Autore: Stefano Solventi
Titolo: The Gloaming - I Radiohead e il crepuscolo del rock
Editore: Odoya
Pagine: 332
Prezzo: Euro 20,00
Per la copertina è stata scelta una foto di Thom Yorke, ma “The Gloaming” non nasce per essere “soltanto” un volume monografico sui Radiohead, bensì il pretesto per decodificare ciò che è accaduto al rock nell’ultimo quarto di secolo. Per farlo, Stefano Solventi analizza il percorso dei Radiohead nei venticinque anni trascorsi da “Pablo Honey” ai nostri giorni. L’istantanea iniziale è scattata a Oxford, città universitaria dove le band non possono suonare nei college, dove le istituzioni limitano gli eccessi e formattano gli slanci degli studenti, il posto ideale nei primi 90 per sviluppare solide insofferenze, causate dal clima di conformismo che pretendeva di normalizzare anche i risvolti più istintivi della creatività.
Scostante e introspettivo, Thom Yorke cresce fra quelle strade tutte uguali, in quel mondo orizzontale: per far spuntare le narici sopra il livello di noia, con altri amici mette in piedi gli On A Friday. Non saranno soltanto la valvola di sfogo da week-end per studenti di arte e letteratura, ma il primo passo di una formazione in grado di scandire la colonna sonora del processo (allora già in atto) di decadimento del rock, rappresentandone il crepuscolo e innestandolo in un quadro di decadenza ben più vasto. La passione di Yorke per l’evoluta scena elettronica berlinese faciliterà la commistione, la manipolazione, la destrutturazione dei suoni che condurrà prima a “Ok Computer”, poi all’accoppiata “Kid A“ / “Amnesiac”, in grado di ridefinire un’estetica.
Partendo dagli edonistici anni 80, l’autore crea un azzeccatissimo parallelo fra la storia dei Radiohead e l’evoluzione musicale, artistica (si parla anche di cinema e letteratura), politica (la Guerra del Golfo, il disastro delle Torri Gemelle), sociale e tecnologica in atto. I Radiohead diventano protagonisti principali di un racconto ben più vasto, che sboccia in mezzo agli ultimi scossoni del rock, fra le ceneri del grunge, quando il rock per l’ultima volta seppe farsi carico di un disagio che nessun’altra forma espressiva poteva portare alla luce in maniera tanto aderente alla realtà. La scena di Seattle ridonava al rock una dimensione eroica, impetuosa, ma fu l’ultima possibilità per il rock di farsi proiezione delle inquietudini generazionali.
In quegli anni ci riuscirono anche il noise, lo shoegaze, il trip-hop, il britpop, ma già gli U2 di “Achtung Baby” nel 1991 compresero che il rock doveva avere la forza di diventare altro, mutare, farsi metamorfosi, portare alla luce una frattura sotterranea in corso. Non più in grado né di proporsi come fenomeno collettivo, né di rendersi destabilizzante attraverso la funzione di critica al sistema sociale, il rock diventa marginale, defilato, persino obsoleto, smarrendo la spinta propulsiva. Incapace di suonare cruciale, destabilizzante, provocatorio e rivoluzionario, scompare dalle classifiche di vendita, divenendo un affare da riserva indiana. Quasi sempre non più in grado di esprimere il presente, visto che persino le nuove band più interessanti (Interpol, Strokes, la nuova scena psych) clonano forme, modi e atteggiamenti dei classici.
I Radiohead portarono il tutto alle estreme conseguenze, contribuendo a far diventare quella frattura ancor più netta. Il loro merito fu di aver capito presto, quasi subito, lo stato delle cose, sintetizzando un codice espressivo intenzionato a metabolizzare le istanze musicali e tecnologiche del presente, definendo un sound messaggero delle inquietudini contemporanee, riuscendo a toccare il nervo scoperto di un immaginario caro al loro pubblico. C’era bisogno di disimparare i vecchi codici del rock per sintetizzarne uno nuovo, c’era urgenza di esplorare nuove possibilità per rappresentare in maniera compiuta le caratteristiche di una nuova epoca dove a dominare erano lo smarrimento, il senso di precarietà, di inadeguatezza, l’alienazione esistenziale, il senso di sconfitta e di assedio, l’assillo della codificazione.
“The Gloaming” diventa così una sorta di resoconto del nostro vissuto, dove le esperienze di ciascuno di noi, specie per i nati intorno al 1970, coincidono con quelle dell’autore, che si sofferma anche sull’analisi testuale delle canzoni, ricostruendo l’introspettiva poetica di Yorke.
Solventi scandaglia l’erosione di popolarità del rock, la sua incapacità di oltrepassare il consolidato, di muovere guerra alla precedente versione di sé, come seppe fare ad esempio il punk nei confronti del prog. In questo viene sostituito negli ultimi decenni dagli artisti rap, la protesta inizia a passare attraverso l’hip-hop, stile che governa le classifiche odierne assieme all’r&b. Il pop, dal canto suo, fagocita le “parti utili” del rock, sostituendo la sua percezione collettiva con la sua versione spendibile. Nascono così fenomeni come i Coldplay, oppure si trasmutano formazioni come i Red Hot Chili Peppers: il rock formattato per chi non ama il rock o per chi non ha nulla da chiedere al rock. Mentre il pop riesce a immaginare un pubblico in grado di accogliere la ricerca, l’avventura, la complessità (il caso di scuola è quello di Bjork), il rock vive un appiattimento su modi e forme riconoscibili.
L’affermazione del sistema delle playlist che contribuisce alla crisi del formato album, l’inutilità della funzione di scouting in un’epoca nella quale la ricerca di nuove stelline passa attraverso il format dei talent, lo sfruttamento selvaggio dei cataloghi, le canzoni prefabbricate per aver successo sono tutti elementi - qui approfonditi - che hanno contribuito a mutare lo scenario di riferimento. Masterizzatori, downloading e streaming hanno azzerato le vendite dei dischi, mentre il web, la diffusione dei file mp3 e del peer-to-peer, il successo dei vari Napster, YouTube, MySpace e Spotify hanno influito sulle politiche promozionali discografiche, contribuendo a dare pesanti scossoni a un mercato della musica rock nel quale oggi – paradossalmente - non avere successo, vendere poco, restare misconosciuti diviene una sorta di bollino di qualità.