Edoardo Bennato

Edoardo Bennato

Te lo do io Collodi

Traghettatore, assieme a Ivan Graziani, del cantautorato italiano verso forme più vicine al rock, Edoardo Bennato ha mostrato una peculiarità di stile, un’eterogeneità di influenze e, soprattutto, un’insofferenza verso le restrizioni formali che ne hanno fatto il capostipite di una genia di irregolari della nostra canzone. Un'operazione compiuta attraverso un formidabile "juke-box" di brani, entrati a far parte della memoria collettiva italiana

di Antonio Lo Giudice

Noi appassionati siamo spesso bestie grame con scarsa empatia verso chi, in fondo, dovremmo ringraziare non fosse altro che per aver prodotto cinque minuti di musica degna di nota nella sua carriera artistica - il che è molto di più di quanti riuscirebbe a combinare il 99% di noi speculatori nella nostra vita. Invece, anche per un artista di valore assoluto come Edoardo Bennato, che ci ha regalato decine di canzoni indimenticabili e interi album di altissimo livello, facciamo prevalere una sorta di malanimo per la sua presunta “parabola discendente”, quasi fosse uno scandalo che, finito di interessarci, un musicista osi continuare la sua carriera - magari con riscontri crescenti presso il popolo bue, mentre noi, armati di presunzione, trasciniamo avanti le nostre tristi e anonime esistenze.
Spesso, inoltre, sono le considerazioni sul presente a impedire una corretta valutazione sull’importanza e l’impatto che in passato – e, quindi, su tutto il futuro -  questo o quell’artista ha avuto: difficile, per esempio, parlare di Vasco Rossi senza infiammare gli animi di detrattori acritici, nonostante i suoi indiscutibili meriti di cui questi ultimi dovrebbero farsene una sacrosanta ragione. Leggermente diverso il problema con Edoardo Bennato, che non sarà oggetto di pigro disprezzo midcult come l’uomo di Zocca, ma è da anni relegato dalla critica in un dimenticatoio ingiustificato per un artista della sua portata, mentre , cosa ben più importante, l’affetto del suo pubblico (sempre estremamente nutrito, anche se non come a cavallo tra i 70 e gli 80) non è mai venuto meno.

Ciò premesso, è innegabile che la carica innovativa del cantautore napoletano si sia consumata soprattutto nel decennio che va dal 1973 (anno del 33 giri di debutto) al 1983 (in cui uscì l’ambizioso ma irrisolto È arrivato un bastimento). Tuttavia, basta il peso della sua (tra l’altro copiosa) produzione di quel periodo a farne uno degli artisti più importanti della musica italiana dal dopoguerra ad oggi, traghettatore, assieme a Ivan Graziani, del cantautorato verso forme più vicine al rock, ma con una peculiarità di stile, un’eterogeneità di influenze e, soprattutto, un’insofferenza verso le restrizioni formali che ne faranno il capostipite di una genia di irregolari della nostra canzone sbucati tutti, guarda caso, tra la metà e la fine degli anni 70, da Rino Gaetano al già citato Vasco Rossi, passando per Alberto Fortis, Eugenio Finardi, Alberto Camerini e Fausto Rossi. Ma, soprattutto, “Edo” è l’autore di numerose canzoni entrate a far parte della memoria collettiva italiana, grazie alle quali ci si ricorderà di lui anche nei decenni a venire. Il riuscire a coniugare, come ha saputo fare a lungo, popolarità e qualità è prerogativa esclusivamente dei grandi.

Edoardo BennatoLe note (biografiche) sono note: Edoardo Bennato nasce a Napoli, quartiere Bagnoli, nel 1946… esperienze musicali precoci in una band formata assieme ai fratelli Giorgio ed Eugenio - quest’ultimo destinato ad una brillante carriera prima come membro della Nuova Compagnia di Canto Popolare e, successivamente, da solista - il trasferimento a Milano nel 1965 per studiare architettura, poi i primi contatti con il mondo discografico.
Nel 1966 incide per la Parade il suo primo singolo “Era solo un sogno/ Le ombre”. Più che la melensa prima canzone, a colpire è il B-side, il primo brano registrato in Italia, pare, dove viene suonata l’armonica a bocca. Di sicuro è inedita per il nostro paese l’immagine iconica sul retro di copertina: Edo con la chitarra acustica a tracolla e l’armonica come un folksinger americano.
Il 45 giri non ottiene alcun successo, e, per i tre anni successivi, Bennato lavorerà nell’ombra scrivendo per Herbert Pagani e Bobby Solo, questa volta con buoni riscontri commerciali.

Una nuova occasione per la sua carriera solista gli viene concessa dal discografico Alessandro Colombini (successivamente tra i personaggi citati nel brano “Rinnegato”) che lo fa entrare nella scuderia della Numero Uno. Per l’etichetta di Mogol e Battisti, inciderà tre singoli (“Marylou/ La fine del mondo”, “1941/ Vince sempre l’amore” e “Goodbye Cophenagen/ Marjorie”) caratterizzati da una ruvidità via via crescente.
Tuttavia, l’anno della svolta è il 1973: Colombini, in rotta con la Numero Uno, passa alla Ricordi, portandosi dietro Edoardo, che, nel frattempo, ha avuto un’ esperienza, che risulterà decisiva per la sua evoluzione artistica, come busker e one man band per le strade di Londra. La nuova etichetta concede finalmente al cantautore la possibilità di registrare il suo primo Lp.

Non farti cadere le braccia è un esordio con i fiocchi: contrariamente a quanto, un po’ furbescamente, il cantante afferma nel brano “Rinnegato”, la rottura con la tradizione cantautorale non è netta e il disco presenta alcune meravigliose ballate che, successivamente, diventeranno dei classici del suo repertorio - nonostante lo scarso riscontro commerciale dell’album - come “Una settimana …un giorno” (recentemente diventato un pezzo di successo nell’interpretazione dei Velvet), “Campi Flegrei”, “Lei non è qui, non è là” (testo di Bruno Lauzi) e soprattutto “Un giorno credi”, struggente riflessione sullo scarto tra sogno e realtà, a metà tra speranza e disillusione, con liriche di Patrizio Trampetti del gruppo Nuova Compagnia di Canto Popolare, che si chiudono su una geniale allegoria ("mentre tu sei l'assurdo in persona / e ti vedi già vecchio e cadente / raccontare a tutta la gente / del tuo falso incidente").
L’America, invece, comincia a fare capolino in brani dallo spiccato approccio blues come “Quando arriva il treno” o “Fiato sprecato”, ma la sensazione globale è di un disco che si muove nel solco della canzone italiana. Non fosse per quell’Ufo piazzato proprio alla fine: la già citata “Rinnegato” rock percussivo, suonato con potenza e accompagnato da un testo in cui Edo sbeffeggia amorevolmente quattro suoi amici e collaboratori. Il brano si dipana in sei minuti con una lunghissima coda in cui il cantante fa per la prima volta abbondante uso dei balbettii e degli intercalari che ne caratterizzeranno da qui a poi il cantato.
Insomma, un disco ancora rivolto al passato, ma in cui la coda dell’occhio inizia a girare verso l’orizzonte.

Edoardo BennatoOrizzonte che viene raggiunto di colpo con la pubblicazione, l’anno seguente, dell’album I buoni e i cattivi. Anzi, a essere più precisi la rivoluzione va anticipata di qualche mese, ovvero all’uscita del 45 giri “Salviamo il salvabile/ Ma che bella città”. Si tratta di due brani acustici che non hanno nulla a che vedere con la canzone italiana “classica” (pre o post-battistiana che sia), ma sembrano venire, quantomeno nell’approccio istintivo e irruente, da un altro mondo, oltre la Manica o oltre l’oceano. Il giornalista Manuel Insolera, nel numero di “Ciao 2001” uscito nel febbraio 1974 definirà Bennato “il primo musicista italiano autenticamente e genuinamente punk” (beninteso, il movimento “punk” all’epoca non esisteva, ma la definizione veniva utilizzata dalla critica anglosassone a partire dall’inizio del decennio per definire i gruppi garage o quelli della scena di Detroit).
E il secondo Lp conferma l’approccio e lo stile del singolo apripista: con una formazione ridotta all’osso (o, spesso, a lui solo) e con l’uso esclusivamente di strumentazione acustica, il Nostro porta il cantautorato negli angoli delle strade, maltrattando le corde in modo frenetico, tanto da non far rimpiangere l’assenza di feedback, inventandosi un cantato, spesso completamente slegato dalla ritmica, zeppo di singhiozzi e intercalari orgasmici mai osato in Italia (immagino dei giovani Vasco Rossi e Piero Pelù prendere appunti), riempiendo gli spazi con l’uso dell’armonica o del kazoo – aiutato in questo dalle percussioni di Tony Esposito che, a partire da quest’album, caratterizzeranno decisamente il sound del cantautore.
Oltre ai due brani del succitato 45 giri, il disco comprende la lunga e martellante “Uno buono”, le ballate sghembe “Facciamo un compromesso” e “Tira a campare”, le melodie popolari parodiate in “Bravi ragazzi” e “Arrivano i buoni” - il tutto segnato in pari misura da minimalismo e istinto. Uniche eccezioni sono la riproposizione del brano “Un giorno credi”, gonfia di archi, e la marcetta da banda popolare “In fila per tre” che diventerà forse il brano più noto del disco.
Rispetto all’esordio, ci sono novità sostanziali anche nei testi, non più rivolti solo alla sfera privata, ma decisamente impegnati, con l’emergere di parecchie di quelle che diventeranno sue tipiche tematiche anche negli anni successivi: il disprezzo verso la retorica nazionalista, verso la furbizia sulla pelle degli altri, verso l’ossessione borghese per la sicurezza, verso il conformismo che annichilisce la libertà… su tutto, il costante sospetto di vivere in un paese che di democratico ha solo di facciata. Esemplari a riguardo sono le parole della già citata “In fila per tre”, dimostrazione di come le nostre scelte siano condizionate fin dalla tenera età da istituzioni come famiglia, scuola, esercito o qualsiasi altra autorità.
Va detto che l’impegno del cantautore, pur peccando a tratti di ingenuità, ha il grande pregio di non degenerare mai nella pedanteria e di essere lontano da ogni forma di ideologia - posizione quantomeno coraggiosa in un’epoca (quella dell’”Avvelenata” di Guccini e del processo politico a De Gregori) di tensioni militanti esasperate.

I buoni e i cattivi ottiene riscontri decisamente positivi sia di critica che di vendite e gli energici concerti di Edoardo cominciano a essere parecchio frequentati. E, siccome  la politica delle case discografiche di allora era quella di “battere il ferro finché è caldo” (il che, in futuro, sarà oggetto del brano polemico “Sei come un juke-box”), nel 1975 viene dato alle stampe Io che non sono l’imperatore. Anticipato dal trascinante singolo “Meno male che adesso non c’è Nerone”, scatenato boogie in stile Jerry Lee Lewis dal testo ironico sempre sul tema della democrazia apparente (e, nota di merito, di recente riletto dal mitico Pino Scotto), il terzo album di Edo è forse il più americano della sua produzione: abbandonata quasi del tutto ogni velleità cantautorale, il nostro si butta corpo e anima in personali riletture del blues (“Signor Censore”) della psichedelia (“Ci sei riuscita” con le percussioni di Esposito sempre sugli scudi) e del rock’n’ roll (oltre alla già citata “Meno male…”, anche la conclusiva “Affacciati Affacciati”, scatenato j’accuse contro il papato).
Da segnalare anche la title track, incalzante brano da busker ripreso nel finale del disco in veste quasi da canto popolare partenopeo, e “Io per te Margherita”, canzone in stile anni 30 interpretata con piglio ironicamente sopra le righe.

Se i primi tre album, hanno dimostrato un’interessantissima evoluzione artistica, la definitiva maturità espressiva viene raggiunta nel biennio 1976-1977, con quelle che sono le sue due migliori opere. Ne La Torre di Babele, il sound si ispessisce e diventa decisamente più vario, a partire dal funk dell’omonimo brano iniziale alla ballata pianistica - ma dal ritmo decisamente sostenuto - di “Viva la guerra”, passando per la grandeur da colonna sonora di sceneggiato natalizio di “Franz è il mio nome” (il che, detto così, pare orribile, ma, in realtà, si tratta di un’ottima canzone con un testo anticapitalista che deve essergli costato qualche critica dopo il 1989 ma ritornato attualissimo ai giorni nostri).
I brani migliori dell’album sono anche i più noti: “Venderò”, toccante ballata per chitarra e armonica con meraviglioso testo scritto dal fratello Eugenio, e “Cantautore”, che inizia come una pigra canzone jazz da night-club e, nel finale, presenta un’improvvisa accelerazione, diventando un invito al pogo ante litteram. Il testo di quest’ultimo pezzo è particolarmente caustico nel ridicolizzare tanto gli artisti sul piedistallo quando il pubblico che ce li ha piazzati. Comincia, inoltre, a emergere un lato demenziale della sua personalità artistica (“Ma chi è?!” e, soprattutto, “Fandango”) che verrà meglio sviluppato in seguito.

Edoardo BennatoMa il capolavoro definitivo arriva con il seguente Burattino senza fili, concept sulla favola di Pinocchio e primo grande successo di vendite del nostro, soprattutto grazie all’appeal radiofonico del brano “Il Gatto e la Volpe”. La necessità di attenersi a uno specifico argomento (quantomeno apparentemente) limita le divagazioni e l’album risulta più compatto dei precedenti, seppure con un utilizzo di stili diversi.
Ma quello che davvero fa spiccare questo 33 giri sugli altri di Bennato (e su buona parte della musica rock italiana) è l’altissimo livello di ispirazione dietro ogni brano, sia a livello compositivo sia negli arrangiamenti. Difficile eleggere un brano migliore, tra dolci ballate (“È stata tua la colpa”, “La Fata” e “Quando sarai grande”), omaggi al rock delle origini (“In prigione in prigione” e la già citata “Il Gatto e la Volpe”), al blues (“Tu Grillo Parlante”) e alle tradizioni popolari italiane (“Dotti, medici e sapienti” e “Mangiafuoco”), il tutto, però, riletto con personalità ed estro.

E che la personalità di Edo sia davvero particolare lo si può intuire anche dai tre anni di silenzio discografico seguiti al primo assaggio di vera popolarità - immagino con grande scorno della Ricordi - e dal rocambolesco ritorno sulle scene nel 1980. Prima presenta, in un’apparizione televisiva, un brano “Sono solo canzonette”, altro irresistibile rock swingato che pare ricalcato sul modello di “Il Gatto e la Volpe”, per poi far uscire un oggetto indefinibile come l’album Uffà Uffà, al cui interno non vi è traccia del succitato brano. Poco male, visto che si tratta di un altro formidabile guizzo della sua carriera: tanto Burattino senza fili era devoto alla forma-canzone, quanto l’album successivo è eterogeneo ed imprevedibile, a partire dall’incipit a cappella de “Li belli gladioli” fino al conclusivo punk antimilitarista della title track, suonata assieme ai Gaznevada. In mezzo, stramberie assortite come “Così non va, Veronica”, “Restituiscimi i miei sandali”, “A Licola”, caratterizzate, oltre che da un’instabilità stilistica spesso interna agli stessi brani, da un piglio demenziale già emerso nelle precedenti opere ma che qui permea ogni solco del 33 giri.
Pare una presa in giro, un suicidio commerciale (nonostante l’indiscutibile appeal radiofonico di alcuni brani, come “Sei come un juke-box” o la già citata “Così non va, Veronica”), non fosse che per l’oscura profezia contenuta nel delta-blues “Allora, avete capito o no?!”, in cui Edoardo recita “si era sempre fatto uno per volta…e allora?! … e invece mi piace due per volta!”.

Edoardo BennatoCosa intenda, lo si capirà appena quindici giorni dopo l’uscita di Uffà Uffà, quando, a sorpresa, fa il suo ingresso nei negozi il successivo Sono solo canzonette ed è il botto, quello vero da superstar. Degli otto brani contenuti nell’album, tre sono diventati gettonatissimi evergreen della canzone italiana: la ballata “L’isola che non c’è” (abbastanza simile a “Venderò”, a dirla tutta), il trascinante “Rock di Capitan Uncino”, all’apparenza scanzonato ma che nasconde un neanche troppo velato attacco ai “cattivi maestri” degli anni di piombo (“Io sono il professore /della rivoluzione / della pirateria / sono la teoria /il faro illuminante… ma lo capite o no?! / io ve lo rispiegherò / per smuovere la gente / non servono i discorsi / ci vogliono le bombe”) e, soprattutto, la title track cui si accennava in precedenza e che qualunque italiano ha ascoltato almeno una volta, col suo ritmo da “Happy days”, lo stile deliziosamente retrò e un refrain canticchiato nel kazoo che conoscono anche i sassi. Peccato che il resto dell’album, pur piacevole, non raggiunga i livelli dei dischi che l’hanno preceduto.
Anche Sono solo canzonette è, almeno in parte, un concept, queste volta sulla favola di Peter Pan di J.M. Barrie, che però suona meno sincero e urgente rispetto a quello di Burattino senza fili. E l’accostamento del cantante con la figura del ragazzo che non vuole crescere in ribellione alla società eccessivamente rigida comincia a puzzare un po’ troppo di marketing della propria immagine.
Si tratta comunque di un album gustosissimo, se si toglie la noiosetta “Rockodrillo” e l’inutile “Tutti insieme lo denunciam” (esperimento di lirica abbastanza fine a se stesso), in cui spiccano, oltre ai classici della canzone italiana di cui sopra, l’incipit “Ma che sarà”, dall’oscuro incedere funkeggiante, e il jazzato “Dopo il liceo che potevo far”. Tuttavia, qualcosa nell’ispirazione pare scricchiolare, anche se ancora è lecito non farci caso.

Sono solo canzonette, come detto, segna l’apice del successo di Bennato, e nel tour trionfale che segue, vengono riempiti il San Paolo di Napoli, il Comunale di Torino e, per la prima volta, lo stadio di San Siro (Carlo Massarini racconterà mirabilia di quel concerto).
La frenetica attività live viene interrotta solo dall’uscita di due interessantissimi singoli “E invece no/ Canta appress’a nuje” e “Nisida/ La Freva a quaranta”, esemplificativi della duttilità dell’autore che, in solo quattro brani, omaggia Ry Cooder, riscopre il dialetto napoletano (dopo un disco eccessivamente ripulito da inflessioni locali) e, per la prima volta, sperimenta soluzioni reggae.

Certo, per tutto ci vuole misura, e la mancanza di questa costituisce il limite principale del disco successivo, È arrivato un bastimento (1983). Ancora un concept (questa volta sulla favola del pifferaio magico), vanta l’ottima produzione di Garland Jeffreys ed era alla base di progetti ambiziosi che avrebbero voluto trasformare il disco nella colonna sonora di un’opera teatrale. Il (relativo) scarso successo di vendite bloccherà la realizzazione di quest’idea (almeno fino al 2005 quando le canzoni dell’album verranno riprese nel musical “La fantastica storia del pifferaio magico”). E, una volta tanto, possiamo anche concordare con la freddezza del pubblico: si tratta di un disco in cui viene fatto uno sfoggio eccessivo di idee e soluzioni. La trovata di utilizzare per ogni brano un genere diverso (hard-rock, ballata, ska, reggae, lirica, tecno pop…) lascia già di per sé il tempo che trova. Se poi, come nel caso di specie, la scrittura risulta meno brillante che in passato, si concretizza un album dispersivo e poco interessante. Si lascia ascoltare, ma, alla fine, non focalizzi alcun brano.

Edoardo BennatoDecisamente sottovalutato, invece, è il successivo Kaiwanna (uscito nel 1985 dopo il buon live È goal dell’anno precedente, con l'inedita title track), nel quale il Nostro si mette in gioco con una sortita, più coraggiosa che furba per chi come lui godeva di una discreta rendita maturata nel decennio precedente, nelle sonorità sintetiche e pop in voga in quegli anni. Vere protagoniste dell’album, infatti, sono le tastiere, usate in maniera creativa, come nel sorprendente esperimento futurista-tribalistico della title track e nella ballata “In cerca del futuro”.
Dove, invece, brillano chitarre, seppur ipercromate, (“Asia” e “Zero in condotta”) l’evidente ispirazione è quella della sua futura sodale Gianna Nannini - soprattutto nell’album capolavoro “Latin Lover” uscito tre anni prima.
Da segnalare anche “Eroe fantasy”, dal testo ispirato ai videogiochi e dalla letteratura tolkeniana.
A differenza di È arrivato un bastimento, l’autore sembra aver ritrovato misura e ispirazione: il risultato non è certo innovativo (o, se lo è, solo a tratti), ma, comunque, si tratta di un buon disco, i cui bassi riscontri (che causeranno la rottura con la Ricordi) questa volta sono dovuti alla frustrazione delle aspettative del pubblico.

Il passaggio alla Virgin segna il rialzo delle sue quotazioni, almeno relativamente alle vendite, grazie a due album di grande successo quali Ok Italia e Abbi dubbi. Decisamente meglio il primo (1987) che viene ricordato soprattutto per il rock tamarro della title track e di “Tu vuoi l’America” (brani che ispireranno fortemente il Litfiba mark II e il primo Ligabue), mentre il secondo (1989) è ben rappresentato dal singolo, questa volta indiscutibilmente ruffiano e passatista, “Viva la mamma”.
In mezzo, un altro live e un Ep registrato assieme a Tony Esposito, entrambi privi di interesse.

Nel 1990, Edoardo registrerà assieme a Gianna Nannini l’insopportabile tormentone “Un’estate italiana”, inno dei mondiali di calcio italiani (brano che le radio commerciali tedesche trasmettono ancora oggi - un po’ per il ricordo della loro vittoria, un po’ per l’atmosfera da lungomare adriatico di cui i teutonici vanno matti).

L’impressione è che Bennato, forse scottato dagli insuccessi del triennio 1983-1985, abbia perso la voglia di osare e si stia assestando su formule da “rendita sicura”. E la storia successiva confermerà questo sospetto, con un’unica gustosissima eccezione, ovvero l’album di puro blues elettrico È asciuto pazzo ‘o padrone” (1992), pubblicato - non a caso - con lo pseudonimo di Joe Sarnataro. Anche qui nulla di nuovo sotto il sole (chi ha nominato Pino Daniele?!), ma l’omaggio tanto alla sua città, nelle tematiche (seppur con testi decisamente poco accomodanti) e nell’uso esclusivo del dialetto napoletano, quanto alla musica nera americana più ruvida è sincero e il disco risulta assolutamente divertente, suonato con passione e benedetto da una freschezza compositiva che pareva persa. Assieme all’album, Joe Sarnataro sarà protagonista di un film (“Joe e suo nonno”) e di un fumetto.

Lo stesso anno esce Il paese dei balocchi, che, bene o male, setterà le coordinate di tutte le opere successive: piacevole rock radiofonico dalle diverse influenze, con testi prevalentemente impegnati e sarcasmo onnipresente, ma, ormai, con pochi picchi. Non è un caso se tanto in questo disco, quanto nel successivo Se son rose fioriranno, i brani migliori siano i singoli estratti.

Più intimista e sofferto, invece, Le ragazze fanno grandi sogni, uscito dopo un grave lutto (la perdita della compagna, a seguito di un incidente stradale), anche se il risultato non cambia. Si tratta di un dischetto piacevole che meriterebbe una sufficienza risicata, non fosse che stiamo parlando dell’autore di Buoni e cattivi e Burattino senza fili.

Il successivo Sbandato torna su sonorità più rock, mentre, negli anni successivi assisteremo a un urtante moltiplicarsi di inutili greatest hits (spesso mascherati da riproposizioni, ora in chiave acustica ora in chiave classica, del vecchio repertorio), colonne sonore (di cui vale la pena segnalare solo quella del cartone “Totò Sapore e la magica storia della pizza”, realizzata assieme al fratello Eugenio e piena di suggestioni partenopee e mediterranee) e dischi live.

I suoi due ultimi album di inediti - L’uomo occidentale e Le vie del rock sono infinite (premio per la copertina più brutta della storia) nulla aggiungono, ma, anzi, rischiano di togliere.

Nel 2015 Pronti a salpare segna un lieve aggiustamento di rotta, tra un personaggio supplementare come Lucignolo da aggiungere alla galleria di Burattino senza fili ("Il mio nome è Lucignolo"), storie di immigrati e vu cumpra' (la title track), talking blues in salsa partenopea (“A Napoli 55 è ‘a musica”, j'accuse al solito affilati ("Niente da spartire", “Al gran ballo della Leopolda”), divagazioni colte (“Non è bello ciò che è bello”, scritta molti anni fa per Luciano Pavarotti) e un commosso omaggio a Enzo Tortora e Mia Martini (“La calunnia è un venticello”), in cui Bennato rilegge il testo scritto da Cesare Sterbini per l’omonima aria del “Barbiere di Siviglia” di Rossini.
Niente di nuovo: molte chitarre, suggestioni americane sparse qua e là e la solita irriverenza, a condire un piatto non irresistibile, ma quantomeno allestito con gusto.

Due anni dopo, invece, è tempo di anniversari (40 anni e più) per Burattino senza fili, che viene riedito in una nuova versione targata 2017, con l'inedito "Mastro Geppetto" ad aggiungersi al colorito zibaldone collodiano, per l'occasione riarrangiato con nuovi suoni e musicisti, quelli che accompagnano il rocker napoletano in tour negli ultimi anni.

Ormai ultrasettantenne, Edoardo Bennato continua a solcare i palchi offrendo esibizioni energiche e esaltanti. Tra le tante cose che la musica pare avergli dato, c’è anche l’eterna giovinezza (Edo è un po’ il Lemmy de’ noantri!).
Va detto che, grazie soprattutto alla prima parte della sua carriera, resterà sempre in credito verso il suo pubblico e verso la canzone italiana, nonostante la “navigazione a vista” degli ultimi venti anni. Assurdo e irriconoscente chiedergli di più.

Edoardo Bennato

Discografia

Non farti cadere le braccia (Ricordi, 1973)
I buoni e i cattivi (Ricordi, 1974)
Io che non sono l'imperatore (Ricordi, 1975)
La torre di Babele (Ricordi, 1976)
Burattino senza fili (Ricordi, 1977)
Uffà! Uffà! (Ricordi, 1980)
Sono solo canzonette (Ricordi, 1980)
È arrivato un bastimento (Ricordi, 1983)
È goal! (Edoardo Bennato live) (Ricordi, 1984)
Kaiwanna (Ricordi, 1985)
Ok Italia (Virgin, 1987)
Edoardo live (Virgin, 1987)
Il gioco continua (mini Lp, Virgin, 1989)
Abbi dubbi (Virgin, 1989)
Edo rinnegato (reincisione con arrangiamenti acustici di vecchie canzoni, Virgin, 1989)
È asciuto pazzo 'o padrone (con lo pseudonimo Joe Sarnataro; registrato insieme ai Blue Stuff, Virgin 1992)
Il paese dei balocchi (Virgin, 1992)
Se son rose fioriranno (Virgin, 1994)
Le ragazze fanno grandi sogni (Virgin, 1995)
All The Best (antologia, Bmg-Ricordi, 1996)
Le origini (2 cd, antologia, Bmg-Ricordi, 1996)
Quartetto d'archi (con il Solis string Quartet, Fonit Cetra, 1996)
Gli anni Settanta (2 cd, antologia, Bmg-Ricordi, 1998)
Sbandato (Virgin, 1998)
Sembra ieri (antologia + 3 inediti, Wea, 2000)
Il principe e il pirata (colonna sonora, Edizioni musicali Cinquantacinque, 2001)
Edoardo Bennato. Live RTSI (live del 1979, RTSI Music, 2001)
L'uomo occidentale (Warner, 2003)
Salviamo il salvabile (3 cd, antologia, Bmg-Ricordi, 2006)
Tutto Edo Cantautore (2 cd, antologia, Rhino Records, 2009)
Le vie del rock sono infinite (Universal, 2010)
Pronti a salpare (Universal, 2015)
Burattino senza fili 2017 (Universal, 2017)
Pietra miliare
Consigliato da OR

Streaming

Un giorno credi
(live alla Rai, 1975, da Non farti cadere le braccia, 1973)

Rinnegato
(live alla RSI - Radiotelevisione Svizzera, 1979, da Non farti cadere le braccia, 1973)

Campi flegrei
(live a San Siro, 1980, da Non farti cadere le braccia, 1973)

 

Una settimana un giorno
(live, da Non farti cadere le braccia, 1973)

In fila per tre
(live coi Solis String Quartet - Marechiaro Blues 1995, da I buoni e i cattivi, 1974)

Io che non sono l'imperatore
(live alla Rai, da Io che non sono l'imperatore, 1975)

Meno male che adesso non c'è Nerone
(live a Musica in Libertà, 15 maggio 1978, da Io che non sono l'imperatore, 1975)

Viva la guerra
(live al RockPalast, Germania, 27-11-1980, da La Torre di Babele, 1976)

Cantautore
(live alla RSI - Radiotelevisione Svizzera, 1979, da La Torre di Babele, 1976)

E' stata tua la colpa
(live alla RSI - Radiotelevisione Svizzera, 1979, da Burattino senza fili, 1977)

Il gatto e la volpe
(live alla RSI - Radiotelevisione Svizzera, 1979, da Burattino senza fili, 1977)

Dotti medici e sapienti
(live alla RSI - Radiotelevisione Svizzera, 1979, da Burattino senza fili, 1977)

Mangiafuoco
(live alla RSI - Radiotelevisione Svizzera, 1979, da Burattino senza fili, 1977)

Quando sarai grande
(live alla RSI - Radiotelevisione Svizzera, 1979, da Burattino senza fili, 1977)

Sei come un jukebox
(videoclip da Uffà Uffà, 1980)

Uffà Uffà
(videoclip, con i Gaznevada, da Uffà Uffà, 1980)

 

Sono solo canzonette
(live al RockPalast, Germania, 27-11-1980, da Sono solo canzonette, 1980)

L'isola che non c'è
(live a Milano Idropark, 11 giugno 2004, da Sono solo canzonette, 1980)

Il rock di Capitan Uncino
(live a Milano Idropark, 11 giugno 2004, da Sono solo canzonette, 1980)

Ma che sarà
(videoclip da Sono solo canzonette, 1980)

E' arrivato un bastimento
(videoclip da E' arrivato un bastimento, 1983)

 

Ogni favola è un gioco
(videoclip da E' arrivato un bastimento, 1983)

Nisida
(live dal Concerto per i Campi Flegrei, Anfiteatro Pozzuoli, 2002, da E' goal, 1984)

Zero in condotta
(videoclip da Kaiwanna, 1985)

Tu vuoi l'America
(videoclip da Ok Italia, 1987)

Viva la mamma
(videoclip da Abbi dubbi, 1989)

Un'estate italiana
(videoclip, con Gianna Nannini, inno dei Mondiali di calcio 1990)

 

Il paese dei balocchi
(videoclip da Il paese dei balocchi, 1992)

Le ragazze fanno grandi sogni
(live da Le ragazze fanno grandi sogni, 1995)

 

Sbandato
(videoclip da Sbandato, 1998)

E' lei
(videoclip da Le vie del rock sono infinite, 2010)

Mastro Geppetto
(videoclip da Burattino senza fili 2017)

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