Mentre negli Stati Uniti impazza la febbre populista del Southern rock e in mezza Europa il progressive affoga in un mare di autoindulgenza, in Germania, fino ad allora non proprio la Mecca del rock, un plotone di audaci sperimentatori porta avanti l’utopistica idea di una musica libera da schemi precostituiti, che sia finalmente in grado di superare gli angusti confini del tempo e dello spazio. Questi musicisti ormai da un lustro stanno dando vita all’esperienza kraut-rock, che negli anni passerà alla storia come una delle avanguardie musicali più importanti del secolo scorso. “Tarot” è il segreto meglio custodito di quella irripetibile stagione, mirabile riassunto di tutte le esperienze fatte dai corrieri cosmici. Non a caso, al disco partecipa la crema del nuovo rock tedesco: Klaus Schulze, il tastierista cosmico per eccellenza; Manuel Gottsching e Mr. Wah wah Hartmut Enke, il divino tandem chitaristico degli Ash Ra Tempel; Jerry Brekers e Jurgen Dollase, già collaboratori di Sergius Von Golowin, l’altro pazzoide del rock tedesco. A dirigere il tutto c’è il pittore svizzero Walter Wegmuller, singolare figura di freak flippato sulla via dell’acido lisergico, sensitivo, mezzo veggente, appassionato d’occultismo e sensibilmente fuori di testa.
Disco “off” per eccellenza, “Tarot” è un concept-album sui ventidue arcani maggiori dei tarocchi, dalla durata sconfinata (per gli standard dell’epoca poteva tranquillamente essere un album triplo) e intriso di fascino perverso. A riprova della singolarità del progetto, all’edizione originale del disco erano accluse le 22 carte dei tarocchi dipinte dallo stesso Wegmuller.
Da un punto di vista musicale, lo spettro sonoro del disco è davvero sconfinato: si passa con estrema nonchalance dalla musica psichedelica estrema in stile Agitation Free alle visioni in acido degli Amon Duul II, dai vortici cosmici dei Tangerine Dream alle pulsioni elettroniche dei Neu!. Nonostante questo diluvio di influenze, la musica scorre fluida, senza fratture, in quello che può essere considerato un viaggio musicale senza inizio né fine. In linea di massima, le tastiere di Klaus Schulze e Jurgen Dollase forniscono lo scheletro dei brani, sul quale si inseriscono la chitarra metafisica di Gottsching e quella sempre sul filo della distorsione di Enke, il primitivismo percussivo di Brekers e la catacombale voce di Wegmuller.
Il primo disco si apre con la jam rock-blues di “Der Naar”, dove Wegmuller, come ogni Anfitrione che si rispetti, ci presenta i suoi compagni di viaggio. In “Der Mager” le vorticose tastiere di Schulze e Dollase creano abissi di angoscia, in un rituale esoterico privo di qualsiasi schema temporale. Un ipnotico bordone d’organo ecclesiastico accompagna “Die Hohepriesterin”, angosciosa discesa nei labirinti della coscienza con il canto catatonico di Wegmuller a dare un senso di profonda inquietudine.
L’intermezzo onirico di “Die Herrscherin” stempera per un attimo la tensione grazie alla liquida chitarra di Gottsching, che si muove sicura su un tappeto di percussioni tribali. “Der Herrscher” offre uno dei momenti più convenzionali, si fa per dire, dell’album: le chitarre macinano accordi blues distorti che rimandano al sound degli Ash Ra Tempel, adeguatamente sostenute dalla pulsante sezione ritmica.
La ballata folk “Der Hoheperiester” si affida a una placida introduzione pianistica, per poi svilupparsi intorno al sognante andamento del flauto di Westurpp e all’arpeggio dell’acustica di Gottsching. “Der Wagen” è probabilmente il capolavoro della prima parte: un baccanale ossessivo sulla scia degli Amon Duul, quelli duri e puri, di “Psychedelic Underground”; la ritmica propulsiva non concede tregua, le monumentali tastiere della premiata ditta Schulze-Dollase si lanciano in voli spaziali di inquietante classicità in un crescendo che lascia davvero attoniti.
Ascoltare la spettrale “Die Gerechtigkeit” è come partire per un viaggio oscuro nei recessi della mente: il martellante synth di Schulze crea masse sonore di angosciante ripetitività e funge da sottofondo ideale per i deliri del sempre più spiritato Wegmuller. Poi, come se niente fosse, l’angoscia si scioglie nel romantico tema di “Der Weise”, che a sua volta, a riprova dell’incredibile varietà stilistica del disco, si fonde alla perfezione con il collage rumoristico di “Das Glucksrad”, deflagrante esplosione di suoni provenienti da altri mondi.
Il secondo disco è, se possibile, ancora più folle; a cominciare dalla trance elettronica di “Die Prefung”, dove stridori metallici si uniscono a voci ancestrali, in una spirale sonica che travalica le leggi spazio temporali. In “Der Massigkeit”, il duello all’ultimo sangue tra le chitarre sature di Gottsching e Enke e le magniloquenti tastiere di Dollase va a formare un ibrido maestoso di musica “totale”. In “Der Teufel” torna a far capolino il lirico flauto di Westurpp che pennella dolci ricami, su un tappeto sonoro costituito dall’acustica di Gottsching che si lascia andare ad arpeggi dal vago sapore mediterraneo.
I musicisti coinvolti nel progetto raggiungono i limiti delle loro straordinarie capacità espressive nell’ideale quarta facciata di “Tarot”, composta da 5 brani che si intersecano l’uno con l’altro andando a formare un’incredibile suite: 22 indescrivibili minuti di libera improvvisazione lisergica, stati mentali che si sovrappongono, coscienze che esplodono e lucidissima follia. Un allucinante e demoniaco rituale di purificazione.
“Tarot” rimarrà l’unico disco di Walter Wegmuller, ma tanto basta: gli saremo sempre grati per averci donato uno dei dischi più assurdi di sempre, nonché preziosa testimonianza di un’esperienza fondamentale come quella dell’etichetta Die Kosmischen Kuriere che, pur avendo avuto vita breve, ha segnato una tappa decisiva nell’evoluzione della musica rock.