Il primo docu-film italiano dedicato alla rinascita del vinile, realizzato con un'operazione di crowdfunding, nato da un'idea di Nicola Iupparello (che ha scritto il soggetto insieme a Vincenzo Russo) e realizzato da Napoli Film Industry con la regia di Fulvio Iannucci, è disponibile dal 3 dicembre 2020 su Amazon Prime Video e offre diversi spunti di riflessione sulla storia e sulle potenzialità del supporto di fisico per eccellenza. Lo fa in un momento storico in cui acquistare un disco (o un cd) è diventato un affare che interessa a pochi, anche se gli ultimi dati che ci arrivano da Discogs sono piuttosto incoraggianti e parlano di un aumento di acquisti di vinile, cd e persino musicassette (non parliamo certamente di grandi numeri, ma se artisti come gli Hurts e Kylie Minogue distribuiscono gli ultimi lavori anche su nastro e Dolly Parton ha lanciato il suo ultimo disco natalizio anche su Stereo 8, al di là dell'inevitabile feticismo, qualcosa sta forse accadendo davvero).
Eppure ci dicevano che il vinile non sarebbe mai più tornato
Nei primi anni 90 ero uno studente delle scuole medie. Come accadde a molti altri miei coetanei, gran parte della mia collezione allora era fatta di musicassette: prima dell'avvento dei masterizzatori ci si passava i cd e si registravano su nastro, spesso con arditi accostamenti tra lato A e lato B di una C-90. Qualcuno di noi si specializzò anche nella creazione di un adeguato artwork delle cassettine, grazie ai primi rudimentali software adatti per il 486 e il Pentium di casa e al passaggio dalla stampante ad aghi a quella a getto d'inchiostro, persino a colori. I cd costavano molto, tra le 30 e le 35mila lire, ma per un breve periodo li si poteva noleggiare (con 3.000 lire li tenevi per un giorno, altri esercizi che hanno poi chiuso i battenti nel 1994 permettevano con una quota leggermente superiore di restituirli tre giorni dopo, il tempo di far lavorare alacremente la piastra a cassette dello stereo in salotto per far bella figura con i compagni di classe).
Il 33 giri stava già sparendo dai negozi. Quando arrivai a Padova nel 1992 c'era questo luogo magico, lo storico Il Ventitré Dischi vicino al Duomo, che vendeva i famigerati Lp cut-out (prevalentemente di provenienza statunitense, destinati al macero in quanto sovrapproduzione, contraddistinti da un taglietto o da un buco in copertina) a 3000-4000 lire. Si diceva che il vinile era agonizzante e che sarebbe defunto senza mai più tornare. Obsoleto come una macchina da scrivere. Fu il 1996 l'ultimo anno in cui vidi nuovi titoli in un negozio "generalista" di dischi con un reparto apposito (in seguito li avremmo sì trovati ancora, ma in punti vendita più specializzati), precisamente il doppio Lp "Wild Mood Swings" dei Cure (a 45 giri) e un album di Bryan Adams, "18 Til I Die".
Non solo: quando in un negozio di elettrodomestici guardavo i midi Hi-Fi, mi si diceva che il giradischi era optional perché "serve tanto per ascoltare vecchi dischi se li si ha in casa. Tu poi, così giovane, figuriamoci se li comprerai mai". Di lì a poco sparì l'ingresso phono in molti amplificatori, chiusero negozi che trattavano solo hi-fi perché gli appartamenti, sempre più piccoli, non avevano più spazio per uno stereo deck. E iniziarono a sparire persino i cd quando ci convinsero che sarebbe stata sufficiente una dockstation discretamente potente per poter ascoltare tutta la musica che avremmo desiderato con il nostro smartphone, fossero mp3 di chissà quale provenienza o streaming di YouTube.
Il cd arrivò al suo massimo successo all'inizio degli anni 2000, dopo un decennio comunque fortunato - non solo perché è stato ricco di movimenti, dal grunge al britpop fino alla scena di Bristol, ma perché non erano in pochi a riacquistare su compact disc album che già possedevano in vinile. Finalmente via il fruscio, non bisognava pulire la polvere dalla superficie del cd, niente clic fastidiosi, niente pop che disturbano, si può saltare da un brano all'altro e anche ascoltare i brani di un disco in ordine casuale con la funzione "random", antenata dello shuffle dei lettori mp3 (qualche artista protestò a voce bassa, come Terence Trent d'Arby che in "Neither Fish Nor Flesh" si limitò a invitare nelle note del booklet ad ascoltare il disco dall'inizio alla fine; Prince, decisamente più diabolico del collega, realizzò la prima stampa su compact disc di "Lovesexy" con un'unica traccia della durata di oltre quaranta minuti).
In più c'era tutto un catalogo da riproporre, con le prime rimasterizzazioni, un uso forsennato di filtri no-noise che fortunatamente passò di moda negli anni 2000, quando i migliori ingegneri del suono (da Bob Ludwig a Bill Inglot) si impegnarono a ripristinare "il calore dell'ascolto in vinile" anche su supporto digitale.
Il disco fisico, alla fine, è sopravvissuto a tutto. Non senza il fiatone, non senza contraddizioni mai del tutto risolte, non senza essere stato per lungo tempo rinchiuso in qualche magazzino polveroso, conservato in modo sbagliato (uno sopra l'altro), e con la magra soddisfazione di essere tornato con dignità, con vendite certamente non paragonabili a quelle degli anni Sessanta/Settanta (parliamo del 6% dell'intero mercato musicale) in uno scenario completamente cambiato. Se la stragrande maggioranza degli ascoltatori oggi si accontenta di un abbonamento a un servizio in streaming, si consolida al contempo una "super-nicchia" composta non solo da nostalgici, ma anche da giovani che scoprono qualcosa che ai loro occhi è totalmente nuovo. Ossia il rituale del prendere un Lp dallo scaffale, mettere il disco sul piatto di un giradischi, far terminare il primo lato, alzarsi dal divano e girarlo dopo una ventina di minuti. In più il disco lo vedi, lo tocchi, ne esamini la copertina, a volte ci sono i testi delle canzoni, la lista dei musicisti che hanno suonato. Certo, oggi c'è Discogs per tutto questo, ma si torna a considerare l'artwork per ciò che è, una parte dell'opera. Non è più solo il quadratino che si vedeva appena appena sul nostro iPod quindici anni fa, ma un quadro 30x30 in cui potersi perdere.Perché il vinile ama la musica: il viaggio emozionante di "Vinilici"
La musica che si tocca, la musica che vive, che cattura l'attenzione e non è solo un sottofondo come al bar mentre si sorseggia un cocktail è la protagonista di "Vinilici. Perché la musica ama il vinile". Un racconto fatto di sentimenti, di testimonianze, di voci di esperti e di collezionisti, di aneddoti per un modo antico, e oggi innovativo, di affrontare l'ascolto di un'opera discografica dopo la sbornia di torrent e, quando è andata bene, di download a pagamento.
"Vinilici" è un docu-film corale, a strati, che offre diversi spunti senza avere la pretesa di essere enciclopedico, o peggio ancora "l'ultima parola sul vinile": c'è il parere di esperti, tra cui Renato Marengo e Fernando Fratarcangeli, ognuno dei quali racconta il proprio rapporto con il disco in vinile e con le collezioni.
Qualcuno - come Elio e le Storie Tese - racconta dello stupore di come il revival dell'Lp abbia accorciato distanze generazionali, complice forse il fatto che oggi è raro imbattersi in un concept-album che abbia un suo filo logico dall'inizio alla fine (non è più tempo di opere rock come "Tommy", ma neppure di "Questo piccolo grande amore"). Ecco che la funzione shuffle, pur comoda quando si corre sul tapis roulant in palestra o si arriva al lavoro in autobus, perde il suo senso e il suo fascino quando l'ordine in cui sono disposte le canzoni ti fa sentire "come se stessi guardando un film".
La definizione di "super-nicchia" è di Gianni Sibilla, critico musicale e docente universitario, ed è calzante: oggi più di ieri, d'altronde, collezionare dischi in vinile comporta un certo sforzo economico (acquistare un'edizione originale di "Sticky Fingers" o di "The Velvet Underground and Nico" con la zip e la banana intatte è uno sfizio che in pochi possono togliersi), una cura maniacale (che sarebbe dovuto esistere anche per il compact disc, decisamente più maltrattato in virtù della sua "indistruttibilità" di cui ci narrarono negli anni Ottanta e perché più comodo da portare in macchina o da conservare in raccoglitori che, dopo anni, possono dare bruttissime sorprese) e un ritorno a un impianto di alta fedeltà per poter godere appieno del suono del vinile. Anche un cd, se ben registrato, può dare enormi soddisfazioni con un impianto hi-fi; il fatto è che purtroppo per anni il suo essere "pratico e maneggevole" lo ha relegato spesso a farsi leggere in boombox di scarsa fattura, con speaker integrati senza troppe pretese, e il colpo di grazia è arrivato con la diffusione degli mp3. Si doveva poter "rippare" le tracce, ascoltarle a un volume uniforme (ossia piatto, con un range dinamico compresso) e aggressivo (avrete di certo sentito parlare della "loudness war"). Per quanto ancora oggi sia il supporto più durevole - fatta eccezione per una serie di compact disc cui accenna Marengo, realizzati tra la fine degli anni 80 e l'inizio dei 90 pubblicati da etichette come Ricordi, Fonit Cetra, BMG e Deutsche Grammophon, soggetti a un deterioramento chiamato "CD-bronzing" (o "CD-rotting") che ne cambiava il colore e rendeva illeggibili i supporti - e più fedele (non corriamo il rischio di ascoltarlo con errori di velocità o di pitch, non c'è rumore di fondo a distrarci e possiamo ascoltare un album dal vivo da oltre settanta minuti senza interrompere tre volte l'ascolto per girare il lato o cambiare il disco), l'industria discografica ha fatto tutto il possibile per far perdere ogni appeal a quel dischetto argentato su cui pur puntava molto la discografia, spesso con bonus track esclusive.
Come si diceva, sono tante le voci che raccontano l'amore per il vinile. Ci sono aneddoti che strappano più di una risata, come quelli di Carlo Verdone - la cui musicofilia è cosa ben nota - che racconta di una stampa francese di "Led Zeppelin III" sparita dalla sua collezione e di quando, su consiglio di uno zio eccentrico, smise di conservare le sleeves dei suoi 45 giri (cosa di cui si pentì amaramente negli anni a venire). Ci sono generazioni di negozianti di dischi, da una bancarella di Porta Portese a un'attività che va incontro all'appassionato al collezionista alla ricerca di edizioni rare. C'è la storia di un'antica etichetta napoletana, la Società Fonografica Napoletana poi divenuta Phonotype per cui incise 78 giri un nome storico come Bruno Venturini, prima di approdare alla milanese Saar (che ha pubblicato la sua "Antologia della Canzone Napoletana"), la Durium e la Ariston. Ci sono autori come Mogol, che non necessita di presentazione alcuna, ma anche artisti come Lino Vairetti che racconta di come la sua musica sia ancora richiesta in Giappone, di come abbia sempre realizzato una versione vinilica dei suoi lavori e dell'influenza che, a suo dire, gli Osanna avrebbero avuto su Peter Gabriel (che a onor del vero prese spunto da Arthur Brown, come anche il collega Alice Cooper).
Renzo Arbore racconta con orgoglio dei pezzi più rari della sua collezione, Claudio Coccoluto parla da dj che ha fatto del mix in vinile uno strumento di lavoro inimitabile. Per quanto riguarda la qualità del suono, c'è l'intervento di Giulio Cesare Ricci (fondatore della Fonè, etichetta audiophile di casa nostra che ha in catalogo diverse registrazioni di Salvatore Accardo); Red Ronnie pone l'accento su un aspetto che ha fatto parte della vita di tutti noi che abbiamo comprato, e ancora compriamo, musica allo stato solido. Riassumendo, quando spendiamo dei soldi per portarci a casa un disco lo ascoltiamo con più attenzione, gli attribuiamo valore, "ce lo facciamo piacere" perché per acquistarlo abbiamo rinunciato a qualcos'altro.Nel corso del film emerge anche che comprare il disco è un po' come "possedere l'artista", averlo a casa nostra (e non solo se la copia è autografata). C'è anche qualche utile dritta per chi si sta avventurando nel mondo del collezionismo. Ovvero: occhio ai falsi, talvolta molto difficili da riconoscere da un occhio non esperto (si parla di bootleg, ma anche di pirateria e riproposizione raffazzonata di interi dischi da master discutibili). Vedrete anche una rara copertina di "The Dark Side of the Moon" dei Pink Floyd uscita solo in Giappone, cover che hanno fatto la storia (come quella di "Sgt. Pepper's Lonely Heart Club Band" e "Stand Up"). La carne al fuoco, insomma, è parecchia.
"Vinilici" è stato realizzato nel 2018, a settant'anni esatti dalla nascita del 33 giri (introdotto nel 1948 dalla Columbia Records). È un lavoro che mette in luce l'importanza del supporto fisico per eccellenza, che è intrattenimento ma anche arte e cultura. Celebra il ritorno del vinile evitando guerre tra poveri con il fratello digitale, non lo tratta come una reliquia né come la soluzione per risollevare l'agonizzante mercato musicale odierno (e fa bene, aggiungiamo: non è tutto oro ciò che luccica, si leggano svariate lamentele su Amazon e Discogs su alcune stampe odierne realizzate con riversamenti da file digitali, e i prezzi degli Lp sono oggi spesso ingiustificati).
Fa anche qualcosa di più: ci dice che ciò che facevamo in passato può offrire un'esperienza nuova oggi. Nessuno ci impedisce di ascoltare "Quadrophenia" dall'inizio alla fine su cd o con una piattaforma streaming (non c'è solo Spotify, sono nati servizi che vengono incontro anche ad audiofili più esigenti), e nessuno ci impedisce di ascoltare un disco insieme ai nostri amici e commentarlo, anche davanti a una platea.
Solo in Italia, negli ultimi dieci anni, sono nate diverse occasioni di ascolto guidato e collettivo che vanno dagli audioforum Gold Soundz e Music Is My Radar ai raffinati incontri sui cantautori italiani a cura di Fabrizio Bartelloni e Marco Masoni in Toscana, fino agli speciali del musicteller piemontese Federico Sacchi, che spaziano dalla storia dei Talk Talk e di Stevie Wonder a retrospettive come quella sulle canzoni dedicate a Martin Luther King. Senza tralasciare i "33 Giri di Parole" di Antonio Puglia, Carlo Massarini che racconta i Beatles a Ernesto Assante e Gino Castaldo che racconta Prince proiettando i suoi videoclip e parlando della sua vita e della sua carriera. Tutto ciò è conseguenza di un rinnovato interesse non solo per l'oggetto "disco" (che farà anche bella figura su Instagram, ma che occupa anche spazio inutilmente se non lo si acquista per ascoltarlo) bensì in primo luogo per il suo contenuto.
Tutto questo traspare senza giudicare, senza demonizzare, senza dirci ciò che è meglio fare o non fare; salvo qualche intervento, non è tutto un "com'era bello ai vecchi tempi, mentre oggi...". E qui sta la forza di un lavoro prezioso come "Vinilici". L'augurio è che sia solo il primo di una serie.