Autore: Valeria Arnaldi
Titolo: Madonna. L'Icona del Pop
Editore: Ultra Icon
Pagine: 239
Prezzo: 22 euro
Fa uno strano effetto trovarsi a recensire il libro di una persona con cui lavori quotidianamente da anni. Ed è ancora più sorprendente ritrovare Valeria Arnaldi – infaticabile collaboratrice di Leggo, capace di spaziare con la stessa professionalità da un articolo sulla Siria alla recensione di un cartone animato – alle prese con l’eroina pop della propria adolescenza. Già, perché dopo aver sfornato libri su street art, eros metropolitano, Audrey Hepburn, Frida Khalo, Hayao Miyazaki e Fantozzi (per citarne una minima parte), la giornalista romana ha fatto i conti anche con Madonna. Personaggio senz'altro scomodo, perché inflazionatissimo da decenni di chiacchiere e gossip d’ogni sorta che hanno spifferato al mondo pure i dettagli più intimi del suo vissuto, ma anche per via di quella diffidenza che Veronica Louise suscita a pelle nei non-fan, come se la star avesse ormai preso il sopravvento sulla persona offuscandone l’umanità, rendendo impossibile decifrare la donna oltre la diva. A dispetto del titolo (“Madonna. L'Icona del Pop”), il libro di Valeria Arnaldi fa esattamente l’opposto.
Nelle 239 pagine - brillantemente illustrate da immagini d’epoca, copertine e scatti inediti della Material Girl – emerge infatti un percorso umano non privo di sofferenze e lacerazioni, imprescindibile per comprendere a fondo le radici di quella forza bionica universalmente riconosciuta a Miss Ciccone e sintetizzabile nella celebre testimonianza del produttore Steve Bray: “La prima impressione è stata quella di aver incontrato una forza della natura, qualcosa di non completamente umano”.
Prima di queste ferite è indubbiamente la perdita della madre, morta di cancro ad appena trent’anni, vulnus cruciale di un’infanzia che vedrà Louise dapprima nei panni della “brava bambina”, costretta in qualche modo a surrogare la figura materna anche per i fratelli minori, e poi in quelli di adolescente ribelle, in rotta di collisione con il padre, con la matrigna e con le rigide istituzioni religiose cui era stata affidata (emblematico il rapporto di amore-odio sviluppato con le suore).
Ma decisivi per i futuri sviluppi della diva saranno anche i caldi giorni del Michigan, tra outfit sexy, nottate selvagge sui sedili della Cadillac dell’imberbe Russell Long, primi passi di danza con Christopher Flynn – sorta di maestro-redentore della ragazza Borderline, precocemente bollata come “sgualdrina” dalle invidiose compagne di classe – e ritratti senza veli per l’obiettivo di Cecil Taylor (destinati a essere battuti all’asta nel 2017 per 1.200 sterline a scatto). E poi, il decisivo sbarco a New York.
“Quando arriva nella Grande Mela ha appena 35 dollari, qualche calzamaglia per ballare, alcune foto della madre. E tanta fiducia nella gentilezza del prossimo”, racconta Arnaldi, mettendo poi a nudo l’altra ferita-chiave della futura star: la violenza subita sul tetto di un palazzo da un uomo armato di coltello, l’episodio che la farà sentire per sempre “una sopravvissuta”: allo stupro, certo, ma anche al dolore per la perdita della madre, alle invidie, al bullismo e al sessismo. Tutte cicatrici che finirà con l’assorbire negli anni, sviluppando quella scorza d’acciaio che le varrà antipatie diffuse, senza però mai difenderla da quel senso latente di solitudine che avrà modo di manifestare in più occasioni.
Ma la forza del libro è anche la leggerezza con cui Arnaldi – da fine esperta di arte e costume – tratteggia l’iconografia della diva, non mancando di analizzare tutti i dettagli attorno ai quali si è costruita da sola (altra differenza cruciale rispetto alle varie ninfette pop etero-dirette) una figura di star destinata a frantumare ogni record di popolarità, restando, ad oggi, la stella polare di tutte le varie Beyoncé, Kylie Minogue, Rihanna, Shakira, Lady Gaga e Katy Perry di questo mondo. Un’operazione meticolosa, iniziata dalla stessa scelta del nome. “Un ottimo nome da palco”, come lo definì in un’intervista a Larry King nel 1999. Una “benedizione” scelta dai genitori che l'avevano chiamata Madonna Louise, ma anche una missione. Come se il nome, così alto e pieno, monumentale, la chiamasse a diventare grande. Non è un caso che al momento della cresima, Madonna, dovendo scegliere per sé un altro da affiancare a quello datole dai genitori, opterà per Veronica, come la reliquia cristiana con il volto di Gesù simbolo di martirio e passione. “Un nome molto drammatico e romantico”, commenterà.
Ma per tenere fede all’umile aspirazione della giovane Veronica Louise – “diventare più famosa di Dio” – servirà, oltre a una vagonata di canzoni-killer, anche un corredo mutante di look. Ecco allora le mise aggressive (e tamarrissime) degli esordi, a metà tra punkette e urban girl, il body di pizzo, i crocifissi e la rapida - e profonda - svolta sexy, dall'abito bianco di "Like A Virgin" fino al reggiseno a cono firmato da JeanPaul Gaultier, dallo stile Monroe ripensato in chiave audace, ammiccante, fino alle vertigini sadomaso di “Erotica”, all'immagine orientale, sofisticata, di “Frozen” e alla glitterata “Queen of disco” seventies di “Confessions On A Dancefloor”. E ancora le continue citazioni punk, grunge, country, dance e latine, nei suoni, come nell’aspetto. Tutto funzionale a un’ascesa inesorabile di cui Miss Ciccone resterà sempre lucida (quando non spietata) regista, ispirandosi a frontgirl-pioniere come Debbie Harry e Chrissie Hynde, che Arnaldi individua come due dei riferimenti più espliciti dell’artista di Bay City, insieme al divo trasformista e ambiguo per eccellenza David Bowie, colui che “incarnava contemporaneamente lo spirito maschile e femminile portandomi a pensare che non ci fossero regole” – come racconterà la stessa Madonna.
In una serrata narrazione si susseguono tutte le tappe-clou di una cavalcata che ha attraversato 4 decenni: il determinante incontro con Mark Kamins, dj del Danceteria e suo primo mentore-produttore (grazie a lui conquisterà il primo contratto discografico, con la Sire nel 1982, e pubblicherà il debutto su 45 giri “Everybody”); i bestseller degli anni 80; la turbolenta relazione con Jean-Michel Basquiat e il non meno travagliato matrimonio con Sean Penn (“il ragazzo più cool dell’universo”); le incursioni più o meno fortunate nel cinema - da “Cercasi Susan disperatamente” a “Dick Tracy”, da “Ombre e nebbia” a “Evita” – i videoclip trasgressivi (dal sacrilego santo color ebano di “Like A Prayer” agli ammiccamenti erotici di “Justify My Love”) e l’iconografia lasciva della “fase sex”; le tournée mondiali e la costante operazione di restyling di musica e look (nonché, in parte, tratti somatici); le nuove infatuazioni para-religiose - come la Cabala, che, a suo dire, le insegnerà ad ammorbidire la sua aggressività - e le iniziative umanitarie in Africa; fino all’attuale condizione di signora milionaria del pop dai tanti figli (adottivi inclusi) e dagli innumerevoli primati - uno per tutti: secondo il Guinness dei primati e la RIAA, con 345 milioni di dischi venduti in tutto il mondo, è l'artista femminile più venduta di tutti i tempi.
Pubblicato in occasione del sessantesimo compleanno di Madonna, il volume di Valeria Arnaldi si propone di portare a termine una indagine ad ampio raggio sulle ragioni del suo successo, tra musica e stile, alla ricerca del segreto della sua eterna giovinezza. Forse anche per questo l’aspetto musicale viene un po’ sacrificato. Ma, per una volta, non dispiace: i fan, in fondo, lo conoscono già approfonditamente, mentre i non-fan troveranno in questa investigazione tutti i motivi per scrostarsi di dosso un bel po’ di pregiudizi e forse anche per appassionarsi a questo avvincente romanzo popolare americano.
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