Questo disco del bluesman Scrapper Blackwell, registrato nel luglio 1961 e pubblicato nel ’62, è l’atto finale di un ottimo musicista che non è mai stato abbastanza valorizzato durante la sua vita. Nel 1961, i fasti artistici raggiunti tra il 1928 e il 1935 come membro del famoso duo creato insieme a Leroy Carr (pianoforte e voce) erano già lontani nel tempo.
In modo analogo, i pregevoli singoli incisi come solista nello stesso periodo non avevano trovato un apprezzabile consenso tra il pubblico. Ciò portò Blackwell a ritirarsi al termine del 1935, dopo essere stato tra gli assoluti protagonisti della prima, straordinaria, ondata di blues urbano maschile nella storia di questo genere musicale.
Il suo ritorno sulle scene avviene più di venti anni dopo, nel 1958, in occasione del revival folk e blues che contribuirà ad aprire nuove epocali strade alla musica moderna. In seguito a qualche registrazione interessante, nel 1961 arriva a realizzare il 33 giri “Mr. Scrapper’s Blues”.
Fin dall’inizio della sua carriera Francis Hillman “Scrapper” Blackwell (1904-1962), era stato uno dei maggiori virtuosi della chitarra blues, rimanendo poi legato per sempre a questo strumento nella sua versione acustica. Il suo è un fingerpicking di classe, ottenuto forzando le corde senza compromettere la pulizia del suono né l’agile susseguirsi delle note che accompagnano il canto. Il musicista punta sull’eloquenza incontrovertibile di fraseggi nitidi e ricchi di inventiva, dal gusto piacevolmente complesso. Nella sua chitarra troviamo ritmo e melodia in parti uguali e in ammirevole dialogo tra loro, segnale evidente della tipologia di blues alla quale faceva riferimento il suo stile personale: l’East Coast blues (sottoinsieme del country blues).
Già ai tempi dei successi raggiunti insieme a Leroy Carr, infatti, Blackwell predilige questa variante espressiva del country blues, che si basava sulle influenze esercitate dal ragtime e dal folk sul blues che all’inizio del ‘900 andava diffondendosi nell’area compresa tra la Georgia e la Virginia. Ciò diede forma a un blues dal suono dinamico, meno denso, teso e cupo rispetto a quello sviluppatosi a ridosso del Delta del Mississippi. Una modalità interpretativa che, precedentemente diluita dal pianoforte di Carr, riemerge brillantemente nelle linee chitarristiche che Blackwell esibisce in questo Lp da solista.
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“Mr. Scrapper’s Blues” si apre con un pezzo originale (“Goin’ Where The Monon Crosses The Yellow Dog”), perfetto esempio di questa declinazione di blues sviluppatasi nel Sud-Est degli Stati Uniti. Rimanendo nel solco della tradizione blues per quanto riguarda la struttura (strofa-strofa-ritornello), la canzone mette in luce i due elementi sonori principali dell’Lp. Il primo è l’attacco metallico e asciutto della chitarra acustica di Blackwell: tutt’altro che freddo o meccanico, esso risulta al contrario molto coinvolgente e pervaso delle tonalità sonore anni 30 che dominano la sua musica. Da segnalare l’aggiunta di riff melodici sempre legati al blues e inseriti nell’accompagnamento per impreziosire le transizioni tra ritornello e strofa successiva. Sono colpi da maestro innestati nella continuità creata dall’efficace arpeggio del musicista, sempre in convincente equilibrio tra tecnica e intelligenti suggestioni melodiche. Il secondo elemento è rappresentato dalla voce, tenue, ma decisa, che porta con sé i segni di un duro vissuto personale, senza tuttavia perdere la sensibilità che ne è sicuramente il tratto distintivo. Ritroveremo lungo la tracklist del disco altri affascinanti blues organizzati in maniera lineare e diretta (strofa-strofa-ritornello) che condividono le stesse caratteristiche del pezzo appena descritto: “George Street Blues”, “Blues Before Sunrise”, “Shady Lane” (forse il vertice qualitativo dell’album) e “Penal Farm Blues”, tutte tratte dal periodo del duo con Carr.
La formazione giovanile di Blackwell aveva compreso anche altri generi musicali, ai quali era stato esposto a Indianapolis (città nella quale trascorse buona parte della gioventù). Per questo motivo il disco si concede alcune circoscritte, ma notevoli, escursioni verso altri ambiti musicali tradizionali: il folk blues, il già citato ragtime e il vaudeville. A distinguersi in questo senso è proprio un brano di matrice vaudeville (il pop di inizio ‘900) reso famoso da Bessie Smith nel 1929: “Nobody Knows You When You’re Down And Out”.
Attingere di tanto in tanto a classici provenienti dal vaudeville, adattandoli al proprio stile, era una pratica non sconosciuta per i bluesmen degli anni 20 e 30. Qui, le morbide melodie di strofa, bridge e ritornello sono mantenute intatte, benché filtrate dall’andamento blueseggiante dell’accompagnamento chitarristico.
“Little Boy Blue” è invece un delizioso tributo al folk blues, altra componente della formazione di Blackwell. La costruzione blues del brano, di per sé regolare (introduzione-strofa-ritornello), è arrangiata in maniera ritmata, disinvolta e celere, proprio per ricreare le atmosfere di certo folk tradizionale americano. In “Little Girl Blues” (un blues dalla struttura classica scritto per questo Lp) troviamo Blackwell al pianoforte, oltre alla voce, circostanza che dimostra la versatilità del musicista dell’Indiana. La sua esecuzione al piano non è qualitativamente paragonabile a quella conseguita alla chitarra, tuttavia, la canzone costituisce una variazione molto piacevole e ben riuscita nei suoi colori malinconicamente sensuali.
A completare l’album sono due strumentali: “A Blues” e “E Blues”. In essi il chitarrista mette in mostra la sua limpida tecnica senza usare la voce, parlando attraverso le corde del suo strumento con eloquente immediatezza. Egli rievoca così passaggi chitarristici coinvolgenti che ribadiscono esplicitamente le influenze che il ragtime ha avuto sull’East Coast blues. Blackwell aveva già utilizzato nella prima parte della sua carriera molti dei virtuosismi blues che sono finalmente liberi di dispiegarsi senza vincoli di tempo in queste due composizioni originali.
I testi del disco (che dura circa quarantacinque minuti, suddivisi in dieci brani) appartengono alla tradizione del country blues ed espongono diverse avversità inerenti la vita di coppia e il denaro. In questo 33 giri le parti cantate, in maniera abbastanza insolita, occupano meno spazio rispetto a quelle strumentali, lasciando che l’ascoltatore possa riflettere, trasportato dalle note dei protratti commenti musicali (talvolta un po' troppo prolungati, ma sempre ben gestiti).
Gli assoli, distribuiti per tutto l’Lp, si basano su note singole, che rimangono sospese per un attimo nella loro intensità, tornando subito dopo a dipanarsi lungo le suggestive e sinuose strade tracciate dal fingerpicking di Blackwell.
“Mr Scrapper’s Blues” è la testimonianza migliore di questo bluesman nella sua versione solista, la cui carriera sarà bruscamente interrotta da un colpo di pistola ricevuto durante una rapina nel 1962 (l’anno stesso di pubblicazione dell’Lp). Spentosi il rimbombo della detonazione che lo ha strappato a ulteriori registrazioni, rimane nell’aria l’eco emozionante del lavoro che abbiamo presentato. Un disco che sembra raccontare all’ascoltatore, con mesta sincerità, quanto questo artista avrebbe dovuto essere maggiormente apprezzato mentre era ancora in vita: abbiamo oggi la possibilità di rimediare con questo ascolto.
23/06/2025