Stories From The Edge

In Italia il documentario su Rolling Stone

"Once upon a time you dressed so fine...". Inizia così "Like a Rolling Stone", uno dei brani più conosciuti e riconoscibili degli anni Sessanta di Bob Dylan, un trionfo folk-rock che richiama Muddy Waters e di lì a poco (siamo nel 1965) ispirerà, insieme al nome della band di Mick Jagger e Keith Richards, il titolo di una rivista-chiave per il rock e per la cultura di massa statunitense (e non solo). Rolling Stone, magazine fondato a San Francisco nel 1967, sarà da quel momento croce e delizia per artisti e appassionati, criticata da alcuni per la scarsa attenzione ad alcune scene (per esempio il metal), per l'assenza di nomi come Joe Satriani e Steve Vai nella lista dei migliori chitarristi rock, ma lodata da una folla sempre più estesa di lettori.

Impossibile non essersi imbattuti almeno una volta nei nomi di Cameron Crowe, che conosciamo anche in veste di regista ("Singles", "Almost Famous", "Vanilla Sky", "Pearl Jam 20"), da ragazzo coronò il sogno di intervistare i Led Zeppelin per una rivista che non li trattò inizialmente con i guanti, o di Annie Leibovitz - allora una fotografa non certo conosciuta, ma che venne accolta da due star come John Lennon e Yoko Ono. O ancora Jon Landau, che comprese immediatamente il potenziale di Bruce Springsteen dopo i primi due dischi che ottennero un tiepido riscontro, e ne divenne amico e produttore. E chi non ha mai sentito parlare del gonzo journalism di Hunter S. Thompson, di Ben Fong-Torres, di una figura cruciale come Ralph J. Gleason e del fondatore stesso della rivista, Jann Wenner? Sono loro i protagonisti (insieme ad altre figure, non meno rilevanti in cinquant'anni di storia del magazine) del rivoluzionario progetto editoriale nato per spiegare ciò che stava succedendo tra i giovani, decifrare la nuova cultura americana, scandire i decenni a seguire non solo attraverso le immagini e le parole di artisti e band di fama mondiale, il racconto dei grandi eventi live e dei festival con folle oceaniche, ma con analisi puntuali e originali di ciò che stava accadendo nella politica americana, non di rado con toni e articoli corrosivi.

Il 23 febbraio 2021 arriva su Amazon Prime Video, distribuito da 102 Distribuition, il documentario "Rolling Stone - Stories From The Edge", che ha il compito di ripercorrere con minuzia di particolari, con le voci di ieri e di oggi di chi nella rivista si è fatto le ossa, con immagini e preziosi documenti video, ben cinquant'anni di musica e cultura pop. Sì, perché Rolling Stone è stata molto più che una rivista per appassionati di musica. E non solo di musica rock, per quanto siano stati raccontati e intervistati nei decenni artisti come i Beatles, i Jethro Tull, Ike e Tina Turner e i Sex Pistols: la redazione ha saputo scorgere nella scena hip-hop i semi di un nuovo linguaggio e di una nuova cultura, ha parlato di costume, ha esaminato fenomeni come le boyband, come gli N' Sync di Justin Timberlake (li vediamo nel documentario alle prese con "I Want You Back") e l'allora stella nascente e lolita pop Britney Spears, fenomeno curiosamente paragonato a quello delle artiste pop degli anni Cinquanta, dall'ascesa fino all'esaurimento nervoso.

Un impegno costante a entrare in sintonia con il mondo giovanile, raccontarlo e (soprattutto) dare ad esso una forma. Tutto nacque con 7500 dollari presi in prestito in parte da Jann Wenner e in parte dalla sua compagna; definire spartani ed essenziali gli strumenti con cui i primi articoli furono scritti e pubblicati è un sicuro understatement (il primo vero correttore di bozze, con una laurea in lingue, lavorava contemporaneamente come guardiano allo zoo). Da allora sono stati fatti passi da gigante. La passione e la caparbietà hanno creato un prodotto editoriale unico, che ha trattato con attenzione e serietà una scena che pochi, forse, prendevano davvero sul serio. Nel lungo docufilm, diretto da Alex Gibney e Blair Foster, si parte col rock and roll e non può essere altrimenti. Il 1967 era l'anno del festival di Monterey, due anni prima di Woodstock, con una lista impressionante di artisti: il debutto di Janis Joplin, l'affermazione di Jimi Hendrix, ma anche i Jefferson Airplane, i Canned Heat, Simon and Garfunkel. Ma l'impegno è stato profuso anche nei decenni a seguire, quasi sempre facendo centro (anche con i Clash, per esempio, su cui non tutti negli States scommettevano). Da quando la redazione si trasferì a New York, nel 1976, ottennero sempre più spazio sulle copertine le star del cinema. Oggi sono in molti a ritenere autorevoli le recensioni dei film che si possono leggere su Rolling Stone.



Non solo rock, quindi, si diceva: tra un Elton John e un Kris Kristofferson trovavano spazio anche recensioni di dischi di Aretha Franklin e di Wilson Pickett. E non solo musica: da Richard Nixon a oggi, le firme della testata hanno raccontato anche le campagne elettorali americane - prendendo posizione, senza ipocrisie, visti natali hippie e un orientamento liberal - e denunciato il televangelismo del predicatore Jimmy Swaggart, hanno fatto vero e proprio giornalismo d'investigazione (si pensi allo scandalo Watergate o al rapimento di Patricia Hearst) e, negli anni Ottanta, hanno saputo avere un piglio più leggero - da taluni criticato, anche tra le firme storiche - puntando sul puro entertainment e sfociando più di una volta nel gossip. La rivista ha potuto contare su sempre più contenuti, ha migliorato la veste grafica e soprattutto ha prodotto immagine.
Il sogno di un visionario divenuto una realtà consolidata, Rolling Stone è raccontato in questo documentario (diviso in quattro episodi) da chi lo ha reso possibile. Jann Wenner, ovviamente, ma anche Charles M. Young e il già menzionato Cameron Crowe, arrivato in redazione ancora adolescente, senza dimenticare Tom Wolfe e Matt Taibi. La voce narrante è quella di Jeff Daniels ("The Martian", "The Newsroom"). Grazie ad Annie Leibovitz, Richard Avedon e Mark Seliger abbiamo avuto alcune fotografie iconiche e fotoreportage che hanno lasciato un segno indelebile nella cultura pop.

C'è più di un motivo per divertirsi ed emozionarsi mentre sul video scorrono spezzoni inediti di interviste a Lennon, David Bowie che invitò Cameron Crowe a seguirlo on the road ai tempi di "Station to Station". A un certo punto si assiste a una partita tra i redattori di Rolling Stone e i membri degli Eagles (tra loro c'era un intruso doc, Peter Cetera dei Chicago). Fa riflettere come alcune critiche che arrivano oggi anche all'edizione italiana della testata ("parlate di musica, la politica lasciatela stare") non tengano in considerazione la mission stessa del giornale, molto più articolata e complessa del contenitore di interviste e recensioni che appare a parte del pubblico, e ancora di più come una rivista nata negli anni dei primi grandi festival rock abbia saputo parlare di Elvis Presley come di Ice T, o mettere in copertina Hall and Oates e Michael Jackson o, in tempi più recenti, Rihanna o Beyoncé senza perdere l'identità.

L'impegno a rendere i giovani dei cittadini americani consapevoli e far sì che si interessassero alla politica non si è fermato con Richard Nixon: nel documentario trovano ampio spazio anche la vicenda Clinton-Lewinsky, l'elezione di Obama e la pubblica ammenda di un grosso scivolone giornalistico nel 2014, quando su Rolling Stone comparve una storia di un finto stupro per denunciare gli abusi sessuali nei campus universitari. Non dev'essere stato il massimo essere tacciati di diffusione di fake news poco prima dell'ascesa di Donald Trump. Ma la storia va avanti, e il magazine continua ad avere gli occhi puntati sulla società, a far parlare di sé e a far sì che si parli degli artisti, sebbene il divismo stesso sia oggi profondamente cambiato.

"Stories From The Edge" è un documentario denso e succoso, da guardare con attenzione e da sorseggiare un po' alla volta per assimilarlo al meglio. È una celebrazione della cultura americana dagli anni Sessanta ad oggi, ma anche un momento per raccontare retroscena e fare qualche mea culpa. L'unico consiglio che si può dare è di mettersi comodi e godersi lo spettacolo.