“Zazu”, ovvero la storia di un’epifania e, insieme, di una resurrezione. Ma non c’è niente di mistico tra i rigogliosi riccioli di Roseanne Vela, per gli amici Rosie. Semmai, il miracolo è la sua bellezza, che irrompe nella patinata iconografia degli anni 80 come un tornado di grazia e sensualità. Ma riavvolgiamo il nastro, verosimilmente quello di una musicassetta, trattandosi di 1986, per ricostruire il primo evento: l’epifania.
Da Vogue agli studios
L’apparizione di Rosie Vela, anche agli occhi di un consumato volpone degli studios come Gary Katz, è una folgorazione. Certo, difficile immaginare che il perfezionista della console al servizio degli Steely Dan fosse rimasto insensibile al fascino della fanciulla che si trovava di fronte negli studi della A&M Records. Eppure non era solo una musa da copertina, quella ragazza con nastri al seguito che gli era stata presentata dai discografici. Nata a Galveston, in Texas (il 18 dicembre 1952), cresciuta a Red Rock, in Arkansas, e trasferitasi a New York ai tempi in cui Rikki non doveva perdere quel fatidico numero, l’abbagliante top model di campagne pubblicitarie deluxe (Revlon, Virginia Slims & C.) nonché ospite quasi fissa sulla copertina di Vogue (per ben 14 volte!) e intravista perfino nel film maledetto di Michael Cimino (“I cancelli del cielo”), conservava il classico sogno rinchiuso nel cassetto, assieme a una buona dose di bigliettoni verdi incamerati in quegli anni. Voleva mettere a frutto i suoi studi di pianista classica, mettendo su un suo studio di registrazione e incidendo alcuni demo. E sono proprio quelle registrazioni a folgorare il buon Gary, ancor più di quegli occhi verdi e quei tratti angelici racchiusi in una matassa di ricci castani. Perché in primis Rosie ha una voce di velluto, calda, sensualissima, ma soprattutto perfetta per inseguire quei sinuosi labirinti jazzati da sempre nelle corde del produttore di “Aja”. Non le serve un’estensione vocale da soul-singer: anche la sua ugola apparentemente esile e sottile riesce a essere terribilmente espressiva al servizio di quei brani dalle cadenze felpate e dalle tonalità jazzy in odore di new cool. Brani che ha scritto interamente da sola, per di più, mostrando un’insospettabile passione per le scarne ballate di Joni Mitchell, unita a quel tocco vellutato d’inconfondibile ascendenza Steely Dan.
C’è anche una vena fortemente malinconica nelle sue canzoni, inevitabile strascico di una vita che non è stata solo Rosie e fiori. Con una ferita ancora aperta, difficile da rimarginare. Durante il suo periodo a Red Rock, all’Università dell’Arkansas, Vela aveva infatti incontrato il suo grande amore: Jimmy Roberts, musicista in una band locale. I due avevano vissuto una intensa love-story fino 1973, quando a Roberts era stato diagnosticato un cancro. Avevano deciso comunque di sposarsi come previsto, nel febbraio del 1974, ma Jimmy era morto sei mesi dopo. È questo l’episodio che l’aveva spinta a trasferirsi a New York per cambiare radicalmente vita: “Ho deciso che dovevo buttarmi in qualcosa che si muoveva così velocemente da trascinarmi con sé”. E quel “qualcosa” è stata la carriera di modella, più una necessità che una passione, visto che in fondo al cuore le era rimasta sempre e solo la musica. Per questo aveva deciso di investire i suoi soldi in quel pugno di canzoni.
L'inaspettato rendez-vous
Gary Katz gongola: ciò che appariva una mera pratica commerciale commissionatagli dalla casa discografica per accontentare le smanie artistiche dell’ennesima diva da copertina, può tramutarsi in un clamoroso colpo di coda della sua creatura più amata. La resurrezione, per l’appunto. Quello che forse non immagina è che questa avverrà non solo musicalmente, ma anche in carne e ossa, rimettendo insieme i two against nature che non si vedevano più da sei anni, ovvero dall’uscita dell’ultimo capitolo targato Steely Dan, “Gaucho” (1980). Ma apparentemente tutto avviene per caso, senza alcuna pianificazione. Perché le strade dei due sembrano essersi divaricate definitivamente. Becker si è trasferito con la moglie nell’isola di Maui, nell’arcipelago hawaiano nel Pacifico Centrale, per rimettere in sesto la sua vita. Fagen, reduce dal grande successo del suo debutto solista, l’epocale “The Nightfly” (1982), si è appassionato alle colonne sonore e girovaga per New York indeciso se scrivere nuovi brani o una rubrica per la rivista Premiere. Musicalmente, i due si sono dedicati soprattutto al lavoro dietro le quinte: Becker ha prodotto lo splendido terzo album in studio dei China Crisis, “Flaunt The Imperfection” (1985), realizzando una mirabile fusione fredda tra metodo-Dan e nuovo sophisti-pop britannico; Fagen ha suonato le tastiere su “Pirates” di Rickie Lee Jones. Entrambi non sembrano intenzionati a realizzare nuovi dischi. Meno che mai riformando la ditta Steely Dan. Eppure, il destino rimescola le carte.
Una notte, mentre sta registrando ai Village Recorder Studios di Los Angeles, Katz viene raggiunto da Walter Becker, deciso solo a fare una visita al suo vecchio amico. Il produttore gli fa ascoltare quei nastri e il chitarrista degli Steely Dan sgrana gli occhi. È entusiasta di ritrovare tra le flessuose melodie di Rosie l’intima essenza dell’esperienza musicale a cui ha dedicato dieci anni di vita, pieni di successi e di soddisfazioni. Suggerisce solo a Katz di dare ai suoni della tastiera un po' di consistenza in più, proponendogli di coinvolgere proprio il suo vecchio amico Donald Fagen. Quest’ultimo, pur essendo un notorio scorbutico, non è privo di cuore: l’idea di poter tornare a lavorare per il suo fidato produttore, al fianco, per di più, del suo storico partner musicale, lo alletta forse anche più della stessa top model di Galveston, che occhieggia dietro quelle soffici partiture jazz-pop attirandolo come una sirena. Il dado è tratto: si riformeranno, di fatto, gli Steely Dan. E quella rinascita avrà uno strano nome: “Zazu”, sinonimo di “spirito e passione con estro ed eccitazione”.
Zazu è in realtà un nome femminile di origine ebraica. Sta per “movimento”.E nell’immaginario collettivo resterà associato soprattutto al buffo uccello dal becco rosso del film Disney “Il Re Leone”. Per chi scrive, però, “Zazu” resterà solo un disco: il disco di Rosie Vela. Che nell’anno domini 1986 si ritrova incredibilmente catapultata ai Sound Ideas Studio di New York con il seguente team: Gary Katz alla console, Donald Fagen alle tastiere, Walter Becker e Rick Derringer alle chitarre, Jim Keltner alla batteria, più, ciliegina sulla torta, Tony Levin, chiamato a suonare basso e Chapman stick su due brani ("Tonto" e "Zazu"). Meglio del parterre di una sfilata d’alta moda.
Un magico sorriso
Poteva deludere il frutto di tanta classe? Certo che no. Ma se il team stellare intesse i tappeti sonori perfetti (del resto, perfezione e Steely Dan sono praticamente sinonimi), quel che sorprende davvero è la grinta con cui Rosie si fionda su questa partiture morbide ma tumultuose al contempo, a partire dall’ipnotica doppietta iniziale “Fool’s Paradise”-“Magic Smile”: come se il Lester The Nightfly di Fagen avesse deciso di fumarsi davvero quella Chesterfield di fronte al vecchio giradischi, cedendo per un attimo il microfono a un suo alter ego femminile. È stupefacente l’abilità con cui Vela si cala nelle atmosfere tipicamente fageniane di brani che avrebbero figurato più che degnamente sul capolavoro solista dell’ex-Steely Dan. Prendiamo la struggente “Interlude”, quasi una “Maxine” rediviva, solcata da quell’assolo spacca-cuore di chitarra dal minuto 4, prima che Rosie riprenda in mano il microfono sospinta da quel vortice sinuoso di tastiere che è un po’ il Dna dell’intero lavoro. Tastiere che spingono, avvolgono, quasi soffocano la chanteuse di Galveston, che ammorbidisce ulteriormente le asprezze con le tonalità più basse della sua gamma, mostrando tuttavia di potersi inerpicare sommessamente fino alle vette vocali di “Tonto”.
Sono canzoni ben congegnate, asciutte e raffinate al contempo, sospese tra il synth-pop dominante del decennio e una vena jazzata che affiora costantemente dai dettagli (i cori, i ricami chitarristici, l’andatura sorniona dettata dal drumming). Si susseguono così episodi suggestivi come “Sunday”, “Taxi”, “Boxs”, inframezzati da un uptempo insolitamente scatenato come “2nd Emotion”, che mostra nuove sfumature vocali della protagonista, così come l’ostico commiato della title track, che rinuncia all’orecchiabilità di molte tracce precedenti affidandosi a nervosi intrecci di chitarre e alle cadenze ossessive della batteria.
Quelle di “Zazu” sono principalmente canzoni d'amore – secondo le parole di Vela, “sugli amanti sfuggenti che non si trovano mai” - anche se costruite con un approccio piutosto criptico ed enigmatico che, anche quello, dev’essere piaciuto non poco al duo Fagen-Becker, così come quella copertina dai toni caldi e desaturati, scelta dall’autrice al posto degli scatti glamour di Herb Ritts che A&M voleva usare. Un’immagine sobria, ma capace di mostrare in modo naturale tutta la bellezza di Rosie.
Nonostante le recensioni positive e l’exploit del singolo “Magic Smile” (n.29 della classifica Billboard Adult Contemporary), “Zazu” si è rivelato un mezzo fallimento commerciale negli Stati Uniti, ottenendo migliori riscontri in Europa, in particolare nel Regno Unito, dove ha raggiunto il n.20 della classifica degli album conquistando un disco d'argento ("Magic Smile" è stata anche una hit nella Uk Top 30).
Così, gradualmente, è scivolato nell’oblio: fuori stampa in America e in Europa dall'inizio degli anni 90, il disco è stato però ristampato nel Regno Unito da Cherry Red nel 2011, in occasione del venticinquennale della sua pubblicazione, con un suono un po’ più potente e un booklet contenente alcuni retroscena sulla sua gestazione e alcune foto inedite. Un’occasione per riscoprire tutto il fascino di questi brani senza tempo e della loro interprete, nel frattempo uscita completamente dai radar musicali, se non per qualche collaborazione con l’Electric Light Orchestra di Jeff Lynne, con il quale ha anche avuto una relazione di sette anni. Resterà invece sempre un mistero il presunto capitolo secondo firmato Rosie Vela (“Sun Upon The Altar”), annunciato, registrato ma mai pubblicato dalla A&M.
Ci resta così solo quell’unico, fulminante debutto: un’epifania, come quella occorsa al sottoscritto all’epoca del primo ascolto (grazie alle meritorie frequenze di Aradio Città Uno), e una resurrezione, quella di due irriducibili musicisti contronatura di nome Donald Fagen e Walter Becker. D’accordo, in seguito sarebbero tornati a riunirsi sotto le insegne degli Steely Dan: nel 2000 per registrare proprio “Two Against Nature”, a vent’anni dal predecessore, e tre anni dopo per “Everything Must Go”. Una saga proseguita poi anche dal vivo, anche dopo la scomparsa di Becker, avvenuta nel 2017. Ma, al di fuori dell’attività per i Dan, solo in due altre occasioni i due compari si sono ritrovati negli stessi studi di registrazione in 44 anni: nel 1969 per l’album di Terry Boylan Alias Boona e nel 1973 per il brano “I'll Be Leaving Her Tomorrow” di Thomas Jefferson Kaye. “Zazu” resterà dunque, per tanti versi un unicum. Una visione celestiale (a 33 giri) di incomparabile bellezza.