Cranioclast

Cranioclast

Siderurgia post-industriale

L’analisi chimica e quantometrica, la composizione molecolare, la matrice ferritica, le percentuali di carbonio e gli elementi impuri, nascosti all’interno dei perversi, malsani e oscuri lavori del misterioso ed enigmatico duo tedesco di Hagen

di Massimiliano Mercurio

Il bacino carbonifero della Ruhr è uno dei più rilevanti poli industriali e siderurgici di tutto il pianeta Terra. Non è una casualità, quindi, che una delle più importanti espressioni mondiali del palcoscenico post-industrial venga da queste grezze, operaie e laboriose zone geografiche.
Si chiamano Cranioclast: un duo tedesco formatosi nella città di Hagen nei primissimi anni Ottanta e che deve (forse) il nome a quello strumento chirurgico simile a una pinza.
In un paese, dove la NDW (Neue Deutsche Welle) è già nata e procede a ritmi vertiginosi, dove la fredda elettronica dei Kraftwerk sembra essersi esaurita, e il kraut-rock è in una fase di relativa calma, ecco spuntare marginalmente e in punta di piedi tutta una serie d’artisti dal piglio sperimentale e d’avanguardia, che finiscono col proporsi come valide e autorevoli alternative ai maestri inglesi, quali Throbbing Gristle e Zoviet France.

Una di queste alternative sono appunto i Cranioclast che, assieme ai Das Synthetische Mischgewebe, Gerechtgkeits Liga, HNAS (Hirsche Nicht Aus Sofa), Asmus Tietchens, P16.D4, Die Tödliche Doris e molti altri, rappresentano al meglio quel fatiscente scenario che in seguito prese il nome di NDPA (Neue Deutsche Post Avantgarde); scena musicale teutonica che finì addirittura per dare il titolo a una famosa compilation dell’epoca.
Nulla, o quasi, si sa dei due membri, nemmeno le generalità anagrafiche. Tutto è avvolto nel mistero. Un alone enigmatico li accompagna, basti pensare solamente che quasi tutti i loro lavori, nonché i nomi dei nostri due artisti (Sankt Klario e Soltan Karik) sono anagrammi delle parole Cranioclast e Kranioklast, quest’ultimo nientemeno che il nome utilizzato agli esordi per i primi album.
Hagen è una piccola cittadina posta ai margini della Ruhr e dal polo siderurgico, ma questa distanza non sembra sentirsi affatto, tanto che, in quasi tutta la discografia dei Cranioclast, sono forti le presenze di corpose matrici di leghe ferrose e impurità sparse di metalli più o meno nobili. Per agevolare la separazione delle leghe ferrose dalle impurità, facendo un giochino d’associazione per l’intera opera del duo, potrebbe quasi tornare utile il diagramma di stato Fe-C (ferro-carbonio) tanto usato nella metallurgia e siderurgia industriale: a grandi linee, spiega il comportamento chimico e microstrutturale della lega binaria Fe-C in relazione all’aumentare della temperatura e del tenore di carbonio.

La matrice ferritica: acciai e ghise

Questa storia comincia nel 1982: una prima uscita in vinile – ormai introvabile e per pochi eletti - intitolata Romatisch & Zartlich/Neurotisch & Exzessiv; in cui brevi passaggi letterari di Kafka e Büchner, servono da accompagnamento per quattro tracce dalle sonorità sperimentali.

Tre anni di silenzio, dopodiché, arriva finalmente il gran debutto con Koitlaransk & Ration-Skalk; nonostante siano due uscite differenti – Ration Skalk è un live tape che veniva offerto assieme - la loro unione non è casuale, anche perchè circa dieci anni dopo, il musicista fiorentino Luciano Dari, attraverso la propria etichetta Musica Maxima Magnetica, li ristamperà entrambi in un unico compact disc.

 

Amplificata centomila volte, la divisione delle cellule animali rumoreggia come un mucchio di travi e lamiere d’acciaio fatte a pezzi. Sembra un incidente automobilistico al rallentatore…
(J.G. Ballard)

 

Fortemente ispirato dalle letture ballardiane, tanto che nel booklet della ristampa sono presenti numerose citazioni dello scrittore britannico, Koitlaransk & Ration-Skalk è ciò che per definizione si chiama ghisa.
È un album tenebroso e cavernoso, una fusione dal peso specifico elevato, dovuta alle forti percentuali di carbonio: lingotti di ghisa sferoidale bonificata che solidificano dopo violente cristallizzazioni isotropiche.
Un disco profondo e opprimente; la mancanza d’interruzioni fra un brano e l’altro provoca una totale assenza d’ossigeno. Segnali di metallurgia arcaica e primordiale si mescolano a vibrazioni amplificate di tondini cromati; elettroni che fuoriescono dalle proprie ellittiche orbite per poi rientrarci dopo alcuni nanosecondi sprigionando deflagrazioni molecolari e subatomiche fra gli interstizi dei grani metallici.
Ferro e carbonio che nuclearizzano disponendosi su celle esagonali corpo centrato, fino a raggiungere il punto eutettico del composto binario. Un’acciaieria trasformata in cattedrale gotica; un granitico monolite post-industrial: tutto questo è condensato in Koitlaransk.

Appena un anno dopo giunge Kolik-San-Art, dove la matrice "ferritica" è sempre presente, all'interno di un album complesso e di difficile assorbimento.
Sembra una di quelle fusioni venute male, nella quale la dimensione grano eccede lo standard d’accettabilità, per cui la lega andrebbe – in teoria - scartata e quindi rifusa: è come se si fosse voluto sperimentare uno di quei nuovi processi produttivi di fusione dosando con molta cautela le giuste proporzioni dei due metalli.
Kolik-San-Art è un disco bizzarro, urticante e sconclusionato. Viaggia tra elettronica minimale Minny Pops e isterismi acidi alla Nurse With Wound. È un pianoforte che cerca la fuga tra percorsi intermetallici e intergranulari (“The Birds Brought Water In Their Beaks Into The Temples”); è technoide (“Chambre Des Cauchemars Monsieur Zann's Final Chamber Transformation”) e folkeggiante (“Les Voix Emurants Parlent Dans Les Débris De Tiffauges”), futuristico ed elettromagnetico (“Ray Treatment”) con sfumature da misticismo del sol levante (“The Madonna Lost Her Face In The Acid Bath Les Chants De Trois Frères”), nonché viscido e sgusciante (“Strategies Of Truth”). La sua schizofrenica dark-ambient (“De/Camuflage”) finisce per trasformarsi in una lega di fusion-industrial, arrivando a sfiorare quasi le coordinate di una dronica lounge-music (“Catch A Fading Polaroid And Put It In Your Pocket”).
Kolik-San-Art è una di quelle leghe che vanno realizzate in condizioni di temperatura e pressione controllate. È un mosaico raffigurante migliaia d’avvoltoi che volteggiano sopra la più oscura e profonda miniera di carbone nell’attesa dell’uscita degli stremati minatori. Pochissimo dramma, ma tanta malattia e caos.

Il percorso che porta alla realizzazione dell’acciaio fortemente legato Iconclastar si snoda attraverso due leghe dal basso tenore di carbonio: il full-length Lost In Karak e il breve album – un 12” - Rats Can Coil Cats Can Roil.
Il primo – siamo ancora nel 1988 – è musica che brucia, e sembra provenire direttamente dall’altoforno. Un crogiuolo di schizzi incandescenti di ferro fuso da trafilatura si alternano a oscuri e latenti droni da siderurgia industriale d’inizio secolo scorso. Velati rintocchi di ritual-industrial inquietano tanto quanto una prima visione del “Nosferatu” di F.W. Murnau. Lost In Karak tuttavia risulta statico: è come se l’acciaio fosse stato sottoposto a quello che tecnicamente viene chiamato trattamento termico di distensione.

Due anni più tardi pubblicano Rats Can Coil Cats Can Roil, che risulterà la loro ultima uscita per la CoC (Coitras Clan): a tutti gli effetti l’etichetta creata qualche anno prima dal duo tedesco. Due tracce compongono il disco: “Rats Can Coil” è una sorta d’industrial minimale, una corrente alternata pulsante e martellante, squarciata da qualche accenno di voce distorta, demoniaca e robotica da “Hellraiser”; “Cats Can Roil”, invece, è composta strutturalmente da una tetra matrice di perlitica ambient o da grezza sala macchine navale in stile “Mohnomishe” degli Zoviet France.
L’anticipazione della monumentale opera di Iconclastar è un glaciale e gelido isolazionismo.

Composta in un solo anno, Iconclastar è un’opera voluminosa e avvolgente, resistente alle elevate temperature: una sorta di stampo ceramico che tanto viene usato nelle piccole microfusioni in campo aeronautico e aerospaziale, e nel quale all’interno viene colata la lega fusa. Undici icone da distruggere, per undici brani di undici minuti ciascuno, suddivisi in due cd (con colori delle copertina ed etichette diverse). C'è un filo rosso a unire il percorso: i Cranioclast, infatti, scindono a metà l’ultima icona del primo volume per poi farla proseguire come prima nel secondo (“Onezerooneone”). E in entrambe le parti – sia Green che Blue - è forte la presenza dei cupi scenari fantascientifici prodotti dalla mente di J.G. Ballard.
Un drone lungo e cavernoso apre l’opera (“Condom”): la porta d’ingresso per evoluti stati metafisici e paranormali. Presenze di metalli nobili quali il cobalto e il vanadio si dispongono su linee preferenziali conferendo tenacità e durezza alle lamiere d’acciaio. Pulsanti dosi di radiazioni gamma fuoriescono da microscopiche particelle d’isotopo iridio192 (“Radar Bowl”, “Antibody”) e violentissime scariche di frequenze industrial/noise creano, all’interno della lega, strutture aciculari e amorfe dovute a un repentino e brusco raffreddamento: una sorta di tempra a induzione, immersa in un bagno d’azoto liquido.
Field-recording fotoluminiscenti e droni sinterizzati si accorpano con ferraglie nitrurate in un’atmosfera elettromagnetica satura d’atomi di carbonio puro (“Astronaut”), cementando così lo strato superficiale.
L’ultimo lavoro sulla lunga distanza dei Cranioclast è ricolmo d’austerità, di dark-ambient spettrale e siderale: che siano stati loro - e non Lustmord come si legge da più parti - a influenzare i connazionali Inade fornendo loro le giuste coordinate sonore?

Le impurità di lega: zolfo e silicio

Nella fusione di lega binaria ferro-carbonio è pressoché impossibile trovare solo questi due elementi. In piccolissime quantità, spesso si riscontrano - dopo accurate analisi chimiche e quantometriche – elementi impuri e instabili che possono danneggiare le caratteristiche meccaniche della lega finale. Fra i tanti metalli, quelli incriminati sono lo zolfo e il silicio, riscontrabili nella maggior parte dei casi sotto forme di silicati e carburi.
Attenzione: in metallurgia quelle due forme di composti sono pericolose, quindi questa relazione non si può attuare all’interno della discografia Cranioclast, tanto da essere una componente del tutto inaspettata e spiazzante.

L’inquietante e sulfureo approdo all’etichetta italiana di culto ADN (Auf Dem Nil) avviene nel 1987 con la cassetta Cris Con Tala. L’uso del latino per le due lunghe tracce (“Somnii Palus”, "Vanorum Mare”) accentua l’atmosfera universale e solenne – vedi riferimenti al collettivo degli Autopsia - di questo piccolo e oscuro gioiello. Primordiale dark-ambient, riti pagani e macabra ritualità Zero Kama avvolgono questo blasfemo manoscritto medievale dalle scritture gotiche.
Cavalieri templari, chiese sconsacrate, stridori di lame insanguinate – chi si ricorda “Blind Knives” dei Last Few Days capirà – graffianti noise che sembrano provenire da un malconcio theremin, e celestiali echi, misti a demoniache saette, accompagnano le anime dannate verso il peggiore inferno dantesco, immaginato come un lungo viaggio tra le tumultuose e color rosso sangue acque dello Stige.
Un disco fondamentale: una delle poche pietre miliari dark-ambient che possono vantarsi di questo titolo.

Se lo zolfo è la componente impura di Cris Con Tala, il silicio invece lo è di tutti gli altri piccoli album rilasciati in seguito: A Con Cristal, Can I Talk Or…, L.K.A. Sonar Kit e Carl’s On Acit.
Il silicio o silice, solitamente viene associato alla caratteristica abrasiva della sabbia, che può essere più o meno scorticante secondo il grado di granulometria. A Con Cristal esce nello stesso anno di Cris Con Tala; probabilmente in quei mesi il duo tedesco volle sperimentare nuove sonorità. Così in un attimo si passa dalle oscure note dark-ambient a quelle tribali e industriali, in altre parole: sentori da grezza officina meccanica, scalpellini pneumatici e isterici miagolii felini (“Breakthrough”), mentre rumoracci di carpenteria e cancelli in costruzione aprono le porte elettroniche della sala controllo di un’astronave aliena (“Beachcombers”).

Dieci anni più tardi – a nome Kranioklast – rilasciano, per una piccola etichetta polacca (Sonaria), Can I Talk Or…. Abrasiva elettroacustica minimale, manipolazioni elettroniche da perforazione lobo-temporale: una tortura cinese, pulsante e corrosiva (“Honey For The Bees”); dove c’è perfino spazio per sonorità psyco-folk dalle tinte magrebine (“No Caveman Bites The Dog”).

L.K.A. Sonar Kit (Drone Records) suona già fin troppo moderno. Austerità, frustate industriali (“De Zeester”) ed elettroacustica siderale e astrale (“The Anemone”), li avvicinano ai territori dei Nocturnal Emissions di “Autonomia”, che uscì appena qualche anno prima.

Carl’s On Acit è ufficialmente l’ultima release ufficiale dei Cranioclast, e porta la data dell’anno domini 2003. In realtà trattasi di brani composti intorno al 1990, ma mai pubblicati.
È la tedesca Auf Abwegen a ottenerne i diritti.
Anche Carl’s On Acit esplora le desolate lande dell’elettroacustica, facendolo attraverso un suono vecchio e obsoleto, ma ripulito e fortemente digitalizzato. Tornano i carburi di silicio e le sonorità acide, acute e taglienti (“Biosemiotic Experiments”), mentre cicliche gocce intermittenti da flebo sterile, rarefazione e impulsi da compressore pneumatico creano una barriera sonora invalicabile.
Sono altresì da menzionare e segnalare l’ascolto di tutti i brani realizzati per le numerose raccolte - “Nature Morte”, “Dry Lungs”, “Journey Into Pain” per fare qualche esempio - di diversi artisti della miglior scena industrial/noise/avantgarde mondiale dell’epoca; tanto che dalla loro sommatoria ne uscirebbe un ulteriore album di tutto rispetto.

Da entrambi i membri, e parallelamente ai Cranioclast, nacquero due distinti progetti: uno di nome Core, che solcava le terre di una dark-ambient/industrial corposa stile Contrastate, e uno in solitario (Michael Anacker) chiamato Kallabris, che si distingueva per le marcate sfumature elettroacustiche e sperimentali, derivate dall’uso di strumenti non tradizionali per queste scene musicali. Un progetto tuttora attivo: l’ultimo lavoro di Anacker – tra una lezione e l’altra di filosofia presso l’università di Bochum – risale al 2010, ma queste sono altre storie.

Cranioclast

Discografia

Ration-Skalk (Autoprodotto, 1985)7
Koitlaransk (Principe Logique, 1985)8
Kolik-San-Art (Principe Logique, 1986)9
Cris Con Tala (ADN, 1987)8.5
A Con Cristal (CoC, 1987)7
Lost In Karak (CoC, 1988)6.5
Rats Can Coil Cats Can Roil (CoC, 1990)6.5
Iconclastar (Green) (Musica Maxima Magnetica, 1992)7.5
Iconclastar (Blue) (Dom America, 1993)7
Koitlaransk & Ration-Skalk (Musica Maxima Magnetica, 1994)7.5
Can I Talk Or… (Sonaria, 1997)6
(The) L.K.A. Sonar Kit (Drone Records, 2000)6.5
Carl’s On Acit (Auf Abwegen, 2003)6.5
Pietra miliare
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