Editors

Editors

Guitar music for dark souls

Sempre in bilico fra guitar music dal tratto dark e trame electro liberatorie, la formazione di Tom Smith si è imposta come la miglior risposta britannica alla new new wave a stelle e strisce. Ripercorriamo la loro storia dall'esordio "The Back Room" al recente "Violence"

di Claudio Lancia, Francesco Giordani

Preludio

La nidiata del "nuovo rock" inglese continua a produrre numerose realtà che il tempo scremerà: alcuni di questi giovani rampanti saranno velocemente dimenticati, altri avranno l'onore di essere ricordati nel tempo. Gli Editors sono uno degli ultimi combi che la Vecchia Inghilterra ha dato alla luce, composto a inizio millennio da quattro ragazzotti poco sopra i vent'anni: Tom Smith (voce e chitarra), Chris Urbanowicz (chitarra), Ed Lay (batteria) e Russel Leetch (basso).
I quattro si sono conosciuti all'Università di Stafford, vicino Birmingham e si sono fatti le ossa sotto le denominazioni Pilot, The Pride e Snowfield. Proprio come Snowfield nel 2003 diffondono un Demo Ep autoprodotto che contiene sei embrioni di tracce che diventeranno canzoni dei futuri Editors. Alla fine del 2004 firmano il primo contratto discografico per l'etichetta indipendente di Newcastle Kitchenware e mutano nome in Editors. Di lì a poco arriva il singolo d'esordio "Bullets", seguito da "Munich", che entra nella top 20 inglese catapultandoli sui palchi di Mtv. Un giro di date in Inghilterra e il risalto concesso loro della stampa britannica generano grande attesa intorno alla band, che a luglio 2005 pubblica l'album d'esordio.

Sono soltanto gli Interpol inglesi?

In The Back Room la potenza e l'aggressività dei live-show viene rimodulata e addolcita per spianare meglio la strada verso i piani alti delle chart. Le tinte sonore, così come i colori scelti per il packaging del disco, fanno sì che l'opera venga subito catalogata come dark, visti gli abbastanza chiari riferimenti ai Joy Division. E' new wave attualizzata, meno sintetica è più pop ripsetto alla sorella maggiore che si produceva 25 anni prima. Il problema è che il gioco dei rimandi non riguarda esclusivamente band del passato, ma anche contemporanee, così che gli Editors potrebbero essere tranquillamente scambiati per gli Interpol, ai quali assomigliano in maniera pericolosa, elemento che sarà evidenziato dai detrattori della prima ora. 
Il brano di apertura, "Lights", è programmatico di ciò che l'ascoltatore deve attendersi: sembrano gli Interpol con alla chitarra il primo The Edge. E i riferimenti al chitarrista degli U2 ritornano nel riff di "Someone Says", scritta sicuramente dopo serate trascorse ad ascoltare "Boy". Se da un lato emerge una a tratti fastidiosa sensazione di déjà vu, dall'altro si riscontra l'innegabile capacità della band di scrivere ottime canzoni rock potenzialmente da classifica. A complemento del lavoro svolto, si segnalano una serie di singoli ed Ep, contenenti b-side degne di nota, in molti casi non inferiori al materiale contenuto in The Back Room, che negli anni successivi saranno di nuovo ripubblicati dalla band.

Forti dei buoni riscontri dell'esordio, due anni più tardi gli Editors fanno di nuovo centro, raggiungendo il primo posto delle Uk Chart grazie all'attesissimo secondo album An End Has A Start. Per cogliere l'evoluzione stilistica del gruppo di Birmingham non occorre spingersi oltre la prima traccia, "Smokers Outside The Hospital Doors": specie nella monumentale apertura del ritornello, intessuta di cori estatici, dimostra di aver metabolizzato la lezione dei primi Arcade Fire, nel tono volutamente altisonante, nell'andatura vagamente operistica e in una certa religiosità di fondo che porta le chitarre a spalancarsi su scenari di dannazione e smarrimento. Appaiono più marcate, rispetto all'esordio, una certa attenzione alla costruzione "drammaturgica" dei pezzi e le maggiori tridimensionalità e profondità prospettica, ma l'umore complessivo delle composizioni resta piuttosto imbronciato (valgano "The Weight Of The World" e la conclusiva ballata, in bilico su due scheletriche note di pianoforte, "Well Worn Hand"). A questo devono aver contribuito i lutti patiti da alcuni membri della band e un periodo di crisi e ripensamento seguito al successo del debutto. I sentimenti messi in gioco dagli Editors risultino comunque sinceri e il loro suono, almeno nei frangenti più ispirati ("Bones" ad esempio) comincia a guadagnare una certa, facilmente avvertibile, riconoscibilità.
Non poco per una band considerata da molti come la risposta inglese (e verosimilmente più radiofonica e catchy) all'affondo portato dall'esordio degli Interpol, "Turn On The Bright Lights", al fragile universo dell'indie. Il comune riferimento ai Joy Division (spesso smentito dal gruppo nelle interviste) appare in alcuni passaggi ancora centrale e molto caratterizzante (la contiguità risiede soprattutto, se non esclusivamente, nel tono sofferto e baritonale della voce del cantante Tom Smith, che a tratti si approssima anche a quelle di Richard Butler dei Psychedelic Furs e di Ian McCulloch degli Echo And The Bunnymen, altre influenze tangibili). Ma fra i referenti principale dei "nuovi" Editors si confermano anche e soprattutto gli U2. Basti ascoltare il particolare modo in cui il chitarrista Chris Urbanowicz innesca i cicloni chitarristici di "An End Has A Start" e "Bones". Questo fa sì che gli Editors entrino in rapporto con un'intricata genealogia di formazioni che hanno cercato di rielaborare le intuizioni originarie dello storico gruppo irlandese, con alterni risultati, Coldplay e Snow Patrol su tutti, ma anche i Radiohead di "The Bends", di sicuro fondamentali nella formazione musicale degli Editors. Perché in fondo, canzoni avvolte da una scorza di ispida e pungente ritrosia dark, come "When Anger Shows", "Spiders" o "The Racing Rats", coltivano un segreto cuore melodico e "pop", di insospettabile maestria artigianale. In brani come "Push Your Head Towards The Air" o "Escape The Nest", la band dimostra altresì di volersi progressivamente incamminare verso i sentieri di un moderno stadium-rock, corale ed epico. 

La controversa svolta elettronica

Nel successivo In This Light And On This Evening (2009) il quartetto di Birmingham decide di detronizzare la chitarra dal predominante ruolo ricoperto fino allora, in favore di un uso molto spinto di synth e tastiere. Risultato dell'operazione è una raccolta di nove canzoni corpose e dalla durata abbondante, dominate da un umore torvo e riflessivo. Il gruppo approda così all'elaborazione di un synth-pop romantico e decadente, nel quale si stagliano ora le sagome di New Order, Ultravox e soprattutto Depeche Mode. Permane il gusto per un mood epicamente celebrativo e ascendente, piegandolo dalle parti di un suono più chiuso e ballabile, come ben evidenziato dai nuovi inni "Papillon" e "Bricks And Mortar".
Dopo un inizio algido e teso, che a tratti ricorda il lavoro di Vangelis per le musiche di "Blade Runner" (l'eponima "In This Light And On This Evening"), il discorso si scioglie in melodie sintetiche non molto dissimili l'una dall'altra, spaziando dalle laboriose costruzioni orchestrali di "You Don't Know Love" fino al paesaggismo desolato e trasognante di "The Big Exit". Spiccano anche "The Boxer" e "Eat Raw...", in particolare l'avvitamento del ritornello e l'apertura tecno-gotica della seconda parte del pezzo, con punteggiature noir di synth che plasmano una dissolvenza notturna e cinematografica. Epilogo del disco, il soffio tiepido di "Walk The Fleet Road", sorta di omaggio ad "Atmosphere" dei Joy Division.

Risulta indubbiamente positivo che il gruppo abbia assecondato la propria necessità di cambiamento, assumendosi rischi concreti e mettendosi, in una certa misura, in conflitto con sé stesso. La scelta è caduta, del tutto ragionevolmente, su un processo graduale ma continuo di sperimentazione, che fatica a esprimersi in un album completamente convincente. Resta una scrittura espressiva, gonfia di pathos, in alcuni punti anche raffinata e sottile, ma con possibilità di ulterori miglioramementi dalpunto di vista della complessità compositiva.
E' stato comunque un processo sofferto all'interno del gruppo, con non poche divergenze di opinioni riguardo la direzione musicale da intraprendere. Divergenze che permangono anche successivamente alla pubblicazione di In This Light And On This Evening, con quattro anni travagliati, resi ancor più difficili dalla partenza del chitarrista Chris Urbanowicz, il quale con molta probabilità si è sentito posto ai margini di un progetto dove il ruolo delle chitarre è divenuto, anche se con tutta probabilità soltanto momentaneamente, non più in primo piano.

La band è in stand-by, secondo molti sarebbe sul punto di sciogliersi, e nel 2011 arriva sul mercato un ricchissimo e completissimo boxset antologico in edizione limitata, Unedited, andato presto sold out. All'interno vengono inseriti sia i tre lavori pubblicati, sia ulteriori quattro dischi (intitolati “You Are Fading”) di bonus track e rarità. Vengono così accontentate le richieste dei fan circa l'opportunità di recuperare in formato fisico brani oramai introvabili, composizioni molto amate, e quasi sempre all'altezza del materiale incluso negli album ufficiali.

La seconda vita degli Editors

Proprio quando la storia del gruppo sembra giunta a un prematuro epilogo, nel 2012 giunge la notizia dell'ingresso del nuovo chitarrista Justin Lockey, e dell'apertura dei lavori per la scrittura del quarto album della band di Birmingham.
A luglio 2013 con The Weight Of Your Love gli Editors tornano a indossare abiti analogici, in undici tracce (più altre tre incluse nella deluxe edition) di orecchiabile e malinconico indie-pop, in grado di far breccia nei cuori di non pochi nuovi adepti.
Dalle atmosfere fortemente Depeche Mode dell’iniziale "The Weight" a certi riferimenti epici stile U2 ("A Ton Of Love", scelta come primo singolo), la band di Tom Smith si spossessa in maniera quasi definitiva del fantasma dei Joy Division. Brani trascinanti, come "Sugar" e "Formaldehyde", divengono i nuovi inni del gruppo, e largo spazio viene riservato alle soluzioni più delicate, come nel caso di "What Is This Thing Called Love" e "Nothing".

Il mutamento di direzione verso sentieri più pop viene parzialmente rinnegato nel successivo In Dream, pubblicato il 2 ottobre del 2015 a posizionato a metà strada fra gli slanci chitarristici della formazione inglese e quelli più electro. Gli Editors decidono di non voler rinnegare nulla del proprio passato, raccogliendo il meglio dalle proprie reincarnazioni, a dispetto delle fratture intervenute a seguito delle direzioni stilistiche intraprese. La scrittura torna a farsi oscura, cupa (“At All Cost” è quasi funerea), densa di quell’esistenzialismo noir (evidente già dal bianco e nero della copertina) che sposta l’asse di nuovo dalle parti dei primi Interpol, riallacciandosi al filone post-punk di matrice Joy Division. I primi anni 80, i synth, l’elettronica tornano ad essere dominanti, ma il discorso si fa meno intransigente rispetto alle algide atmosfere di “In This Light”. Fra queste dieci tracce alcune si dimostrano pronte a divenire degli instant classic, in particolare “Life Is Fear”, una delle più trascinanti del lotto. Ma di momenti importanti ce ne sono parecchi: dal minimalismo ad altissimo contenuto emozionale di “No Harm” (diffusa in anteprima e posta significativamente a inizio tracklist), il vero manifesto dei nuovi Editors, agli oltre sette minuti della conclusiva cavalcata epica “Marching Orders”.
Da sottolineare la presenza di Bob Mould in cabina di regia, e ancor più di Rachel Goswell degli Slowdive, la quale nobilita con la propria voce ben tre tracce, in particolare l’intensissima ed eterea “The Law”, il duetto che costituisce l’altra preziosa vetta dell’album. Tom Smith si conferma leader carismatico: sa mutare registro vocale adeguandolo alle circostanze di ogni singolo pezzo, tendendo ora al baritonale, ora al falsetto (“Our Love”) mantenendo sempre grande intensità. Il resto dei compagni di cordata è saldamente al suo servizio, ma se oggi gli Editors sono una delle realtà più acclamate nel rigoglioso panorama britannico,il merito è soprattutto di Smith, che con In Dream è in grado di assicurare una continuità di rendimento che in pochi avrebbero presunto soltanto pochi anni prima.

Disposti a non adagiarsi, e a non rifare mai due volte lo stesso disco, gli Editors continuano a vagliare nuove vie. Violence, pubblicato a marzo 2018, torna a mostrare la predominanza dall'aspetto elettronico. Rispetto all'oscuro predecessore, Violence mostra la medesima intensità, ma catalizzata in brani dal respiro più ampio ed energico. La parte iniziale ripropone la maestria degli Editors nel creare eccellenti brani pop: "Cold" afferra subito l'ascoltatore, calandolo nel climax del disco, per scuoterlo poi con la successiva "Hallelujah (So Low)". La terza traccia, "Violence", è la carta d'identità degli attuali Editors: un flusso sonoro trascinante, elegante, al quale è impossibile restare immuni, la lezione dei tanto amati New Order assimilata e messa in pratica à-la Editors, ancora una volta con ottimi risultati. Superato il trittico iniziale non si assiste però ad altri colpi da maestro: niente spicca, anche se tutto è equilibrato e ben calibrato, compresi gli arrangiamenti assemblati con la collaborazione di Blanck Mass e Leo Abrahams.
"Darkness At The Door" e "Nothingness" procedono filate ricordando gli ultimi Depeche Mode, fino alla trascinante "Magazine", nella quale Smith si scaglia contro l'attuale corruzione degli uomini al potere. Dal punto di vista tematico l'album, come dichiarato dal leader a Jo Whiley in diretta sulla BBC2, è incentrato sui rapporti umani, sulle relazioni con amori e amici, sul vivere connessi "realmente" con le persone, in questi tempi di social e apparenza. L'emozionante ballata piano e voce "Not Sound But The Wind" conduce nei medesimi territori della "Well Word End" di An End Has A Start, mentre "Counting Spook" si impone come uno dei momenti più ispirati del lavoro, chiuso dalla sentita "Belong".

Annunciato in occasione del Record Store Day 2019, il 3 maggio esce The Blanck Mass Sessions, che ospita alcune tracce di "Violence" in una veste alternativa, quella inizialmente cucita su misura dal producer Blanck Mass, versioni successivamente mitigate dall’ulteriore intervento di Leo Abrahams. Il risultato sposta l’asse verso un’elettronica ancor più diretta e vigorosa, territorio nel quale Blanck Mass è un riconosciuto maestro. Sono stati inseriti sette brani di “Violence” (restano escluse le ballad “No Sound But The Wind” e “Belong”), più l’inedito - abbastanza prescindibile per la verità - “Barricades”, quasi un Coldplay apocrifo ibridato in salsa Mumford & Sons, che ben poco aggiunge al menù di partenza.
Il diverso trattamento assegnato alle canzoni è evidente: il caso più eclatante è quello riservato a “Counting Spooks”, traccia che passava pressoché inosservata in “Violence” mentre qui acquista in prepotenza e magniloquenza, spogliandosi di parte delle tenebre wave che la avvolgevano per rinascere a nuova vita. La title track vede invece ancor più in primo piano la componente electro, che già emergeva possente nella parte conclusiva della versione edita lo scorso anno. The Blanck Mass Sessions completa e migliora il progetto “Violence”, senza mai rischiare di diventarne un’inutile appendice. I fan saranno liberi di scegliere le proprie versioni preferite, in una sorta di album componibile. Un giochino divertente che potrebbe anche essere interpretato come un ponte verso un futuro più spostato verso i suoni da club. Senza mai dimenticare che non è certo questa la prima svolta elettronica della band…

Il 25 ottobre 2019 viene pubblicata la raccolta Black Gold, contenente tredici tracce del repertorio storico più tre inediti: la title track, "Upside Down" e "Frankenstein", quest'ultima diffusa prima dell'estate. Nella versione deluxe vengono inserite ulteriori otto brani in versione acustica.
Soltanto per coloro che hanno ordinato Black Gold attraverso il sito ufficiale della band, viene allegata la riedizione dell'Ep del 2003 "The Snowfield Demos".

In Lockdown con You Are Fading

Alla fine di Aprile 2020, in pieno lockdown pandemico, vengono diffuse in formato digitale due delle compilation comprese nel boxset "Unedited", You Are Fading Vol. 3 & 4,  che divengono così una sorta di viaggio-playlist del periodo 2000-2005, il più prolifico – e senz’altro il più creativo - della band di Tom Smith. Dall’esordio “The Back Room” riemergono il demo di “Camera”, la single version del primo singolo “Bullets”, tre b-side e tre bonus track, dal successivo “An End Has A Start” vengono raccolti un paio di bonus, mentre ben nove tracce arrivano dalle session di “In This Light And On This Evening”.
Dalla scarica energetica di “A Thousand Pieces”, alle più riflessive e introspettive “The Picture” e “These Streeets Are Still Home To Me”, i diciotto titoli spaziano dall’approccio chitarristico del primo album (impressionante la somiglianza con gli Interpol: ”Colours” sembra strappata a forza da “Turn On The Bright Lights”) al controverso traghettamento verso suoni più sintetici attuato con il terzo lavoro (“Human”, “My Life As A Ghost”, “I Want A Forest”, “Thousands Of Lovers”). Un puntuale riassunto dell’evoluzione stilistica dei giovani Editors, già capaci di disegnare scenari altamente evocativi (“This House Is Full Of Noise”) senza il timore di palesare evidenti influenze darkwave (il basso à la Cure di “From The Outside”).

Nel giro di poche settimane vengono diffusi anche i Volumi 1 & 2 di You Are Fading, con tantissima ulteriore carne al fuoco: le chitarre di “Heads In Bags” e “Banging Heads”, le spirali sintetiche di “For The Money”, l’epicità dark di “Let Your Good Heart Lead You Home” e “Some Kind Of Spark”, la morbidezza avvolgente di “Open Up” e “Release”, la calligrafia molto Depeche Mode di “Last Day”. Come già più volte sottolineato, gli Editors dell'epoca si muovevano fra l’ambizione di provare a diventare i nuovi U2 e le evidenti ascendenze post-punk, che nella prima fase della loro carriera li fecero accostare in maniera forte agli Interpol e alla scena nu-new-wave.
Le composizioni qui raccolte nacquero durante le session dalle quali presero forma non soltanto l’esordio “The Back Room”, il successivo masterpieceAn End Has A Start” e il controverso “In This Light And On This Evening”, ma anche una serie di Ep che ne costituirono il contorno. Le tracce più note sono “No Sound But The Wind”, qui riprodotta in versione full band, e la dolce “Every Little Piece”, ma i brani che colpiscono di più in questo caso sono in coda: “Come Share The View” e ancor più “Dust In The Sunlight”, che concretizza un’inaspettata obliquità fra Pavement e Radiohead, due brani che dimostrano la bontà del lavoro di Tom Smith e compagnia, ben oltre ciò che al tempo divenne universalmente conosciuto.

Gli Editors completano così la disponibilità di tutto il materiale contenuto in “Unedited” e dell’opera omnia riguardante i primi cinque anni di attività, visto che un ulteriore Ep del 2003, “The Snowfield Demos”, era stato già re-distribuito come bonus allegato al best ofBlack Gold”, almeno per coloro che ne hanno ordinato una copia attraverso il sito ufficiale del gruppo.

L'ennesima virata stilistica

Il contributo che Blanck Mass ha fornito per la realizzazione di Violence e per il progetto The Blanck Mass Sessions, deve essere stato particolarmente apprezzato da Tom Smith e soci, visto l'ufficiale inserimento del compositore britannico nella line up della band di Birmingham.
Una collaborazione importante, durata circa cinque anni, lasso temporale che ha consentito al sodalizio di lavorare su nuovo materiale e soprattutto progettare l'ennesima virata stilistica della loro carriera.

EBM è il titolo del nuovo album pubblicato da PIAS nel settembre 2022.
Electronic Body Music - la combinazione di elementi provenienti dall'industrial e dall'elettronica dance - ovvero Editors + Blanck Mass, il titolo acronimo del nuovo album ha assunto già alla vigilia varie letture, tutte decisamente calzanti.
Fatta questa premessa, i quattro singoli utilizzati come antipasto hanno evidenziato pregi e difetti dell'operazione, come spesso è capitato in passato al sestetto inglese.
La testimonianza migliore è senza dubbio "Kiss", episodio trascinante, affabile e ben costruito, una sorta di fusione tra i New Order e Giorgio Moroder, che unisce i vecchi e i nuovi Editors in circa sette minuti di saliscendi chiusi da una coda semistrumentale, che soprattutto dal vivo ha una resa eccellente (habitat a loro sempre molto congeniale), come già evidenziato nel nostro report del concerto di luglio tenutosi a Genova.

Buone sensazioni provengono anche da "Heart Attack", passo nel quale la penna di Smith analizza con efficacia la morbosità di alcuni rapporti sentimentali. Se da un lato il telaio sonoro sembra far riemergere il sound tenebroso e diretto degli esordi, dall'altro è spinto oltre i canonici orizzonti dall'elettronica di Blanck Mass, con aggiunta di inusuali fragranze di vaga estrazione psichedelica.
I due singoli restanti mostrano, invece, esiti più altalenanti. Fra questi, l'elettrowave eighties di "Karma Climb" si lascia preferire alla poca intraprendenza di "Vibe", assolutamente scevra del magnetismo, da sempre carta vincente del gruppo.
Fortunatamente dalla faretra spuntano ulteriori frecce. In particolare episodi quali "Strawberry Lemonade", rivolta a puntualizzare le divisioni politiche e sociali che stanno dividendo il Regno Unito, e soprattutto "Strange Intimacy", la cupa summa del termine di una relazione sentimentale, situazioni che tracciano il vero trait d'union di questo rinnovato percorso, che fonde con buon estro new wave e post-punk con l'elettro-industrial di stampo dancehall. Frequenze frenetiche pulsano anche in "Picturesque" e "Educate", mentre strutture più dilatate e introverse sono l'essenza dell'enigmatica "Silence".

EBM è probabilmente il prodotto più audace finora rilasciato dagli Editors, forse anche più dell'eccellente e al tempo sottovalutato In This Light And On This Evening. Il risultato ottenuto è grintoso e soddisfacente.
Di certo ascoltando la discografia in progress degli Editors, tra alti e bassi, quel che di sicuro non può capitare e farsi travolgere dalla noia, questa volta addirittura con la spinta per scuotere un po' i fianchi.


Contributi di Cristiano Orlando ("EBM").

Editors

Discografia


The Back Room (Kitchenware, 2005)

6

ico_consi_recAn End Has A Start (Kitchenware, 2007)

7,5

In This Light And On This Evening (Pias, 2009)

7

Unedited (box set, Kitchenware, 2011)

7

The Weight Of Your Love (Pias, 2013)

6

In Dream (Pias, 2015)

6,5

Violence(Pias, 2018)

6,5

The Blanck Mass Sessions (Pias, 2019)6,5
Black Gold (raccolta con inediti, Pias, 2019)6,5
You Are Fading Vol. 3 & 4(bonus e rarità, Pias, 2020)6,5
You Are Fading Vol.1 &2(bonus e rarità, Pias, 2020)7
EBM(Pias, 2022)6,5
SMITH & BURROWS

Funny Looking Angels (B-Unique/ Pias, 2011)

7

Only Smith & Burrows Is Good Enough(Pias, 2021)

7

Pietra miliare
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