso le pagine del libro "Perfect Circle - Testi commentati" (Arcana, 2012) e le canzoni di Michael Stipe e compagni, ripercorriamo la storia della band che ha saputo traghettare l'indie-rock sul grande palcoscenico del mainstream, senza mai snaturare la sua identità. Dagli esordi nei college-party di Athens, Georgia, ai primi successi degli anni 80, fino allo stardom mondiale dell'era Warner e allo scioglimento sancito nel 2011. Una saga appassionante, che ha tradotto in musica e versi tre decenni di storia americana, tra impegno politico, ballate sentimentali ed enigmatiche riflessioni autobiografiche.
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Non hanno mai avuto bisogno di effetti speciali per stupire, Michael Stipe e compagni. Neanche quando strimpellavano i loro jingle-jangle nella vecchia chiesa sconsacrata di Oconee Street, davanti a parenti e amici. Dalle scorribande a bordo di un furgoncino Dodge fino ai grandi tour nelle arene di mezzo mondo, si sono imposti solo con l'elegante semplicità delle loro canzoni. Arpeggi di Rickenbacker e cantilene fatate, linee di basso melodiche e un drumming incisivo ma mai invadente. In fondo, per molto tempo è bastata questa semplice alchimia a quel “gruppo di diciannovenni che voleva cambiare il mondo”, secondo la definizione romantica del chitarrista Peter Buck. Già, perché i sentimenti hanno un ruolo tutt’altro che secondario nella storia dei Rem, un formidabile circolo di affetti e di amicizie vere, ancor prima di un gruppo. Al di là delle tensioni e delle liti estemporanee, la loro forza è stata soprattutto nell’unità di intenti, nello spirito di squadra.
Nella parabola dei Georgiani, tuttavia, si può leggere anche molto altro. A cominciare dal traghettamento dell’indie-rock sul grande palcoscenico del mainstream. Un’operazione ad alto rischio, che Stipe e compagni hanno portato a termine senza snaturarsi, riuscendo a coniugare i contratti milionari con il rispetto dei fan della prim’ora. Fin dagli esordi di "Murmur", i quattro hanno avuto la consapevolezza di essere i portabandiera della nuova nazione rock, di quella nouvelle vague che avrebbe rinnovato alle fondamenta la scena americana degli 80-90’s. Una pattuglia di band alternative e indipendenti, che agiva controcorrente rispetto alle mode patinate del periodo, a distanza di sicurezza dai riflettori del music business e dai teleschermi di Mtv. Ma, a differenza dei compagni di strada, i Rem possedevano già tutte le armi per forzare gli angusti argini dell'underground e far breccia sul grande pubblico.
Una progressione irrefrenabile. Proprio come quel Rapid Eye Movement foriero di sogni che ha regalato l’acronimo perfetto. Dall’era gloriosa delle college radio, che amplificarono il mito sotterraneo, al “diploma di laurea” di "Document", che li avrebbe traghettati nel porto multimilionario delle major già dal successivo "Green", fino all’epoca dei bestseller ("Out Of Time" e "Automatic For The People") e di una maturità sorprendentemente vitale, culminata nell’epico e coraggiosissimo "New Adventures In Hi-Fi". Una corsa che sembrava essere giunta al capolinea con l’addio del batterista Bill Berry e che invece è proseguita anche “a tre zampe”, tra alti e bassi, fino alla tappa conclusiva di "Collapse Into Now".
Ma attraverso il lungo viaggio di Stipe e compagni si possono ripercorrere anche tre cruciali decadi di storia americana. Nelle loro canzoni si è specchiata dapprima la gioventù inquieta del post-punk, alle prese con il rampantismo yuppie dell'epopea reaganiana e con gli ultimi spettri della Guerra Fredda, quindi la “generazione X” degli anni Novanta, sospesa tra il miraggio di benessere dell’era Clinton e la deriva militare-affaristica delle amministrazioni Bush, la comunità indignata dei “no global” e, infine, la nazione ferita e sgomenta del post-11 Settembre.
Culturalmente distanti tanto dallo spirito protestatario e ideologico dei 70’s, quanto dal nichilismo distruttivo del punk e dal furore iconoclasta riemerso poi nel grunge, i Rem hanno declinato l’impegno civile con uno spirito fortemente propositivo, alimentando la speranza di un’altra America. Le battaglie ecologiste, spesso al fianco di Greenpeace, le lotte per i diritti civili e per un’economia più trasparente, le invettive contro l’imperialismo, ma anche contro l’odio e l’ignoranza che troppo spesso hanno trasformato l’America in una Ignoreland, sono stati gli strumenti per “unirsi e costruire un nuovo paese”, come teorizzavano in "Cuyahoga" immergendosi nelle acque rosso sangue del fiume indiano. “We are young despite the years we are concern/ We are hope despite the times”: in fondo era stato già scritto tutto qui, in quei due versi di "These Days", in cui Stipe e compagni proclamavano la loro sfida al mondo. Una vocazione che ha trovato il suo sbocco naturale nell’evoluzione dei meccanismi della comunicazione e nell’avvento di internet, che i Rem hanno saputo sfruttare con lungimiranza e lucidità.
La loro “nuova America”, però, non ha smarrito la memoria, il ricordo delle radici profonde e dei valori su cui è stata fondata. I Georgiani, infatti, si sono erti a fieri custodi della tradizione. Rispolverando quelle storie rurali di provincia, di frontiera e di ferrovia che hanno riempito le pagine della letteratura sudista. Mappe e leggende, fiabe e campfire tales, di quelle tramandate di generazione in generazione. Come a voler gelosamente preservare un patrimonio che rischia di finire smarrito, nella frenesia bulimica della cultura contemporanea.
Al di là dei risvolti sociali e politici, tuttavia, il loro canzoniere è soprattutto lo specchio della multiforme personalità di Michael Stipe. Un collage di libere associazioni, flash onirici, simbolismi religiosi, memorie autobiografiche e giochi di parole, costruito spesso in forma di cut-up, a volte persino sull’onda della sola suggestione linguistica.
(Da "Perfect Circle - Testi commentati" - Claudio Fabretti, Arcana, 2012)
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