Alcest

Alcest

Oscurità convertita alla luce

Dagli esordi irruenti come side-project della band Peste Noire al successo delle opere più adulte e contemplative. La storia di Stéphane Paut (o Neige), lo sconosciuto ragazzino d'oltralpe che ha reso possibile un sorprendente matrimonio tra black-metal e shoegaze

di Mauro Roma, Andrea Vascellari

Gli Alcest nascono nel 2001 come progetto parallelo della band Peste Noire: erano in origine un trio, cui Neige (Stéphane Paut) prestava voce e percussioni. La loro prima opera è il demo Tristesse Hivernale, contenente quattro ingenue canzoni speed/black metal con un irritante cantanto growl registrato in bassissima fedeltà (l'opera, originariamente prodotta solo in cassetta, verrà ripubblicata nel 2007 in uno split con gli Angmar).

Il progetto viene accantonato subito, e solo nel 2005 Neige riesumerà il moniker Alcest che di lì in poi sarà, di fatto, la sua one man band
Le Secret è dunque un nuovo inizio: composto da due sole lunghissime canzoni, l'Ep si caratterizza per i continui cambi di atmosfera. Le esplosioni metalliche più tradizionali si alternano sempre a momenti di raccoglimento arpeggiati (notevole la costruzione circolare della title track, che si apre e si chiude con lo stesso arpeggio accompagnato da cinguettii di sottofondo).
Sebbene alcuni momenti potessero essere senz'altro limati, Neige dimostra di aver imparato bene la lezione di "Loveless" quando crea ripetitivi e ipnotici muri di distorsioni.

Il 2007 vede la pubblicazione di Souvenirs d'un Autre Monde, con cui Alcest regala finalmente non più piccoli squarci, ma un'intera collezione di istantanee del suo mondo carico di spleen, rinunciando del tutto ai residui estremi, per dedicarsi esclusivamente a una forma rivitalizzante di shoegaze magico e naif, di devastante potenza emotiva. Strati su strati di chitarre accolgono l'ascoltatore con una intro maestosa e articolata, poi un breve intervallo acustico, vociare di bambini, ed ecco che "Printemps Emeraude" esplode in un accecante trionfo di colori, in una melodia strappacuore, in un muro di suono che vola ad altezze irraggiungibili.
Canzoni lunghe, passo tranquillo e sicuro, Neige sa prendersi tutto il tempo necessario per permettere ai suoi affreschi di colpire con tutto il loro potere evocativo. La title track si apre con un rassicurante arpeggio acustico, per poi premere di nuovo sul pedale del distorsore e scodellare un'altra indimenticabile melodia e un altro muro di chitarre infuocate di passione. "Les Iris" rallenta ulteriormente il passo, l'umore si fa meno sorridente e più meditativo, le chitarre sembrano tremare di ricordi infelici. Eppure il canto di Neige resta leggero come una piuma anche quando, nel finale, si ritrova immerso in arrangiamenti spaziali e tumultuosi. 
A dominare, infatti, è pur sempre la dolcezza, che pervade tanto gli scenari assolati e bucolici, sebbene intrisi di infinita maliconia, di "Ciel Errant", quanto il romanticismo disperato della straordinaria "Sur l'autre rive je t'attendrai", dove la voce femminile (di Audrey Sylvain) dona ulteriore purezza alle ariose melodie dipinte da Neige.
"Tir nan Og" chiude l'opera in toni giocosi da "sera del dì di festa", almeno finché una pensosa parentesi acustica incupisce leggermente l'atmosfera. Ma il finale riprende il volo leggerissimo che conduce, in dissolvenza, verso l'uscita dal sogno ovattato a cui Neige ha dato vita.

Due nuovi magnifici brani, contenuti nell'Ep Split con Les Discrets, mostrano interessanti appendici alle trame sognanti del debutto (e "Percées De Lumière" torna a innestare in primo piano un feroce screaming).

Guidato dai raggi lunari, da brezze e maree notturne, il secondo album prende le distanze da "Souvenirs D'un Autre Monde": il tono si è fatto nettamente più adulto, e amaro. Écailles De Lune è un'opera raccolta attorno all'imponente title track, che, divisa in due parti, occupa i primi venti tumultuosi minuti dell'album.
Si avverte subito lo slittamento dai toni fiabeschi e incantati del debutto verso una ben più concreta frustrazione, la malinconia di Alcest si fa sanguigna e viscerale. Non perde tempo e grida subito al cielo buio il primo memorabile, disperato riff. Il cammino melodico prosegue intenso tra pause, divagazioni, ripartenze, con l'ennesimo devastante riff a chiudere la prima parte e il furibondo inizio della seconda parte (torna anche il canto in screaming) a costituire i momenti più trascinanti. Così come nella straordinaria "Percées De Lumière", già edita come singolo nello split con Les Discrets, che irrompe col suo pulsante incedere tra indie-wave metropolitana e lancinante furia black, come da lezione dei favolosi e compianti Amesoeurs, la band che parallelamente ad Alcest ha reso il mastermind Neige uno dei nomi più in vista nelle moderne evoluzioni metal. 
Passata la prima metà, l'album sembra però perdere la sua spinta propulsiva. Scorrono così le incolori armonie pop in slow motion di "Solar Song" e il disco si spegne nella cullante "Sur L'océan coleur de fer", ottima musica ma incapace di recuperare la consueta, genuina magia e andare oltre l'esercizio di stile.
Un album dilaniato tra contemplazione e passioni furiose e insoddisfatte, un album di contrasti violenti e inconcludenti. Il piccolo Neige è diventato grande, guarda la luna, il mare e desidera ancora una volta elevarsi verso un altro mondo ma ormai il tempo dei sogni è passato. Restano solo la nostalgia e il desiderio.
Écailles De Lune non rinnova i fasti di Alcest, ma ne mostra il lato più umano.

Chi si aspettava qualche innovazione da parte di Neige non può che rimanere insoddisfatto dall'ascolto di Les Voyages De L'Âme, terzo full length nel quale il polistrumentista francese non fa altro che continuare la tessitura di trame sognanti iniziata nel 2005. Vi si ritrova la stessa epica malinconia, creata grazie a distorsioni stratificate, e le variazioni sul tema principale sono quasi sempre affidate alla batteria di Winterhalter. L'aggressività e lo screaming di "Là Où Naissent Les Couleurs Nouvelles" e "Faiseurs De Mondes" sono gli ultimi retaggi delle radici metal, di cui quest'opera sembra segnare il progressivo abbandono in favore delle melodie eteree e meditabonde.
Canzoni come "Nous Sommes L'Emeraude" o la stessa title track sono quasi dream-pop mascherato con distorsioni, melodie semplici e melliflue vicine agli Slowdive la cui bellezza sta tutta negli strati sonori sovraincisi uno sull'altro. 
Pur avaro di novità, Les Voyages De L'Âme è un buon album che conferma definitivamente Alcest quale uno dei più affascinanti esponenti di shoegaze contemporaneo.

Neige ha ormai completato la trasformazione sonora che aveva intrapreso; allontanandosi sempre di più dalle sue radici black metal e “purificandole” dentro una nuova forma eterea, astratta dai toni più vicini a uno shoegaze solare. L’artista francese tesse trame oniriche in maniera sempre più stratificata, portandoci a un senso di vuoto, di vacuum emotivo che raschia via le ultime pelli morte di malinconia ed epica aggressività che caratterizzavano il suo disco precedente.
Un sole visto a occhi spalancati,  durante una danza meditativa o un momento di tragico raccoglimento, Shelter (2014) è un rifugio dalle ombre e dalle forme complesse, una pianura verdissima che confina con un cielo altrettanto puro e imperfetto. Qui l’ascoltatore può trovare un piacere nell’immobilità o trarne la sua decadenza. Una decadenza ambigua, che si delinea al cospetto di una luce fredda e perfetta, naturale creatura della produzione di Birgir Jón Birgisson, produttore dei Sigur Ròs, che lascia spazio a un’atmosfera acustica e veramente intimista nella candida “Away” in cui troviamo la voce di Neil Halstead degli Slowdive. È questo un momento di rara poesia che si infrange con una superficie forse troppo liscia e levigata, che non comunica niente al di fuori di un’immagine idilliaca di protezione ed equilibrio.
Il singolo “Opale” come le successive “La nuit marce avec moi” e “Voix sereines” sono cristalli perfetti di suono riverberato, in cui la luce segna traiettorie circolari velocissime e precise, tra uno shoegaze albeggiante e uno spettro metal, del tutto rarefatto, che costruiscono alti palazzi di vetro. Peccato che rimangano asettici giochi di maniera, come la title track o la lunga e conclusiva “Delivrance”, che mostrano una produzione e arrangiamenti splendidi nel senso più luminoso del termine, peccato che oltre quella luce non si riesca a cogliere un’umanità, una poesia toccante.
Forse è la perdita del lato più inquieto e cupo della musica di Neige ad averla privata del fascino che la circondava e della forza emotiva che riusciva a interpretare. Un “forse” che sembra ormai una certezza.

Nell'autunno 2016, però, gli Alcest tornano sui loro passi e con la nuova uscita segnano un piccolo cambiamento. Mantenendo il loro trademark dolceamaro, ma tornando su sonorità più elettriche e distorte. Il disco si intitola Kodama, in riferimento agli spiriti che abitano gli alberi nel folklore giapponese e per rappresentare il concept del conflitto fra l'uomo moderno e la natura, conflitto rappresentato anche dal film d'animazione "Princess Mononoke" di Hayao Miyazaki che Neige ha citato come forte fonte d'ispirazione per le tematiche del disco.
Le chitarre pennellano sfondi sonori che sostengono le atmosfere oniriche, efficaci proprio per il contrasto tra la melodiosità e le chitarre distorte, che lasciano poi spazio a digressioni placide in cui timidi contrappunti sonori impreziosiscono i brani.
Fin dall'iniziale title track il gioco tra dolci fraseggi chitarristici, riff più aggressivi e momenti meditati rivela un'attitudine tutto sommato prevedibile ma di cui gli Alcest sono indiscutibilmente maestri sulla piazza attuale.
Le linee vocali sono ridotte all'essenziale, e colpisce più il "non detto" che il detto, per dirla alla Saint-Exupéry. Il secondo brano "Eclosion" invece le impiega per amplificare il gioco di contrasti del gruppo francese, inizialmente lasciando che siano dolci fraseggi di chitarra a portare avanti il "dialogo" con l'ascoltatore, per poi far subentrare il duetto fra tenui nenie di voce femminile di Kathrine Shepard e lo screaming di Neige.
"Je suis d'ailleurs" è il pezzo più aggressivo del lotto, con bassi accattivanti e melodie di chitarra abrasive che esplodono in una sezione centrale che è il momento più vicino alle loro lontane origini black-metal. Per contro, le successive "Untouched" e "Oiseaux de proie" amplificano i muri distorti eterei su cui si adagia la voce di Neige, impegnata in un crooning viscerale e commovente, mentre la batteria si avvicina a ritmiche quasi tribali che rappresentano appieno il tema della natura e dell'umanità più primitiva.
"Onyx", infine, è il pezzo più cupo di tutto il lotto, con un basso cavernoso e angosciante, ed è anche il più breve: poco meno di 4 minuti in cui si assiste alla ripetizione dello stesso motivo. L'atmosfera generata da questa outro è di pessimismo, ma anche di consapevolezza: un invito a non perdere il contatto né con la natura né con l'umanità, e quindi, forse, uno stimolo positivo per l'ascoltatore.
In definitiva, Kodama suona più coeso e incisivo del predecessore, ha un songwriting vivo e ispirato, ma non aggiunge nulla di nuovo. Una gradita conferma per i fan del gruppo, ad ogni modo.

Gli Alcest targati 2019 riescono a restare sospesi tra un nuovo corso più accessibile e alcune folgoranti intuizioni legate alla fase più florida della loro carriera. Spiritual Instinct, uscito per Nuclear Blast, è senza dubbio il loro miglior album degli ultimi sette-otto anni, un prodotto che ovviamente va apprezzato al di là di un chiaro e delineato genere di riferimento, proprio alla luce di una commistione di varie influenze (di matrice post-rock, shoegaze e black metal) che finalmente ha raggiunto il bilanciamento perfetto. I francesi hanno finalmente ritrovato la loro dimensione, recuperando in parte le radici black (lo screaming di Neige, sempre alternato alle preponderanti clean vocals) e uno spirito più malinconico e ancestrale.
 
Contributi di Michele Guerrini ("Shelter"), Alessandro Mattedi ("Kodama"), Paolo Chemnitz (Spiritual Instinct)