Red Snapper

Red Snapper

Sguazzando nel brio e nel ritmo

Nati in ambienti acid-jazz, contemporaneamente all'ascesa del Bristol Sound, i Red Snapper sono un trio inglese che ha dato vita negli anni 90 a uno stile liquido e atmosferico che occupa una personale nicchia tra dub, nu-jazz, elettronica e trip-hop. Con il nuovo millennio, la loro proposta si è fatta più prevedibile e meno ispirata

di Alessandro Mattedi

Nati nei primi anni 90, quando le scene trip-hop e acid-jazz stavano nascendo e consolidandosi, i Red Snapper sono un trio ufficialmente formatosi nel 1993 a Londra da Ali Friend (contrabbasso), Richard Thair (batteria) e David Ayers (chitarra), ma individualmente attivi già in precedenza. Abili artigiani del suono e spigliati musicisti, i Red Snapper sono stati associati dal giornalismo musicale soprattutto alla scena trip-hop inglese, pur essendo in realtà contigui alla stessa ma distinti, in quanto ben radicati nell'estetica e nei breakbeat dell'acid-jazz. È proprio in relazione a questi generi paralleli che negli anni 90 hanno pubblicato i loro lavori migliori, in un gioco di influenza reciproca con i numerosi artisti appartenenti a queste correnti e ad altre limitrofe. I loro esordi sono segnati soprattutto dagli sperimentalismi e dal gioco di assemblaggio sonoro, ai quali però i tre ben presto preferiranno l’esecuzione di classe e di maniera, realizzando composizioni meno spiazzanti ma sapientemente orecchiabili, cinematiche e fumose. Con il cambio di secolo, il trio perderà però parte della propria ispirazione sfociando nell’autoindulgenza, e ciò accompagnerà la formazione fino allo scioglimento e alla successiva reunion, che vedrà i membri del gruppo di nuovo insieme con una rinnovata verve che però si manifesterà in maniera discontinua.

Gli Ep iniziali sono condensati nel 1995 nell'album Reeled And Skinned, che rimescola stilisticamente e strumentalmente il pedigree degli inglesi. La scena da cui partono è come già detto la cosiddetta musica acid-jazz, da quella inglese degli Incognito, dei Jamiroquai e dei Brand New Heavy a quella americana dei Brooklyn Funk Essentials. Ma il gruppo la arricchisce e trasfigura con contaminazioni varie, in particolare funk, dub ed elettronica, prendendo in prestito il campionario ritmico del trip-hop e molto altro, ma sempre mantenendo una base strumentale su cui stratificare l’effettistica o con cui imitarla. Ciò li rende per certi versi analoghi ai Portishead, che con il loro esordio "Dummy" del 1994 aveano impiegato una strumentazione analogica per emulare e riprodurre i suoni e i timbri di artisti elettronici e hip hop, ma le atmosfere e gli umori mostrati sono del tutto omosti, ben più briosi. Si rivela in tal senso trascinante la versatilità della batteria, che con disinvoltura passa da sezioni che seguono i tempi del downtempo ad altre più ritmate e veloci. È su tutto però l'uso del contrabbasso a rendere il suono malleabile e accattivante, con Friend che gioca a mostrare tecnica senza virtuosismo o esibizionismo, concentrandosi sulla scelta delle note più azzeccate, lavorando sia su melodia che ritmo.
Il binomio iniziale “Snapper” e “One Legged Low Frequency Guy” è un'apertura di alto livello, al crocevia tra trip-hop e instrumental-hip-hop, arricchiti con le numerose influenze che il trio gioca ad assemblare, con batteria downtempo cadenzata e suadente, giochi elettronici diradati in lontananza, effetti stranianti e gorgheggi atmosferici che avvologno l'ascolto. “Swank” si fa più midtempo, accompagnata da fiati jazz ostinati, percussioni etniche e fraseggi funky.
Tra gli ospiti, Allan Riding al sassofono e Beth Orton per occasionali linee vocali (spicca la calda “In Deep”, rockeggiante e noir). Il ghiaccio è ormai rotto.

La definitiva maturazione avviene l'anno seguente con Prince Blimey, ufficialmente album d'esordio (di fatto il secondo). Con questo lavoro i tre si presentano alla scena britannica con uno stile liquido e atmosferico, per semplicità un intrigante crocevia tra trip-hop e acid-jazz, anello di congiunzione tra due scene parallele che hanno caratterizzato gli anni 90 inglesi. Più nel dettaglio è un variopinto e certosino lavoro che occupa una nicchia in cui confluiscono tra le influenze anche un rock a tinte funkyjazzy, elettronica e dub, idealmente ricongiungendo i primi Massive Attack con Curtis Mayfield e Stereolab in un’alternanza di pezzi più lenti e meditati con altri più dinamici. Non vi sono parti vocali, se non in maniera sporadica dove la voce è dosata come uno strumento d'accompagnamento al pari degli altri. Le atmosfere sono fumose, urbane e notturne, arricchite da un certosino gusto per il collage effettistico e da un'attitudine spiritosa che si fa avanti nei giochi di suoni stranianti.
Molte delle prove migliori del gruppo sono in questo disco: l'iniziale “Crusoe Takes A Trip” è un coinvolgente acid-jazz elettronico; “Digging Doctor What What” è il pezzo più lungo e intenso del lotto, e rimescola dub, jazz-funk e breakbeat in un crocevia a metà fra Apollo 440 e Lamb; “The Paranoid” ricorda Bjork in salsa soul; “Get Some Trip Together” è fra i momenti più jazzati ed entusiasmanti; “Get Some Trip Together” fonde la breakbeat all'hip-hop e al nu-jazz con una ventata atmosferica e avvolgente; la conclusiva “Lo-Beam” è un pregevole ambient/downtempo con dub penetrante e distorsioni quasi shoegaze.
Stavolta al sassofono c'è Ollie Moore, mentre la voce femminile è di Anna Haigh.
Prince Blimey è sia un perfetto biglietto da visita per avvicinarsi al trip-hop da parte di chi è cresciuto immerso in ambienti acid-jazz, sia viceversa una porta aperta al meno celebre acid-jazz per chi ha divorato i più rinomati artisti trip-hop e i loro epigoni più formulaici.

Più diretto e orecchiabile, Making Bones è di nuovo un crocevia tra acid-jazz e trip-hop, arricchito in particolare da spruzzate big-beat, drum&bass e jazz-funk. Purtroppo viene meno parte dell'attitudine più improvvisatrice e fuori dagli schemi, ma a controbilanciarla c'è una maggiore cura per il groove. A guidare l'ascolto sono soprattutto i giochi di rafforzamento reciproco tra il basso di Ali Friend e la tromba di Byron Wallen. Le tinte che colorano l'album sono lievemente più oscure, e in certi punti ricordano qualcosa a metà strada tra i primi Massive Attack, Brand New Heavy, il primissimo Amon Tobin e i Portishead - questi ultimi fanno capolino nelle atmosfere che si avvicinano a quelle delle colonne sonore degli spy-movie. Il risultato è positivo, ma inferiore al precedente disco, che suona più costante e coraggioso. Il reggae electro-jazzato di “Suckerpunch”, il downtempo di “4 Dead Monks”, l'acid-jazz rappato di “The Sleepless”, le combo di archi e pianoforte di “Spitalfields” (tra Archive e Lamb) sono tra le prove migliori. I momenti più deboli, invece, si manifestano quando il trio insiste su breakbeat e drum'n'bass troppo ripetitivi, come in “The Tunnel” o “Like A Moving Truck”.

Nel 2000 esce Our Aim Is to Satisfy Red Snapper, ma il risultato non è del tutto soddisfacente. L'album suona complessivamente notturno, atmosferico e abbastanza orecchiabile, con l'accento spesso posto su ritmi danzerecci, ma purtroppo è anche privo della profondità negli arrangiamenti che caratterizzava i precedenti dischi. Il problema principale, però, è che come selezione di pezzi risulta decisamente discontinuo. Se già l'opener “Keeping Pigs Together” si rivela eccellente, scandita com'è da beat uptempo, suoni alienanti e bassi penetranti, gran parte dei pezzi rimanenti si reggono purtroppo su poche idee ripetute.
Sostanzialmente i brani migliori sono quelli che si avvicinano di più all'ambient (“Belladonna”) e al trip-hop (“Shellback” o soprattutto la stupenda ending “They're Hanging Me Tonight”). Il resto dei pezzi naviga tra la sufficienza e la mediocrità, rimescolando drum'n'bass, reggae e downtempo in maniera troppo formulaica, perdendo di spontaneità. In alcuni casi il trio mette a cuocere suoni giocosi e bizzarri (come in “The Rake”) ma rimangono giusto abbozzati e nulla più. Il lavoro di produzione è curato, ma maschera solamente il risultato inferiore alle attese. La voce femminile è di Karim Kendra.

La situazione all'interno della formazione inglese a questo punto si fa complessa: ciascuno dei membri ha una propria direzione musicale che cozza con quella degli altri, e ciò si riflette nel songwriting altalenante, dovuto a una mancanza di coesione e spirito di squadra. Pur con rispetto reciproco, sorgono dissidi e divergenze d'opinione sul percorso da intraprendere. Così nel 2002 il gruppo si scioglie, lasciando solamente un album di remix intitolato Redone e un altro omonimo di outtake nel 2003, Red Snapper, che alterna brani downtempo ad altri dance e breakbeat, ma è più una collezione di idee e spunti non approfonditi. I momenti migliori sono probabilmente il tagliente trip-hop dell'iniziale “Regrettable” e i suoni da colonna sonora dell'elettroacustica “Odd Man out”.

Dei Red Snapper giunge più alcuna notizia per qualche anno. Ma si sa, la nostalgia è canaglia, e i tre si riuniscono nel 2007 per una jam session a cui fa seguito l'annuncio della reunion ufficiale. A loro si aggiunge come membro ufficiale il sassofonista Tom Challenger, portando così il numero di musicisti a quattro.
Il ritorno in studio avviene l'anno seguente con A Pale Blue Dot, titolo dedicato alla famosa foto della sonda Voyager che ritrae la Terra come un puntino azzurro sospeso nel vuoto cosmico da miliardi di chilometri di distanza. L'album non ha più niente a che vedere con il trip-hop, ma è stilisticamente variopinto, atmosferico e ispirato, soprattutto sul lato ritmico, ma di più non osa. È un lavoro orecchiabile, piacevole, fin dal pop-rock jazzato dell'opening “Bricked”, ma non cerca il guizzo e si adagia fondamentalmente su un chillout un po' più curato. Sicuramente più coeso e ascoltabile delle precedenti uscite, il disco non raggiunge dunque i vertici di brio e scioltezza degli esordi. Sembra più di ascoltare un divertissement senza particolari pretese se non quella di divertirsi e divertire con pezzi melodici e liquefatti, che sappiano essere accattivanti nella loro semplcità.

Le aspettative per qualcosa di più ambizioso vengono parzialmente disattese anche nel 2011 con Key, che stavolta vede il quartetto strafare e insistere con la ridondanza e l'autoindulgenza. Eccessivamente prolisso e monotono, il lavoro si regge solo su poche basi atmosferiche su cui sviluppare pochissimi elementi elettronici, acustici o vocali. Viene salvato con una sufficienza grazie al finale, dove c'è qualche momento di maggiore ispirazione compositiva fra acid-jazz, electro-rock e downtempo.

L'ispirazione si mantiene discontinua nel 2014 con Hyena, ma il risultato è questa volta decisamente più compatto e intrigante. L'album contiene musica originariamente composta per la colonna sonora del film "Touki Bouki". Sarebbe potuto essere davvero un ottimo lavoro se non fosse per alcuni nei che lo caratterizzano, ma nel complesso è un positivo passo in avanti rispetto al suo predecessore ed è probabilmente il disco migliore dei Red Snapper in 15 anni. I momenti migliori sono quelli che rievocano il downtempo o l'elettronica liquida (“Lassoo”, “Archout”), quelli più jazzati (“Dock Running”, il noir suadente di “No Exit”, la forse troppo breve “Traffic”) e quelli che si tingono di sonorità afro soprattutto nel lato ritmico (“Wonky Bikes” o “Mambetty” che è arricchita da stupendi giochi di chitarra e archi a sostegno delle percussioni).
La parte da leone è condotta soprattutto dal contrabbasso di Friend, che si barcamena in una delle sue prove migliori a livello di arrangiamento. In generale il disco ha i suoi punti di forza nell'eclettismo dosato, nelle atmosfere dense e fumose che avvolgono l'ascolto. I risultati migliori giungono nei momenti in cui si coniugano tonalità etniche e moderne; e i brani maggiormente vicini al jazz e al funk sono tra i più accattivanti e colorati. Ma permangono alcuni filler trascurabili e momenti ripetitivi che riducono l'armonia e danno l'idea che si sarebbe potuto fare di più espandendo il lato etnico.
C'è in ogni caso un aspetto molto affascinante nella capacità del trio di adattarsi alle esigenze del contesto, andando a pescare da specifici punti di riferimento per riforgiarli all'occorrenza. In tal senso, i Red Snapper si riconfermano con questo lavoro degli eccellenti artigiani che sanno di volta in volta indovinare l'umore e l'atmosfera più consoni per i loro brani.

Red Snapper

Discografia

Reeled And Skinned (antologia, Warp, 1995)

Prince Blimey(Warp, 1996)
Making Bones(Warp/Matador, 1999)

Our Aim Is to Satisfy (Warp/Matador, 2000)

Red Snapper(antologia, Lo Recordings, 2002)

Redone(remix, Lo Recordings, 2003)

A Pale Blue Dot(Lo Recordings, 2008)

Key (V2 Benelux, 2011)

Hyena (Lo Recordings, 2014)

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